20 Giu 2024

L’autonomia differenziata forse non è così male. Ma sarà mai applicata? – #953

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
Salva nei preferiti

Seguici su:

Ieri è stata approvata, fra le polemiche la legge sull’autonomia differenziata, cavallo di battaglia della lega che però secondo i suoi detrattori potrebbe aumentare le diseguaglianze nel nostro paese. Ma è davvero così? Cerchiamo di capirlo. Parliamo anche della morte di un lavoratore indiano a Latina, abbandonato dai superiori dopo un incidente probabilmente perché irregolare, dell’inchiesta di FanPage sui giovani attivisti meloniani, che più che a Meloni si ispirano al Duce, e della raccolta firme di Lav per togliere gli animali dai circhi.

Ieri mattina la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge sull’autonomia differenziata. E quindi si parla molto, soprattutto di questo sui giornali di oggi in edicola e sulle homepage dei giornali nella giornata di ieri. È un traguardo sicuramente importante per il governo, visto che questa legge è uno dei 3 pilastri su cui si basa il reciproco accordo che tiene assieme la maggioranza. L’Autonomia differenziata è la quota lega, poi c’è il premierato che è la quota FdI e la riforma della giustizia che è la quota Forza Italia. 

Tutte e tre sono leggi che stanno facendo discutere e scatenando polemiche. Anche la rissa / aggressione di qualche giorno fa ai danni del parlamentare del M5S Zuppi era legata all’autonomia differenziata. Solo che come su ogni questione molto identitaria, che diventa un cavallo di battaglia di un partito o di una coalizione, è difficile trovare analisi non ideologiche. 

Comunque, proviamo a capire meglio la questione. Qualche mese fa, a gennaio, in occasione della approvazione al Senato, avevamo dedicato una puntata alla legge, per spiegarla meglio. Vi lascio la puntata in questione sotto fonti e articoli. Ma visto che tanto lo so che non ve la riandate ad ascoltare, anche perché già vi ammorbo per 20-30 minuti al giorno, non voglio rubarvi altro tempo, vi faccio un riassunto.

Stiamo parlando di una riforma che dà più autonomia alle regioni rispetto allo stato su questioni importanti e che affonda le sue radici nella riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, voluta dal centrosinistra per, pensate un po’, dare più potere alle regioni e contrastare l’avanzata della Lega che faceva leva sul federalismo. 

Se fino ad allora la Costituzione elencava le competenze regionali specifiche, e tutto il resto era in capo allo Stato, da allora in avanti si elencano quelle dello stato, e il resto va di default alle regioni. Questo ha causato non pochi problemi e sovrapposizioni. Comunque: oltre a ciò, un punto chiave della riforma consentiva allo stato di delegare alle regioni anche sulle materie di sua competenza parziale o esclusiva. Solo che questo punto, proprio perché molto spinto verso il federalismo, non è mai stato reso operativo. Nessun governo ha mai fatto una legge che definisse come e su quali temi lo Stato potesse decidere di delegare il dominio decisionale alle regioni. Fino ad ora. La legge sulle autonomie differenziate è proprio quella roba là.

E visto che la Lega l’ha trasformata nel suo cavallo di battaglia, ha fatto una legge molto spinta verso l’autonomia. Ha allargato l’ambito delle materie delegabili, che sono 23 in totale, di cui 20 già parzialmente regionali e 3 esclusive dello stato. Le 3 materie che fino a oggi sono state di competenza esclusiva dello Stato sono: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Mentre fra le altre figurano la tutela della salute, lo Sport, l’Energia, i Trasporti, e il Commercio Estero (e tante altre). 

La legge definisce poi anche come avviene, sia a livello di iter che di tutele, questo passaggio di consegne. Ad esempio si prevede che la richiesta arrivi dalle regioni, che venga fatto con accordi decennali, ma rescindibili anche in anticipo da entrambe le parti, e che la delega non sia in bianco, ma che le regioni si impegnino a rispettare degli standard essenziali di prestazione (LEP) stabiliti su scala nazionale, per fare in modo che, almeno sulla carta, i servizi restino adeguatamente alti e uniformi su scala nazionale, e che non si creino ulteriori differenze e disparità tra regioni ricche e povere.

