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Firenze, Udine, Toscana - Facebook, instagram, whatsapp o più semplicemente internet, sono mezzi che hanno cambiato il nostro modo di relazionarci. Un mondo in cui possiamo rimanere sempre in contatto tra di noi, che però troppo spesso crea rapporti veloci, superficiali, che non lasciano il tempo di sfogarsi o semplicemente di ascoltare. In questo panorama nuovo, rimedi classici, come una telefonata, possono fare la differenza “Il nostro è un sostegno emotivo” – ci spiega Marco Lunghi, presidente di Voce Amica Firenze, la più antica help line del nostro Paese – “che cerca di contrastare le diverse forme di solitudine”.
Come sono nati i telefoni di ascolto? Come sono arrivati in Italia?
I primissimi sono nati negli Stati Uniti a fine 800, in Europa agli inizi del 900, dopo la Prima Guerra Mondiale, diffondendosi lentamente, con un boom nel secondo dopoguerra. In Italia uno psichiatra, Roberto Assagioli, prese spunto dal Centro d’Incontro e di Ricerca di Parigi, fondando l’associazione CIC (Centro Incontri e Collaborazione). Chiunque avesse bisogno di sostegno e di dialogo poteva suonare il campanello o telefonare. Nel giro di alcuni anni ci si rese conto che i costi per medici e psicologi erano troppo alti e, dato che le telefonate aumentavano, si decise di chiudere la parte di accoglienza viso a viso per concentrarsi sul servizio telefonico. Nacque dunque “Telefono Amico”, poi diventato “Voce Amica Firenze”, che, fatta eccezione per qualche cambiamento organizzativo, è rimasta con lo stesso statuto del CIC.
Che tipo di servizio offrite?
Oggi il nostro lavoro consiste nel fornire contatto umano e sostegno emotivo. A noi non interessa perché hai chiamato, spesso non ce lo dicono neppure il perché. Quello che conta è la relazione. Poi, mi telefoni arrabbiata perché hai litigato con il marito, va bene, ma quello è il pretesto. Avevi bisogno di una relazione umana. Noi non curiamo le persone, ma ci prendiamo cura di loro. Non risolviamo il problema, ma cerchiamo di creare una relazione, sono due piani molto diversi. Ci sforziamo di essere qualcosa di più simile ad un amico. Ecco perché “voce amica”.
Che tipo di esigenze emergono più spesso?
Coloro che ci chiamano cercano soprattutto uno spazio in cui rapportarsi con qualcuno in totale libertà, senza giudizio, ricevendo accoglienza. Il contatto umano che si crea è labile, volatile, dura il tempo di una telefonata, ma è comunque una relazione. Si possono dire cose mai rivelate a nessuno, persino inventare. È uno spazio di libertà, di dignità.
Ci sono momenti in cui ricevete più telefonate?
La differenza più forte è tra il giorno e la notte, quando le telefonate si fanno più pressanti. Sai che a volte ci chiamano anche solo per sapere se ci siamo? Già la presenza, sapere che c’è qualcuno se hai bisogno di parlare, fa la differenza.
Che cosa è richiesto ai volontari?
Per rispondere al telefono il primo requisito è avere una disposizione personale ad ascoltare senza giudicare, senza essere direttivi. Non è facile, quindi prima di essere volontario è necessario seguire un (per)corso di sei mesi. Bisogna abituarsi all’idea che si parla di tutto, senza essere esperti di nulla. Vuoi parlare di calcio, parliamo di calcio. Vuoi parlare di politica, parliamo di politica. Vuoi parlare di sesso, si parla di sesso.
E quando vengono poste domande “scomode” come si risponde?
Con la tecnica si impara a sviare. Perché la domanda si può respingere, ma la persona no.
Dicevamo che spesso anche nelle nostre relazioni facciamo fatica ad ascoltare, senza essere giudicanti o direttivi. Mi chiedo se questo tipo di esperienza porta il volontario ad approcciarsi in modo diverso quando torna a casa.
Uno dei volontari in formazione ha detto qualche giorno fa una cosa forte per me, importante. “Io in questi tre mesi sono cambiata. Non sono più la stessa persona. Se anche non riuscissi a diventare volontaria so che ho imparato qualcosa di mio per rapportarmi alla vita di tutti i giorni”. È un’esperienza che consente di prendere coscienza di se stessi, e di come ci si rapporta con gli altri. Spesso ti accorgi di quanto sei fortunato. Avrai i tuoi di problemi, però ne hanno tanti anche gli altri, e a volte un po’ più di disponibilità ad accogliere ci permette di stare meglio.
Come funziona la formazione?
Ci sono dei momenti più teorici e dei momenti pratici, con simulazione di ascolti e discussioni insieme. Non c’è un modo ideale di rispondere. Ognuno deve scoprire il suo stile, trovare il suo modo personale di rispettare i principi che ci siamo dati ed essere contemporaneamente autentico.
Formazione a parte ci sono dei momenti nei quali i volontari possono stare insieme e condividere esperienze ed eventuali dubbi?
È fra i 4 impegni che chiediamo al volontario. Il primo è il più semplice: pagare 30 euro l’anno come quota associativa. Il secondo è di accettare integralmente statuto e regolamento. Poi ti impegni a fare tre turni di servizio al mese. I turni devono essere due in orario diurno (16-20 o 20-24), e uno notturno (24-6). L’ultimo impegno, altrettanto importante, è la riunione generale che si tiene una volta al mese, per condividere. Scopri che il problema che ti sembrava enorme lo hanno vissuto altri venti, e parlandone impari e gestirlo. Poi ci sono altri momenti di incontro, tematici magari. Anche per sapere in certi ambiti “te come fai?”.
A livello di numeri come sta andando? Che speranze avete per il futuro?
A Firenze siamo una 70ina di volontari. Riusciamo a condurre una 50ina di telefonate al giorno su circa 200 che arrivano. Abbiamo pensato ad un servizio via chat, o via e-mail, ma diventerebbe cervellotico, la telefonata ci sembra un canale migliore. Il nostro sogno è garantire la copertura di tutti i turni e fare le 24 ore. Il 4 marzo avrà inizio il nuovo ciclo di formazione dei volontari.
Intervista realizzata da Cristina Diana Bargu e Francesco Palumbo
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