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Dopo due giorni a stretto contatto con la Transizione il problema più grosso che ho dovuto affrontare è stato spiegare quello che abbiamo fatto ad amici e conoscenti. Riporto qua sotto una discussione qualsiasi a titolo esemplificativo, certo che ciascuno dei partecipanti abbia avuto all’incirca la stessa esperienza:
Amico: Cosa hai fatto in questi due giorni?
Io: Una formazione sulla transizione, con gli altri di Italia che Cambia.
Amico: Ah, e cosa sarebbe?
Io: Eh, in pratica sono tecniche per costruire una società, delle comunità, dei progetti più sostenibili, anche se è molto riduttivo definirla così.
Amico: Ma quindi energie rinnovabili e roba del genere?
Io: No, no. In realtà il punto è un altro. È capire come funzionano i sistemi complessi quale è il mondo in cui viviamo. Cambiare metodo di ragionamento, uscire dal ragionamento lineare e allenarci al pensiero sistemico, perché spesso quello che ci sembra più ovvio non è la soluzione migliore…
Amico: Non sono sicuro di avere afferrato… Ma quindi quale sarebbe la soluzione migliore?
Io: Eh, il fatto è che la soluzione migliore non si può sapere a monte, ma sarà il risultato di una serie di tecniche, strumenti e modalità che possiamo mettere in atto in ogni situazione.
Amico: Bah, mi sembra molto vago, non potresti farmi degli esempi concreti?
Io: Ci provo. Prendi ad esempio i concetti dimenticati…
Amico: Eh?
Io: Sì, i concetti dimenticati. Tipo il paradosso di Jevons, o l’ERoEI delle fonti energetiche, o l’energia grigia contenuta in ciascun oggetto. Tu pensi che basti cambiare le lampadine o comprare un’auto elettrica per diminuire il tuo impatto ambientale ma non è così! Se teniamo conto di questi aspetti quando analizziamo un problema è evidente che le energie rinnovabili da sole non potranno salvare il mondo!
Amico: Non so di cosa tu stia parlando ma mi pare roba molto tecnica, per addetti ai lavori…
Io: No, non è nemmeno così. In realtà ci sono strumenti semplici che tutti potremmo usare, ma non li usiamo perché non capiamo la connessione che hanno con il cambiamento. Ad esempio la sociocrazia, la facilitazione, la comunicazione non violenta… Arrivare ad una costruzione delle decisioni condivisa e collaborativa piuttosto che competitiva…
Amico: Aspetta ma che c’entrano queste cose con le lampadine?
Io: C’entrano eccome! Il fatto è che ci siamo sempre concentrati sul cosa facciamo, sulla ricerca della Soluzione, perdendoci per strada il come. E a quanto pare, quando parliamo di sistemi complessi, il come ha un’importanza tutt’altro che marginale!
Amico (stremato): Non ci ho capito niente, mi sembra tutto così vago…
Io: Certo, è vago perché nella nostra cultura non abbiamo i concetti per trasmettere questa roba qui. Ci mancano le rappresentazioni per trasmettere i concetti complessi senza ridurli a qualcosa di già noto e comprensibile. Magari dopo che avremo modificato la stanza…
Amico: Che c’entra la stanza ora?
Io: La stanza, sì, proprio la stanza… dobbiamo cambiare la stanza, uscire dalla piscina!
Mettendomi nei panni del mio malcapitato amico non capisco ancora cosa lo abbia trattenuto dal chiamare la neuro. Quello che per me era un discorso assolutamente comprensibile e razionale a lui suonava come arabo.
D’altronde se ripenso ai miei primi incontri con la transizione, spesso nella figura di Cristiano Bottone, le mie reazioni erano simili a quelle del mio amico. Me ne andavo senza aver capito esattamente quale fosse il punto, ma con la netta sensazione che avesse ragione lui.
Ora, dopo svariati approfondimenti, un Transition training e quest’ultimo incontro di formazione con tutti i colleghi e le colleghe di Italia che Cambia credo di essermi chiarito parecchio le idee. Sento di aver interiorizzato una serie di concetti e di “sapere” cos’è la transizione (pur essendo lontano anni luce dal padroneggiarla), ma di essere del tutto incapace di spiegarla o definirla.
Il problema principale nel definirla sta nel fatto che sfugge ai canoni tradizionali di classificazione. Non è sicuramente definibile attraverso il suo obiettivo finale: costruire un mondo più sostenibile è qualcosa di molto vago, che in tantissimi altri hanno provato a fare, eppure la transizione è un esperimento unico nel suo genere. Nè la si può definire tramite quello che fa, visto che i “transizionisti” fanno qualsiasi cosa sia utile in un determinato contesto. Sicuramente ha molto più a che fare con il modo, il metodo e gli strumenti che usa, ma a ben vedere anche una definizione che si riferisse solo a questi aspetti sarebbe molto riduttiva.
Da qualsiasi punto la si prenda, si ha la sensazione di non riuscire a spiegare il nocciolo della questione. La ragione c’è ed è molto semplice: non c’è un nocciolo della questione. La Transizione è un insieme di tantissime cose tutte funzionali ad agire su sistemi complessi. E come i sistemi con cui si relaziona, è essa stessa complessa e non riducibile alla somma delle sue parti. È molto di più della somma di tutte le tecniche che utilizza e di tutti i dati e gli studi di cui si serve. È concreta e vaga al tempo stesso. Somiglia un po’ a quelle immagini che riesci a vedere solo sfocando un poco la vista. Non appena provi a metterla a fuoco in un punto determinato svanisce, per cui sei costretto a guardarla sempre un po’ di sbieco.
Volendo fare una grossa semplificazione, giusto per appagare di un briciolo la sete di informazioni di chi è arrivato fin qui sperando di capire finalmente cosa fosse la Transizione, si può dire che nella transizione è sempre importante usare, nell’ordine, testa, cuore e mani. Quindi avere dati attendibili e pertinenti sul contesto in cui andiamo ad operare e sulle variabili presenti (testa), prendersi cura delle nostre emozioni e delle paure, condividerle, usare la facilitazione (cuore), infine agire come conseguenza delle due sfere precedenti (mani).
Ma questa qua sopra non è neanche lontanamente una definizione accettabile, e io stesso che ne parlo sento di avere ancora molta curiosità e tante lacune da colmare. In definitiva la transizione è un <a href=”https://www.migliori10casino.it/giochi-da-casino/slot-machine-online” style=”text-decoration:none;color:#000;>gran casino e l’unico modo per capire quello di cui sto parlando è provarla. Quello che posso assicurare è che funziona. Ce lo ha dimostrato Cristiano portandoci esempi dei risultati ottenuti e lo abbiamo sperimentato in piccolo anche su noi stessi e sul nostro gruppo.
È esattamente quel genere di cose che si capisce molto di più facendola che parlandone. Per cui bando alle ciance. Se vi interessa, se qualcosa fra le tante cose che ho scritto vi ha suonato come familiare, curioso, o intrigante, qua trovate tutti i contatti per approfondire: http://transitionitalia.it/. Per quanto ci riguarda, parlando come gruppo di Italia che Cambia, siamo usciti dalla due giorni con la sensazione di aver appreso davvero qualcosa di nuovo e indispensabile per chi come noi si occupa di cambiamento. Per questo mi sento di ringraziare Cristiano Bottone a nome di tutte e tutti. Non saremo più gli stessi!
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