Tutte queste cose fanno sì che, anche se la legge è stata approvata, in realtà ci vorrà un bel po’ prima che le autonomie siano effettive. Come spiega un articolo del Post, ad esempio, innanzitutto devono essere definiti i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Che nel concreto significa stabilire, per esempio, quanti posti negli asili nido pubblici o quanti posti letto negli ospedali devono esserci in ciascuna provincia ogni cento abitanti; con quanta frequenza devono passare gli autobus nei comuni di campagna; il numero massimo di alunni per classe nelle scuole, e così via. 

Il tutto, poi, tenendo in considerazione le specificità dei vari territori, e dunque prevedendo che ci debbano essere delle diverse attuazioni dei LEP a seconda che si parli di un piccolo borgo dell’appennino molisano o di una grande città della Lombardia. 

Per velocizzare il processo il governo di Giorgia Meloni ha approvato nella legge di bilancio del dicembre 2022 una norma per costituire un “cabina di regia”,  un comitato tecnico presieduto da Meloni e composto dai ministri competenti e dagli amministratori locali dei comuni e delle regioni, a cui era assegnato il compito di fare entro sei mesi una ricognizione preliminare sui LEP. 

Solo che è passato un anno e mezzo e ancora risultati non se ne sono visti, tant’è che il suo mandato è stato prorogato fino a tutto il 2024. Nel frattempo a marzo 2023 il governo ha nominato – vai a capire perché – anche un altro organo, un “comitato tecnico scientifico” composto da 61 esperti di diritto e di finanza pubblica, che più o meno le stesse funzioni della cabina di regia, e che a gennaio scorso ha pubblicato un primo rapporto in cui specifica che il loro lavoro è «un’esplorazione “in terre incognite”», insomma un lavoro lungo e in divenire. 

Un dato che però sembra certo è che l’applicazione dei LEP avrà un costo importante per lo Stato, che dovrà aumentare i propri standard dei servizi pubblici offerti in molte regioni, soprattutto quelle del Sud. Che è un effetto paradossale e forse inatteso, ma sulla carta molto interessante. Cioè: paradossalmente visto che su tanti aspetti i servizi pubblici nazional isono attualmente al di sotto dei livelli ritenuti costituzionalmente accettabili, per poter dare più autonomia alle regioni, anche l’autonomia di eccellere, bisogna portare prima tutti su un livello di partenza più alto. E questo dovrebbe sortire l’effetto contrario a quello sbandierato politicamente, ma comunque un effetto interessante, di migliorare il servizio soprattutto nelle regioni più povere e livellare i servizi su scala nazionale. 

Il punto, per il governo, è capire come: perché parliamo di diverse decine di miliardi di euro che il governo non ha ancora detto come intende trovare. E che difficilmente potrà recuperare sottraendo risorse alle regioni del Nord, perché sarebbe un ribaltamento del principio politico che sta alla base dell’autonomia differenziata. 

Senza che si raggiungano i Lep, niente autonomia differenziata. Fra l’altro, nella discussione al Senato sono arrivati due emendamenti che rafforzano ulteriormente questo aspetto, per mano di due senatori di Fratelli D’Italia. Emendamenti che ribadiscono come l’attuazione dei LEP debba avvenire su tutto il territorio nazionale e che lo stato non possa dare priorità ad alcune regioni né stanziare più soldi su alcune regioni che su altre in base agli accordi che si fanno per primi. Significa che prima si dovranno stanziare i soldi per garantire standard adeguati in tutte e 20 le regioni, e dopo si potranno accogliere le richieste delle regioni che reclamano maggiore autonomia.

