24 Giu 2024

Attentato in Daghestan, cosa sappiamo – #954

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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La giornata di ieri è stata segnata da un attentato terroristico nello stato russo del Daghestan, dove alcune persone hanno attaccato sinagoghe, chiese ortodosse e posti di polizia. Le autorità russe seguono la pista jihadista ma non mancan odi attaccare Ucraina e Usa. Parliamo anche di clima, siccità e informazione, di elezioni europee, di manifestazioni contro il governo in Israele e contro il caporalato a Latina, di food coop, della chiusura di una radio-tv pubblica in Slovacchia, e ancora di diritti in Namibia e di buone pratiche giornalistiche. 

È la notizia più recente, risale alla tarda serata di ieri, ma anche quella con cui aprono molti giornali. C’è stato un attentato nello stato russo del Daghestan, dove ieri sera alcuni uomini armati hanno attaccato sinagoghe, chiese ortodosse e posti di polizia. Almeno 15 persone, fra cui 6 degli assalitori, sono state uccise. Le autorità russe hanno detto di considerare i tre attacchi un attentato terroristico, ma non è chiaro al momento se siano collegati tra loro né chi siano i responsabili: al momento sono in corso le ricerche per trovarli.

Come racconta Rosalba Castelletti su Repubblica, gli attentatori hanno aperto il fuoco nella Chiesa dell’Intercessione della Beata Vergine Maria e nella sinagoga di Derbent, la città più antica e meridionale di Russia. Hanno tagliato la gola ad un prete ortodosso, ucciso una guardia giurata e dato alle fiamme i due edifici religiosi che si trovano a poca distanza l’uno dall’altro.

Contemporaneamente, sono stati segnalati diversi scontri a fuoco nel capoluogo Makhachkala, sul Mar Caspio. 

In un video diffuso su Telegram, si vedono tre uomini vestiti di nero e con le tipiche barbe caucasiche che s’impossessano di un van della polizia e prendono la mira coi mitra, mentre in un altro un assalitore grida “Allahu Akbar” inquadrando una sinagoga in fiamme.

Negli attacchi, oltre al prete e alla guardia giurata civile, otto poliziotti sono morti, mentre 25 persone sono rimaste ferite. Sei attentatori sono stati uccisi: quattro a Makhachkala e due a Derbent. Altri assalitori sarebbero ancora in fuga, tanto che tutte le auto in arrivo nella capitale vengono ispezionate.

Questo è più o meno la ricostruzione dei fatti, per quel che sappiamo finora. A questo possiamo aggiungere alcuni elementi. Innanzitutto, il Daghestan è uno stato del Caucaso nella russia occidentale ed è lo stato più multietnico del paese, dove c’è una forte presenza musulmana ma anche, ad esempio, una delle più antiche comunità ebraiche di Russia.

Poi c’è la questione della data di ieri. Ieri in Russia era una giornata non casuale: era il giorno della pentecoste ortodossa, ma anche il primo anniversario della rivolta di Evgenij Prigozhin e dei mercenari del gruppo Wagner. 

Ma quindi chi sono i responsabili? L’attentato non è stato fin qui rivendicato, ma diversi elementi rimandano alla pista jiadista. Secondo una fonte vicina alla polizia locale citata dall’agenzia russa Tass, gli attentatori sarebbero tutti “membri di un’organizzazione terroristica internazionale”. Al tempo stesso dal Daghestan arrivano accuse all’Ucraina e alla Nato. Come ha scritto un parlamentare daghestano, “Non c’è dubbio che questi attacchi terroristici siano in un modo o nell’altro collegati ai servizi segreti dell’Ucraina e dei Paesi della Nato”. Sono accuse al momento difficili da confermare come da smentire.

Ciò che è certo è che il Daghestan è da anni uno degli epicentri del jihadismo. 

Fra l’altro ieri è stata una giornata segnata anche da un altro fatto in Russia. Ovvero da un attacco ucraino in Crimea, utilizzando i missili Atacms americani, che ha ucciso – si presume accidentalmente – diversi civili fra i bagnanti a Sebastopoli. I giornali non specificano dove fosse indirizzato l’attacco missilistico, alcune schegge di un missile, probabilmente deviato dalla contraerea russa, sono finite su una spiaggia affollata di bagnanti a Sebastopoli, causando secondo fonti russe 5 morti di cui 3 bambini e 124 feriti, di cui 5 in terapia intensiva.

Anche qui il governo russo ha attaccato direttamente quello ucraino ma anche e soprattutto l’amministrazione Usa, dato che, leggo, “Tutte le specifiche di volo per l’uso degli Atacms sono inserite dagli specialisti Usa sulla base dei propri dati di ricognizione satellitare. Per questo motivo la responsabilità dell’attacco missilistico deliberato contro i civili a Sebastopoli ricade innanzitutto su Washington che ha fornito queste armi all’Ucraina, e sul regime di Kiev, dal cui territorio è stato effettuato l’attacco. Tali azioni non resteranno impunite”.

