Integrazione, i migranti incontrano gli adolescenti italiani
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Ne parlano tutti, dai giornali ai talk show televisivi, dalle associazioni umanitarie alla Protezione Civile, dalle amministrazioni pubbliche ai cittadini. Hanno dato loro un nome per ogni occasione: immigrati, extra-comunitari, clandestini, profughi, migranti, richiedenti asilo, aventi e non diritto, ma nessuno, o forse troppo pochi, ne parlano come persone, e tantomeno come anime.
Ci prova l’ONU, che dal 2013 finanzia un progetto proposto dall’associazione romana Laboratorio 53, Anime Migranti appunto, che si sforza di proporre attività rivolte all’integrazione di queste persone che hanno una storia, una casa, amici, un quartiere di appartenenza, degli affetti, una famiglia ma che hanno dovuto abbandonare tutto per un imprescindibile bisogno di fuga dal loro paese e darsi una prospettiva di vita possibile.
Lo strumento atipico utilizzato per raggiungere lo scopo integrativo di accoglienza è una versione speciale di danza. Fernando Battista, socio dell’associazione e docente-formatore in Danzamovimentoterapia per il progetto, insieme a Monica Serrano, fondatrice dell’associazione, attinge alla sua esperienza di docente di sostegno per persone con abilità speciali e un master in Peace Keeping per costruire un’esperienza che lascerà il segno, e anche un sogno.
È infatti nel secondo anno del progetto, da quando cioè l’attività riservata alla partecipazione di soli migranti si apre agli studenti dell’Istituto Tecnico per il Turismo Livia Bottardi seguiti dal professor Battista, che l’integrazione arriva al suo apice diventando reale, concreta, umana, duratura e epidemica, come lui stesso aveva inizialmente intuito.
“Ho pensato che i ragazzi migranti e gli adolescenti della mia scuola avevano caratteristiche molto simili, con uguali bisogni, e poteva avere una funzione educativa per entrambi. Sono in un momento di passaggio, gli uni per la fase della vita e gli altri per il cambiamento delle abitudini dovute al trasferimento dal proprio paese. Il corpo viene investito in entrambi i casi da cambiamenti, per i processi evolutivi da una parte e per aver subito minacce e violenze dall’altra, e deve diventare un mezzo di ricostruzione e restituzione di una propria identità, creando relazione e senso di appartenenza”.
Allora ombre senza volto, figure anonime in terra straniera, diventano persone vive con una loro precisa realtà: scopriamo che il ragazzo malese è un giornalista scappato da Mali dopo il colpo di stato del 2012 per sfuggire all’esecuzione inflitta a tutti gli iscritti al partito comunista; non torna da quattro anni al suo paese ma ha saputo che la nonna con cui viveva è morta di dolore il giorno stesso in cui lui è partito. Il giovane della Costa d’Avorio non espatria per emergenza politica ma per instabilità tra gruppi etnici che gli impedivano di realizzare il suo sogno di giocare professionalmente a pallacanestro; ha un permesso internazionale e gioca per la squadra di Calasetta a Carloforte.
“Uno scappava per necessità e l’altro per raggiungere un sogno”, ci sottolinea Fernando. “E’ stato importante per i ragazzi che li hanno ascoltati sentire le loro storie. Rimanevano a bocca aperta, interdetti. Abbiamo risvegliato la parte più sensibile dei ragazzi verso questi coetanei. Comprendevano che pur non avendo niente, riuscivano a dare valore a delle cose mentre noi non riusciamo più a godere di tutto quello che abbiamo”.
Il lavoro col corpo è diventato la porta dimensionale che ha aperto nuovi paradigmi di socializzazione e approccio alla reciproca conoscenza. “Il lavoro è partito con l’uso della danza”, ci spiega Fernando, che è anche fondatore dell’associazione Corpi Sensibili che si occupa di danza terapia e counseling, “perché la prima barriera era linguistica. Molti non parlavano italiano e il corpo è transculturale e transgenerazionale. Aveva la funzione di metterli tutti sullo stesso piano lavorando sull’autostima, sul riconoscersi e sul creare la propria identità”.
