5 Mar 2019

Eutanasia per gli animali: quali alternative?

Scritto da: Daniel Tarozzi

24 Milioni di italiani condividono la loro vita con un compagno animale: un rapporto affettivo stretto e arricchente. Ma che accade quando la vita di un amico animale volge al termine? L'eutanasia animale è sempre davvero l'unica soluzione per evitare che soffrano? Quando ci lasciano come affrontare un dolore che gli altri sembrano non capire? Ne parliamo con il medico veterinario Stefano Cattinelli, tra i fondatori di Armonie Animali e autore del libro “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita Edizioni.

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Stefano Cattinelli è un medico veterinario, diplomato in Omeopatia veterinaria unicista ed esperto nell’Antroposofia di Rudolf Steiner. Propone da anni un’alternativa all’eutanasia, con un approccio empatico, che non solo aiuti l’animale, ma anche la persona che gli sta accanto. Ha scritto molti libri su questi temi, è tra i fondatori di Armonie Animali, si occupa di Floriterapia e conduce seminari di Costellazioni Sistemiche Familiari per Animali. Lo abbiamo incontrato per approfondire le riflessioni intorno ad un tema quanto mai spinoso: l’eutanasia per gli animali.

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Stefano, tra gli altri, hai scritto con Daniela Muggia “Tenersi per zampa fino alla fine”, pubblicato da Amrita Edizioni. Di cosa parla questo libro?
Il libro affronta il momento più importante e più difficile della relazione tra una persona e il proprio animale: quello in cui l’animale se ne va. Mi occupo di questo tema da una ventina d’anni e sono molto sensibile all’argomento perché essendo un veterinario so quanto sia importante il nostro ruolo in questa fase.

 

La professione che ho scelto, ha la grande responsabilità di consigliare gli umani nella fase terminale di vita di un animale, cercando di capire quanto questo soffra e come si possa affrontare l’inevitabile declino. Ho sempre vissuto con difficoltà le prassi tradizionali che vedono un percorso precostituito per gli appartenenti alla mia categoria; ho sempre provato una pesantezza che non riuscivo a gestire. Quando mi trovavo a dover praticare o immaginare di praticare l’eutanasia, capivo che l’animale non voleva me al suo fianco, bensì il suo punto di riferimento esistenziale (una singola persona o un’intera famiglia).

 

Ho quindi sviluppato una consapevolezza crescente della sacralità della morte: l’ingresso in questa dimensione richiede determinate qualità, attenzioni e rispetto che sono ovviamente diverse dalla routine ambulatoriale veterinaria. Mi sono impegnato a creare, quindi, anni fa un reale spazio sacro, in cui ci si possa muovere secondo dinamiche molto più complesse di quelle che razionalmente possiamo percepire: solitamente stacco il telefono e cerco di aprire un dialogo a vari livelli con la persona che assiste l’animale, dando la possibilità a quest’ultimo di spegnersi con i suoi tempi e le sue modalità, differenti l’uno dall’altro.

 

Credo infatti che ogni animale decida di andarsene in modo assolutamente unico e “personale”. In venti anni, ho accompagnato centinaia di “individui” e non c’è stato un caso uguale all’altro. Mi sono quindi reso conto che più approfondivo questo percorso più il concetto di eutanasia si allontanava. Mi sono trovato ad entrare in una fluidità esperienziale unica. Ho notato che quando le persone si mettono davvero in gioco durante il percorso di accompagnamento dell’animale, riescono a cambiare il proprio ruolo nella relazione, vedendo poi – durante la fase finale – l’animale diventare “guida” dell’umano.

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Nel caso in cui un animale soffra troppo, che tipo di percorso proponete?
È uno spazio complesso dove ogni cultura propone la propria visione. In questo tipo di esperienza possiamo vedere il dolore come parte di questa complessità. Per quanto riguarda il dolore fisico dell’animale, si possono adottare cure palliative che permettono di eliminare o ridurre al massimo il disagio fisico dell’animale. Per quel che riguarda il dolore emozionale, frutto del legame instaurato tra umano e animale, ci si sposta sul piano animico. Si possono quindi utilizzare i fiori di Bach o mille altri rimedi analoghi. Infine, non va dimenticato il dolore dell’umano, che ha un’influenza importantissima sull’evolversi degli eventi.

 

Il dolore umano non è esclusivamente legato a quel singolo momento, ma appartiene a una storia biografica: quando l’animale entra in relazione con l’essere umano, subentra in un momento preciso dell’esistenza della persona, rispondendo a un bisogno di quest’ultima (lo si può comprendere anche dal nome che viene affidato all’amico peloso o alla tipologia di animale scelto) e tutto ciò inevitabilmente influisce, rafforzando ulteriormente il vuoto che si crea quando l’animale se ne va.