Torniamo a parlare di clima, caldo e siccità. Perché è di nuovo quel periodo dell’anno in cui, anno dopo anno, con il peggiorare della crisi climatica, fa sempre più caldo, in media, c’è sempre meno acqua, e tornano a rifiorire gli articoli sui giornali che parlano di caldo e siccità in varie zone d’Italia e del mondo.

Venerdì raccontavamo delle circa 1000 persone morte durante l’hajj, il pellegrinaggio annuale verso la Mecca, per via del caldo estremo che ha colpito l’Arabia Saudita in queste settimane. Nel frattempo il bilancio si è ulteriormente aggravato, l’ultimo dato è quello che riportava ieri sera Repubblica di 1114 morti più circa 30 dispersi. Molti di questi sono egiziani. 

Nel riportare questa notizia, la Repubblica cita come causa genericamente il caldo, e poi si concentra sul tema delle compagnie turistiche irregolari che vendono pacchetti pellegrinaggio scontati a La Mecca, senza però rispettare le misure di sicurezza, un fatto certamente importante e che sta sollevando molte polemiche in Egitto, dove il governo ha ritirato ben 16 licenze ad altrettante compagnie. Ma non cita mai il tema del cambiamento climatico.

Ci ho fatto caso perché un nostro lettore molto attento, nonché attivista climatico, ci ha segnalato già due casi simili, da parte di due giornali in genere abbastanza attenti al tema. Il Post e il manifesto. 

L’articolo del Post in questione è quello in cui si parla della crisi idrica di New Delhi, che ho citato sempre nella rassegna di venerdì. Non ci avevo nemmeno fatto caso che non si citasse mai la questione climatica, perché quel tassello è come se ce lo mettessi io quasi di default, in casi come questo. L’articolo del manifesto invece è di sabato, è a firma di Alfredo Masala, e parla della siccità in Sicilia, che sta toccando nuove vette. 

Vi leggo solo l’incipit, poi lo trovate sotto FONTI E ARTICOLI. “Caltanissetta i colori del paesaggio sono da brivido. Non piove da mesi, è tutto secco. Per avere un po’ d’acqua gli allevatori pagano 250 euro ad autobotte ma le risorse finiscono in un attimo; il foraggio non si trova, si aspetta che arrivino i carichi acquistati dal governo Schifani ma ci vorrà del tempo, gli aiuti della Coldiretti si esauriscono immediatamente.

«Siamo abituati a fare sacrifici e a cavarcela da soli, ma questa situazione è difficilissima», dice Luca Cammarata, piccolo allevatore. Da queste parti servono 5-6 mila litri di acqua al giorno. «Il consorzio eroga ogni due settimane, chi è più vicino alla condotta prende un po’ più risorse, chi è più distante è nei guai – racconta – Ci sentiamo più volte al giorno per capire se dobbiamo continuare a comprare autobotti, ma anche quando lo facciamo non sappiamo mai quando arriveranno»”.

Anche qui, dopo aver descritto la drammaticità della situazione, si passa a indagare le responsabilità politiche, e anche alcuni rischi molto gravi, ad esempio l’allarme lanciato dall’Anbi, “secondo cui l’autorità di bacino della Regione avrebbe messo all’ordine del giorno «la ripresa dei prelievi idrici da pozzi contaminati da nitrati», previa depurazione delle acque prima del loro utilizzo, soprattutto le zone turistiche, dove sono attesi oltre 10 milioni di ospiti nel periodo di alta stagione»”. Così come descrive le “centinaia di disdette da parte dei turisti in fuga dalla valle dei Templi e dalle zone balneari limitrofe dove l’acqua arriva col contagocce nei b&b”.

Ora, sono articoli molto ben fatti e interessanti, con un sacco di informazioni utili. L’unica pecca è, appunto, l’assenza del tema climatico. Non credo, anzi sono abbastanza sicuro che non sia una cosa fatta in cattiva fede, almeno in questi casi. È più probabile che la si dia per scontata. E questo non vuol dire che le altre cause non siano importanti da osservare, denunciare, analizzare. Le agenzie turistiche irregolari, le responsabilità politiche, sono tutte cose che ovviamente giocano un ruolo cruciale. Sono concause, assieme al cambiamento climatico. È un po’ come per gli incendi: nessun incendio scoppia “per il cambiamento climatico”. Ma il cambiamento climatico crea delle precondizioni per cui gli incendi causati da incuria, disattenzione, o più spesso dolo, siano più gravi e difficili da spegnere.