Fra l’altro sempre i due senatori hanno proposto un altro emendamento che prevede che ogni accordo Stato-regione debba passare attraverso l’iter parlamentare e non possa avvenire attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Come racconta ancora l’articolo del Post, “Al di là dell’aspetto tecnico, le modifiche apportate al testo durante l’esame del Senato per volere di Fratelli d’Italia sono rilevanti non perché stravolgano il senso del provvedimento, ma perché rendono ancor più rigido e proibitivo il processo che dovrebbe portare all’effettiva attribuzione di ulteriori competenze alle regioni. Lo stesso vale anche sul piano finanziario”. 

Insomma, il testo prevede passaggi molto rigidi ed esatti, e anche abbastanza difficili da applicare. Tant’è che i presidenti di regione leghisti come il veneto Luca Zaia o il lombardo Attilio Fontana hanno già detto che chiederanno al governo un’iniziale concessione parziale delle funzioni, e solo per quelle materie, diciamo meno essenziali, in cui non sono previsti dei LEP e su cui la procedura potrebbe essere più snella.

Ma nemmeno troppo, perché comunque, non sto qui a riassumervela la trovate nell’articolo del Post, ma parliamo comunque di mesi e mesi di accordi e trattative.

Ecco, questo è quanto. Quindi? È una buona legge? È una cattiva legge? Vi leggo un parere favorevole e uno contrario, entrambi interessanti, poi vi dico la mia. Il parere favorevole è quello, fra l’altro segnalatomi da una nostra abbonata, di Giovanni Guzzetta, professore di Diritto Pubblico dell’Università di Tor Vergata, pubblicato su Città Nuova. 

Dice Guzzetta: “Francamente, leggendo il ddl Calderoli, non riesco a capire il nesso tra la riforma e gli asseriti effetti lesivi per il Sud. E confesso mi pare anche molto demoralizzante, da cittadino meridionale. L’idea che una maggiore possibilità di efficienza sia riservata solo alle regioni del Nord mi sembra esprimere una cultura della resa, fortemente conservativa. È come dire che l’unica chance per il Sud sia l’assistenzialismo eteroguidato dal centro”.

Per poi ribadire che “Sul piano finanziario non c’è nessuna penalizzazione per il Sud e anzi vengono ribadite le esigenze di particolare tutela per i territori più in difficoltà. L’Italia tutta ha bisogno di maggiore efficienza, migliori servizi e minori sprechi. Non vedo perché questa non sia una sfida che anche il Meridione deve e può raccogliere. La cultura assistenzialistica (che è cosa diversa dal doveroso sostegno a chi è in condizioni di maggiore difficoltà) non può essere la giustificazione per l’immobilismo e un atteggiamento culturalmente parassitario”.

Per quanto riguarda la critica della legge, mi affido in questo caso a un comunicato del WWF che evidenzia alcune possibili criticità legate alle questioni ambientali. Leggo direttamente dal comunicato: “I boschi come i fiumi, la fauna selvatica come le falde idriche, gli inquinamenti e l’impollinazione, non conoscono i confini amministrativi di una regione, per cui una tutela differenziata al ribasso su base regionale compromette la conservazione di specie e habitat. E la tutela dell’ambiente, anche dal punto di vista giuridico, è il presupposto del diritto alla salute”.

Ora, che dire: non penso ci sia bisogno di fare tutta la tiritera su quanto io mi senta distante da questo governo no? Però cerco di mantenere anche un distacco e un’onestà intellettuale per non cadere vittima dei bias cognitivo, tipo il potentissimo bias di conferma. Per cui, ecco, devo dirvi che la legge sull’autonomia mi sembra che sia stata dipinta dai suoi oppositori molto peggio di quello che è. Tutto sommato potrebbe essere una buona legge, e se devo vederci un rischio, è piuttosto quello che non verrà mai applicata perché prevede standard alti e procedure troppo lunghe.

Molti giornali stanno seguendo da lunedì pomeriggio la vicenda drammatica di un incidente sul lavoro che ha coinvolto un lavoratore indiano sikh a Latina. Che ieri è morto, in ospedale. Ve la ricostruisco, preannunciandovi che è una ricostruzione molto cruda, ma va fatta perché è abbastanza sintomatica della situazione ancora assurda e tremenda di molti lavoratori stranieri nel nostro paese. E per stranieri non intendo ovviamente canadesi, tedeschi, islandesi, ma perlopiù africani, indiani, pakistani. 