Allora i saluti ritmici, la gestualità, l’uso delle maschere, la danza come funzione ritualistica antropologica diventano l’introduzione a narrazione di storie espresse in movimento “sulla linea di confine che segna le loro differenze non solo fisiche ma anche culturali”, aggiunge Fernando. “L’arte è stata usata come metodo per potersi raccontare evitando domande dirette, con movimenti e colore. I migranti hanno potuto esprimere il proprio vissuto del viaggio e gli adolescenti il loro mondo interiore senza dover chiedere come stai, stai bene o male; solo attraverso la felicità del corpo e l’espressione dell’arte in generale”.
Il progetto Anime Migranti, con i suoi dieci incontri primaverili del giovedì, è alla sua quarta edificante edizione e proseguirà nel 2017. Ha il pregio di aver unito, attraverso l’entusiasmo puntuale e desideroso degli studenti, la zona di Tor Sapienza, una periferia d’intolleranza e pregiudizio ad Est di Roma, che aveva fatto sgomberare dei minori migranti, e la zona San Paolo a Sud, sede dell’associazione Laboratorio 53.
Era un’attività facoltativa della scuola e non era scontato che i ragazzi continuassero a seguire l’iniziativa, ma ogni giovedì attraversavano inarrestabili la capitale per un’ora di viaggio in autobus, pur di non mancare all’appuntamento. “È stato un incontro di scoperta e curiosità da entrambe le parti», prosegue il docente. «Inizialmente non sapevo bene quale potesse essere la risposta dei ragazzi: il lavoro sul corpo con la danza è un lavoro delicato perché fa scattare subito gli schemi dell’hip-pop. Avevo paure e dubbi ed è stata una grande sorpresa vedere tutto questo entusiasmo nel cercarsi gli uni con gli altri e nell’aspettare il giorno in cui si sarebbero rivisiti e condividere spazi, gioie e tristezze”.
Sono nate relazioni anche all’esterno della scuola, i ragazzi hanno portato i loro nuovi amici a conoscere Roma, li hanno presentati alle loro famiglie. A conclusione del progetto hanno creato un manifesto lungo 10 metri con colori, con l’impronta delle mani dei partecipanti e scritte in tutte le lingue che riassumevano così Anime migranti 2016: “Ognuno di noi è un essere meraviglioso, unico e irripetibile”. Uno degli studenti, Marwan Mohammed, che fa parte della band della scuola Psyco Circus, si presenta l’ultimo giorno di laboratorio con la chitarra e questo testo scritto da lui: “Liberi di Sognare”, un capolavoro di umanità.
Il loro diario di bordo è ricco di riflessioni profonde che sono state replicate anche nell’intervista-questionario cui hanno dovuto rispondere alla fine dell’esperienza, dove esprimono, secondo il loro punto di vista, l’importanza del lavoro svolto. Ne condividiamo alcune, perché il sogno di un mondo condiviso in armonia continui.
Bubakar del Senegal
Quando non ti muovi non puoi sentire. Non sei lo stesso. Se non ti muovi non sei niente. Non ti senti a posto. Se non fai i movimenti non ti puoi riposare. Questa esperienza mi ha fatto vedere le persone in un alto modo. Mi ha cambiato molto. Mi ha fatto felice. Adesso sento il mio corpo molto diverso. Prima era freddo, adesso , dopo due anni di laboratorio con Fernando, il mio corpo mi piace.
Simone, Roma
Noi siamo fratelli, come ha detto Mohammed, poiché in questi diversi incontri facendo la nostra conoscenza e condividendo tutto, a distanza di poco tempo siamo diventati una grande famiglia. Non posso che ringraziare questi coraggiosi ragazzi per tutto ciò che mi hanno trasmesso…. tra emozioni, conoscenza e cultura.
Olena, Roma originaria della Romania
Ogni essere è dotato della capacità di intuire immediatamente l’anima dell’altro. Noi vediamo l’interno degli altri esseri umani con la stessa chiarezza con cui vediamo i colori, con cui sentiamo i suoni. Quando non ci facciamo trarre in inganno dalla maschera non possiamo sbagliare.
E il sogno continua… Non può che continuare.
Per saperne di più:
https://www.youtube.com/watch?v=W9xtuj9WjUU
www.corpisensibili.com
http://www.istitutoliviabottardi.gov.it/
www.laboratorio53.it
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