Idem la siccità: se si va a osservare con la lente d’ingrandimento troveremo certamente delle cause specifiche, delle inefficienze, delle cose che si potevano fare meglio ed è importantissimo notare e raccontare tutte queste cose. Altrettanto importante, però, è inquadrare tutto ciò nella giusta cornice. 

Perché sennò c’è il rischio che non si capisca bene la situazione, il contesto, e non si vogliano prendere le decisioni adeguate. Nel segnalarmi uno degli ultimi articoli il nostro lettore / attivista che si chiama Daniel Quattrocchi scrive: “La mia preoccupazione è che lentamente si faccia strada un pensiero comune che si tratta di una situazione ineluttabile, “naturale” e si smetta di occuparsi delle cause, cercando solo di tamponare o di alimentare guerre tra poveri”. Ed è una riflessione che condivido molto.

Su questo mi rincuora un po’ il fatto condotto a livello mondiale dalle Nazioni unite, l’80 per cento della popolazione mondiale è preoccupato per le conseguenze della crisi climatica e vorrebbe che i governi facessero di più. Sappiamo che i sondaggi sono sempre un po’ scivolosi, ma mi sembra un dato importante.

Mentre ancora si discute in Europa sulla nuova Commissione, vi segnalo che sabato è uscita la nuova puntata di INMR+, il nostro format di approfondimento verticale sull’attualità, riservato ai nostri abbonati/e a ICC e condotto da me. Anche questa nuova puntata, come la puntata precedente, è dedicata al tema delle elezioni europee. Sol oche mentre quella scorsa era sul tema di come scegliere se votare e chi votare, questa è un’alaisi del voto molto ampia.

Si parte da capire perché sempre meno persone vanno a votare, e devo dire che su questo ho scoperto diverse cose che non sapevo anche io, per poi analizzare soprattutto che Europa ci attende, che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi 5 anni da l punto di vista dell’ambiente, della pace e di tante altre cose. Se la puntata scorsa è stata una sorta di mio monologo, questa qua è molto corale, perché ci sono un sacco di ospiti. Da Aldo Giannuli, politologo e saggista ad Angelo Bonelli, leader dei Verdi, da Dario Tamburrano, “padre” delle comunità energetiche e fresco di elezione con il Movimento 5 Stelle a Gianluca Felicetti, Presidente Lav, fino ad arrivare ad Ugo Biggeri, co-fondatore di Banca Etica e attivista per la finanza etica e Giovanni Mori, attivista di Fridays for Future, che invece non sono stati eletti.

La trovate sotto fonti e articoli. Per ascoltarla dovete essere abbonati/e. Ne approfitto per ricordarvi che abbonarvi a ICC ha 3 vantaggi: a) costa poco, solo 50€ all’anno, circa 4 € al mese, b) vi permette di accedere a contenuti di approfondimento premium, c) permette a noi di continuare a fare il nostro lavoro in maniera libera e indipendente, quindi ecco, è anche un modo per supportare quello che facciamo, se vi piace e pensate che abbia un valore. Quindi grazie a chi si abbona e a chi sceglierà di farlo, magari proprio oggi.

È stato un fine settimana di manifestazioni importanti quello appena trascorso. Ne ricordo soprattutto due, svoltesi praticamente in contemporanea, seppur molto diverse fra loro, o forse no.

La prima è quella gigantesca, tenutasi sabato sera a Tel Aviv, in Israele, per chiedere le dimissioni del governo di Benjamin Netanyahu e un accordo con Hamas che permetta il ritorno di tutte le persone rapite nell’attacco del 7 ottobre. 

Come racconta il Post, “Queste manifestazioni a Tel Aviv si tengono tutti i sabati da allora, ma quella del 22 giugno è stata una delle più partecipate dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza: i media israeliani concordano sul dire che i manifestanti fossero decine di migliaia, e secondo alcune stime sarebbero stati più di 150mila”. Fra l’altro, bisogna pesare questo numero su una popolazione di nemmeno 10 milioni di abitanti. 

Tutto ciò alla fine di una settimana di proteste organizzate in tutto il paese, detta “Settimana della Resistenza”, che ha portato anche un molte persone a protestare fuori dalle case di Netanyahu a Gerusalemme e Cesarea. Le proteste dovrebbero continuare almeno fino al prossimo giovedì.

L’altra importante manifestazione è stata più vicina a noi geograficamente. Si è svolta a Latina, sabato pomeriggio. Qui, quasi cinquemila persone hanno manifestato in seguito alla morte di Satnam Singh, il lavoratore indiano morto mercoledì, due giorni dopo aver perso un braccio mentre stava lavorando nei campi, e abbandonato davanti casa, con il nraccio appoggiato su una casetta della furtta. 

