Vaccini obbligatori: la posizione di Franco Berrino
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Cosa sappiamo sulle complicazioni dei vaccini? Come si può imporre un nuovo trattamento sanitario obbligatorio senza disporre di un sistema di monitoraggio efficace dei possibili danni? Anche il dottore epidemiologo Franco Berrino è intervenuto sul tema delle vaccinazioni ed in particolare sul dibattito in corso in merito al decreto sull’obbligo vaccinale. Ecco cosa ha scritto sulla sua pagina Facebook.
“Scriveva Doris Lessing trent’anni fa: ‘Il lavaggio del cervello si basa su tre modalità ben note. La prima è la tensione seguita dal rilassamento. Questa è per esempio la formula usata negli interrogatori del prigioniero, quando l’inquisitore è alternativamente duro e tenero – prima un sadico e poi un amico gentile. La seconda è la ripetizione: dire o cantare la stessa cosa in ripetizione. La terza è l’uso degli slogan, la riduzione di idee complesse a una semplice serie di parole. Queste tre modalità vengono sempre usate (e lo sono sempre state) da governi, eserciti, partiti politici, gruppi religiosi, religioni’. (Doris Lessing, Prisons We Choose to Live Inside, 1986).
La descrizione si adatta bene al comportamento delle autorità governative e di sanità pubblica italiane nella controversia sui vaccini. Minacce gravissime ai genitori che non vorrebbero vaccinare i loro figli, fino a togliere loro la patria potestà, e ai medici che li supportano, fino a radiarli dall’ordine, alternate a posizioni più blande (segnalazioni alla procura solo in casi eccezionali, garanzia di accesso alla scuola dell’obbligo). Negazioni reiterate che esistano complicazioni anche gravi, se pur rare. Slogan: i vaccini sono sicuri! Chi non è competente non parli! I benefici sono superiori ai rischi!
Sarebbe meglio spiegare pacatamente il perché di ognuno dei vaccini obbligatori anche quando non ci sono minacce di epidemia, le ragioni di scelte di obbligatorietà diverse da altri Paesi (scelte basate su quali studi?), quali studi hanno portato a decidere l’obbligatorietà di ben 12 vaccini nel primo anno di vita, cosa si sa delle possibili complicazioni, come fare per evitarle.
Il rifiuto dei vaccini dipende in primo luogo dalla paura delle complicazioni. Fino a oggi, per quanto mi risulti, mancano studi affidabili sulla frequenza delle complicazioni. Il sistema di segnalazione degli effetti collaterali dei vaccini è obsoleto e inaffidabile. Il recente rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) sugli eventi avversi dei vaccini – un fascicolo di 170 pagine – non dà alcuna informazione utile a comprendere la dimensione del problema.
Incidenze di possibili eventi avversi decine di volte più alte in alcune regioni che in altre indicano che il sistema di registrazione è inaffidabile, troppo dipendente dalla preparazione, dall’interesse e dall’attenzione dei medici, che comunque non sanno bene cosa attendersi come complicazioni per la mancanza di studi scientifici solidi. Migliorare la performance dei medici segnalatori, comunque, sarebbe ben poco utile, perché è il disegno stesso del sistema di rilevazione che manca di validità scientifica, non consente di stabilire se un evento patologico insorto dopo una vaccinazione sia causato dal vaccino o no. Il rapporto AIFA ripete laconicamente, per ogni potenziale complicazione segnalata, che non è possibile stabilirne la connessione causale. E allora cosa serve? Come può un ministro imporre un nuovo trattamento sanitario obbligatorio senza disporre di un sistema di monitoraggio efficace dei possibili danni?
Quale disegno di studio potrebbe garantire una sorveglianza capace da un lato di stabilire la frequenza delle complicazioni effettivamente dovute al vaccino e dall’altro di valutare quali bambini sono a rischio di complicazioni? Poiché le complicazioni gravi sono rare occorre uno studio molto grande.
In Italia nascono ogni anno quasi mezzo milione di bambini e sarebbe possibile uno studio in cui i bambini nati l’anno successivo all’introduzione dell’obbligo vengano sorteggiati in due gruppi, uno che viene vaccinato appena nato, com’è la pratica attuale, uno che viene vaccinato dopo sei mesi, o dopo un anno, e intanto si registrano tutti gli eventi morbosi occorsi nel primo anno di vita. In tutte le regioni italiane esiste un sistema di registrazione dei ricoveri ospedalieri che permetterà di valutare la frequenza di qualunque patologia grave nei due gruppi. Per le patologie comuni che non richiedono ospedalizzazioni i pediatri dovranno obbligatoriamente registrare e segnalare tutti i casi incidenti nell’anno di studio.
Per ogni patologia che risultasse significativamente più frequente nel gruppo vaccinato si potrà indagare su eventuali differenze fra i bambini ammalatisi e quelli non ammalatisi (per esempio parto naturale o cesareo, ordine di nascita, patologie in gravidanza, abitudini al fumo dei genitori, allattamento al seno o artificiale, trattamenti antibiotici, allergie, malformazioni congenite, altre malattie…), allo scopo di identificare eventuali condizioni che sconsigliano di vaccinare.
Lo studio non consentirà di stimare il rischio di eventuali complicazioni a insorgenza tardiva, ma consentirà di valutare se il loro rischio dipende dall’età del trattamento vaccinale. Questo disegno di studio consentirebbe anche di verificare l’utilità di vaccinare alla nascita piuttosto che dopo sei mesi o un anno: quanti casi di tetano, difterite, parotite ecc. compariranno nei bambini non vaccinati? Quante complicazioni gravi del morbillo o di altre malattie prevenibili con la vaccinazione?
Insomma, sarebbe possibile disporre di dati solidi su cui pianificare una politica di vaccinazioni il più possibile efficace e sicura! E anche i partigiani del non vaccinare disporrebbero di informazioni piuttosto che basarsi su pregiudizi, sospetti, incertezze e paure per ora in gran parte ingiustificate”.
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