In questo caso il giovane uomo, 31enne, si chiamava Satnam Singh ed era arrivato in Italia tre anni fa insieme a sua moglie, che lavorava con lui nella stessa azienda agricola, che coltiva zucchine e angurie. Anche lei come Singh non aveva un regolare contratto. Lunedì mentre era al lavoro in un campo nei dintorni di Latina è stato schiacciato da un macchinario trainato da un trattore, che gli ha tranciato il braccio destro e schiacciato entrambe le gambe. 

Ma la parte più assurda e agghiacciante non è questa. È quello che è successo dopo. Stando alle prime ricostruzioni, dopo l’incidente i suoi datori di lavoro, probabilmente proprio per via dell’assenza di un contratto regolare e quindi per non passare guai, non avrebbero chiamato i soccorsi, lo avrebbero semplicemente lasciato davanti a casa, con il braccio tagliato poggiato su una cassetta per la raccolta degli ortaggi. 

Singh sarebbe stato portato in ospedale in un secondo momento dopo una chiamata dei vicini, e nei giorni successivi ha subìto numerose operazioni, ma è morto per via delle ferite ieri mattina.

Come racconta un articolo sempre del Post, “Nella provincia di Latina vivono da anni migliaia di braccianti indiani di religione sikh, che spesso lavorano in condizione di gravissimo sfruttamento”. La procura di Latina ha aperto un’inchiesta per omissione di soccorso e omicidio colposo, e diversi giornali e agenzie di stampa scrivono che tra le persone indagate ci sarebbe il titolare dell’azienda. 

Si tratta ovviamente di una vicenda drammatica, e di quelle vicende drammatiche che ci vedono coinvolti. Perché non è quel dramma che non ti aspetti, su cui non puoi farci niente. È un dramma scontato. Un dramma inevitabile, visto il contesto. Sono anni che si parla di caporalato, di sfruttamento dei lavoratori in agricoltura. Il meccanismo lo sappiamo bene: è quella catena che parte dai campi e arriva fino a noi, che acquistiamo frutta e verdura a prezzi stracciati nei grandi supermercati, che tengono per sé una grossa fetta del prezzo finale e obbligano i produttori a fare prezzi stracciati. 

Produttori che quindi scaricano i costi sui braccianti irregolari, sottopagati, senza nessuna tutela. È un sistema criminale, dove le vittime sono chiare, ma gli assassini sono più di uno. Sono in primis i caporali e i proprietari delle aziende. Ma lo sono anche le catene di supermercati che impongono prezzi realizzabili solo attraverso lo sfruttamento dei lavoratori. E un po’ lo siamo anche noi quando in quei supermercati ci compriamo frutta e verdura, che arriva da lì. Solo che non lo vediamo, non lo sappiamo, o meglio lo sappiamo ma solo un po’, abbiamo nascosto quel pezzetto di consapevolezza in una parte del nostro cerVello dove non andiamo a vedere più di tanto.

Io penso che dobbiamo esigere una soluzione politica, collettiva, che metta fine allo sfruttamento. E anche iniziare intanto a fare la nostra parte. Le alternative non mancano, e con i nostri soldi possiamo dare sostegno diretto a chi coltiva la terra in maniera etica, sana e sostenibili. O a progetti come Sos Rosarno, che ha creato un vero e proprio modello contro il caporalato. Lo possiamo fare cercando i produttori nella nostra zona, aderendo a un gruppo d’acquisto, facendo la spesa ai mercati contadini, aderendo a una Csa. Ci sono davvero tantissimi modi. Ognuno può scegliere quello più adatto. 

Segnalo anche, un po’ al volo per una questione di tempo, l’inchiesta fatta da una giornalista in incognito di FanPage e andata in onda a Presa Diretta sui giovani dei circoli di Gioventù Nazionale, il movimento giovanile legato a Fratelli d’Italia, l’ambiente in cui è cresciuta e si è formata politicamente la stessa premier Meloni. Un’ichiesta davvero inquietante, direi.