 

Vi sono diverse modalità di reazione al distacco: c’è chi prende subito un altro animale con sé, e chi non ne vuole più. Credo che la cosa migliore sia imparare a stare un po’ nel dolore, prendere confidenza con tale esperienza e poi riuscire a guarire anche rispetto alle proprie esperienze precedenti.

 

Chi vuole avvicinarsi a questo genere di percorso, oltre a leggere il libro, cosa può fare?
Propongo un percorso sull’accompagnamento a Treviso (scopri di più) che dura tre fine settimana e affronta tre temi fondamentali: il lasciare andare, il cambio di ruolo e il saper entrare nella fluidità. Sono passaggi interiori che preparano le persone ad essere più consapevoli nel momento del passaggio.

 

A questo proposito, vi racconto un aneddoto che mi è capitato un paio di giorni fa: mi ha chiamato una ragazza che ha seguito questo percorso con me quattro anni fa, raccontandomi che la sua cagnolina se n’era andata da qualche giorno. Mi ha detto di aver fatto tutti gli esercizi imparati, di aver letto tutti i miei libri ma quando poi si è trovata a dover gestire la situazione è entrata nel panico, si è sentita sola. Con il passare del tempo, però, le si sono attivate risorse che non sapeva di avere, che hanno permesso alla cagnolina di andarsene via serena, accompagnata dalla proprietaria e dal suo compagno. Mi ha raccontato che c’è stato un momento preciso particolare, probabilmente scelto dalla coscienza della loro relazione, in cui se n’è andata nel migliore dei modi.

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Hai scritto questo libro con Daniela Muggia: come mai avete deciso di scriverlo insieme e in che modo vi siete “completati a vicenda”?
È stata proprio Daniela a contattarmi: attraverso il lavoro svolto dalla sua associazione (Associazione Tonglen onlus) per l’accompagnamento empatico di persone morenti, lei e i suoi collaboratori con cui porta avanti le attività, avevano ricevuto richieste di aiuto da parte di famiglie che avevano animali in fin di vita. Mi ha proposto quindi di scrivere un libro insieme, ed è stata un’avventura bellissima e difficilissima, essendo noi molto diversi. È nato così questo testo che mi piace davvero molto: Daniela porta un contributo importante sulla fisica quantistica, creando un legame con la dimensione scientifica e un approfondimento sulle cure palliative.

 

Cosa pensano i tuoi colleghi di questo approccio?
Molti colleghi sono convinti che l’unica possibilità di togliere il dolore sia togliere la vita all’animale. Mi sono dovuto allontanare da diversi gruppi web, perché venivo spesso attaccato per la mia visione non tradizionale. Armonie Animali, il network di veterinari di cui faccio parte, è un ambiente molto più sereno da questo punto di vista; magari non tutti sanno bene nel merito di cosa mi occupo, ma rispettano il mio lavoro.

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Vorremmo parlare dell’impatto dell’eutanasia sui veterinari: pare che ci sia un tasso di depressione molto alto. Cosa ne pensi?
È un aspetto completamente sottovalutato. Noi veterinari nasciamo professionalmente per salvare l’animale, ogni cosa che impariamo e facciamo va verso la vita. Di conseguenza l’esperienza della morte viene vissuta come una sconfitta, doppia essendo, in caso di eutanasia, noi ad indurla. Animicamente credo che si crei una frattura all’interno del veterinario, come un attrito. A questo punto il veterinario in questione ha due possibilità: o si separa da questa frattura eliminando la valenza emozionale per proteggersi (a costo di ledere il senso della professione), o – in caso di persone più sensibili – al ripetersi di questa azione subisce una destabilizzazione interiore sempre maggiore. Considerando che l’attività media di un veterinario conta statisticamente un paio di casi di eutanasia la settimana, diventa un vero e proprio meccanismo di non senso.

 

La morte in natura è inserita in un contesto armonico, ed è ovvio che quando l’animale entra nella vita della famiglia le cose si complichino, ma ci sono delle possibilità di uscita da questa situazione. Purtroppo, nelle facoltà veterinarie, il tema della morte non viene mai affrontato, nonostante i dati statistici dimostrino che è un tema delicato e sempre più di attualità. Ma le cose stanno cambiando, la sensibilità collettiva è in aumento. Da circa dieci anni infatti è nato anche un comitato bioetico che ha cercato di inserire delle regole per gestire questo fenomeno.

 

 

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