Singh aveva 31 anni e lavorava insieme alla moglie in un’azienda tra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, due frazioni di Latina. Entrambi non avevano un permesso di soggiorno né un contratto regolare. Una vicenda diventata in breve simbolo di una condizione inumana in cui lavorano molti braccianti ancora oggi. 

Qualche giorno fa Marco Omizzolo, che probabilmente è il giornalista che meglio e più a lungo ha seguito e denunciato il dramma del caporalato in Italia, denunciava su Domani il silenzio assordante del governo sulla questione. Vi leggo solo un passaggio: “L’Agro Pontino (la zona in cui si è svolto il dramma) è anche la provincia del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, riferimento di Salvini e artefice di gran parte del programma leghista sul lavoro che ha contribuito a determinare forme di segmentazione e segregazione del mercato del lavoro italiano a grave danno dei diritti democratici. Anche da parte sua silenzio assordante.

Quanto accaduto a Satnam segna dunque la coscienza di questo Paese ma non di questo governo, che disvela l’intima natura di un sistema di sfruttamento che permette a padroni italiani e a caporali di ottenere profitti milionari a fronte di un lavoro che costa la vita a migliaia di lavoratori e lavoratrici spesso di origine straniera”.

Per fortuna, un messaggio è arrivato, non dal governo, ma dai sindacati e dalle migliaia di persone presenti. 

A proposito di distribuzione alimentare, il nostro direttore Daniel Tarozzi è stato in Sardegna nel weekend a moderare un incoNtro sulle Foodcoop. A te Daniel.

Audio disponibile nel video / podcast

Andiamo un po’ più veloce su queste ultime notizie. Dalla Slovacchia arriva una notizia piuttosto preoccupante che ha a che fare con la libertà d’informazione. Il governo ha deciso di chiudere la Radio e Televisione della Slovacchia, azienda pubblica considerata troppo critica verso l’operato del governo, che verrà sostituita da una nuova azienda meno critica e più conforme al governo attuale. 

Il direttore sarà eletto da un consiglio con membri nominati dal ministero della Cultura. Come racconta il Fatto Quotidiano, “Questo è solo l’ultimo atto dei politici al potere in Slovacchia contro i diritti dell’informazione, dei giornalisti e quindi dei cittadini. Sullo sfondo c’è, come precedente da non dimenticare, l’assassinio di Ján Kuciak, giornalista di 28 anni, ucciso insieme alla fidanzata Martina Kušnírová nella sua abitazione di Veľká Mača, nel distretto di Galanta”. 

Fra l’altro, in tutto ciò un ruolo cruciale in questa decisione, almeno sulla carta, l’ha giocato l’attentato al Premier slovacco Robert Fico, il cui partito domina il parlamento e che ha iniziato ad accusare proprio la Tv pubblica di fomentare l’odio nelle persone e quindi di essere all’origine dell’attentato. 

Una buona notizia, diciamo una notizia progressista, arriva invece dalla Namibia, dove venerdì un tribunale della dello stato africano, ha dichiarato incostituzionale una legge risalente al periodo coloniale, ma mai abrogata, che criminalizzava i rapporti omosessuali tra uomini. 

Il caso era stato avviato dall’attivista namibiano Friedel Dausab, sostenuto dalla Human Dignity Trust, organizzazione che si occupa di contrastare la criminalizzazione dei rapporti omosessuali nel mondo. Il governo namibiano ha 21 giorni di tempo per fare appello contro la sentenza: al momento non è chiaro se lo farà. Secondo alcuni attivisti locali era piuttosto infrequente che gli uomini omosessuali venissero perseguiti sulla base di questa legge, che però aveva incoraggiato un clima di generale discriminazione nei confronti di tutta la comunità LGBT+ locale. Stiamo a vedere.

Voglio chiudere con una buona prassi giornalistica che vi segnalo, dopo aver denunciato gli errori di molti giornali italiani sul caso della notizia, falsa, della morte di Noam Chomsky. 

Avvenire pubblica un post con una foto gigantesca con scritto “vi chiediamo SCUSA” e questo testo a corredo:

Nella serata di ieri come molti altri giornali e siti di informazione abbiamo dato la notizia (sbagliata) della scomparsa dello scrittore e filosofo americano Noam Chomsky.

Purtroppo le prime verifiche ci avevano confermato la notizia, il che ci ha indotto più facilmente nell’errore. Come potete immaginare siamo molto dispiaciuti e abbiamo già intrapreso una seria riflessione per evitare che possa accadere di nuovo una cosa simile. Nel frattempo non ci resta che chiedere scusa allo scrittore e filosofo, alla sua famiglia e ovviamente a tutti voi lettori.

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