Vi lascio il link per vedervi il servizio che dura 12 minuti ma vale la pena perché mostra come letteralmente tutti e tutte le persone che frequentano quei circoli sono fascisti, e passano le loro giornate a inneggiare al duce, chiamarsi camerati, fare saluti romani e camerateschi, riferimenti al fascismo e al nazismo, e così via. E hanno proprio delle regole per camuffarsi, per mostrarsi esternamente più moderati di quello che sono.

Non mi dilungo molto sulla questione, un po’ perché davvero vi rimando al video, un po’ perché non so bene cosa dire. Cosa pensare. O meglio, posso esprimervi la mia sensazione nel vedere quel video, che però è ancora in una forma di pensiero molto embrionale, e non so se sto sottostimando la cosa, in qualche modo. Perché ribadisco: stiamo parlando di persone che si identificano esplicitamente fra loro come fascisti. Eppure più che paura, la mia sensazione è di grottesco, di farsesco. 

Non che il fascismo non fosse grottesco e farsesco, ma qui parliamo di un grottesco e farsesco anacronistico, fuori tempo massimo. Più che l’orrore, che pure comprendo, se qualcuno di voi l’ha provato, a me è venuta in mente una battuta del comico Francesco Fanucchi che dice più o meno così. A me fanno ridere quelli che si definiscono fascisti. Il fascismo è un’ideologia di cento anni fa. Ma che senso ha? Sapete cosa dico a quelli che mi dicono “io sono fascista”? “Ma dai, io sono guelfo bianco”.

Chiudiamo con un’iniziativa di LAV, la lega anti vivisezione, che sta raccogliendo firme per chiedere al governo italiano di fare quello che in realtà dovrebbe già fare spontaneamente, ovvero attuare una legge già approvata che vieti gli animali nei circhi.

Leggo dal comunicato dell’associazione: “Bastano 100mila firme per ottenere dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano di procedere speditamente con l’attuazione della Legge-delega sullo spettacolo n.106 del 2022 – in scadenza il 18 agosto 2023 – che prevede il “superamento dell’uso degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti?” ha dichiarato Eleonora Panella, responsabile area animali esotici di LAV. 

Fra l’altro la legge sembrerebbe godere di un forte sostegno popolare: “Il 76% degli italiani lo scorso settembre si è detto contrario all’uso degli animali nei circhi, senza differenze significative di età, area geografica ed orientamento politico. Quasi 4 italiani su 5 (79%) hanno dimostrato di essere favorevoli alla riconversione dei circhi con animali in spettacoli con giocolieri, trapezisti e altri numeri, senza l’uso di animali e similmente. 

Detto ciò, nel momento in cui registro la puntata le firme raccolte solo circa 103mila. Comunque se volete mettere anche la vostra male non fa. Trovate il link sotto Fonti e articoli.

L’estate si avvicina e allora oggi su Italia che Cambia con la nostra video storia della settimana esploriamo un modo di viaggiare davvero particolare che forse non avrete mai sentito nominare. il garden Sharing. passo la parola a Paolo Cignini autore di video e articolo:

Audio disponibile nel video / Podcast

Mappa

Newsletter

Visione2040

Mi piace


Per la prima volta un paese tasserà le emissioni di agricoltura e allevamenti – #957

|

Alex Zanotelli e il G7 a guida italiana: “Bisogna avere il coraggio di protestare”

|

Terranostra: l’esperienza di autogestione che ha portato alla rinascita di uno spazio verde abbandonato

|

La storia di Luca Cammarata, dalla gestione di un bene confiscato alla lotta alla siccità

|

Vandana Shiva: “La Terra è a un bivio”. Ecco come possiamo salvarci

|

La strada per Nuvoleto, l’alluvione in Romagna, la frana e la tenacia degli abitanti

|

Le nuove povertà e un modello di welfare che risponde alle sfide lanciate dal consumismo

|

Nasce il Cammino dei Santuari del Mare, il nuovo itinerario per esplorare a piedi l’entroterra di Genova

string(9) "nazionale"