21 Gen 2015

Io faccio così #56 – Social Street, quando la socialità a costo zero rinasce da Facebook

Scritto da: Francesco Bevilacqua

La storia del movimento delle Social Street, un incredibile esperimento di socialità di strada che ha trasformato le relazioni virtuali in legami reali. Ne abbiamo parlato a Bologna, città dove è nata l'iniziativa, insieme a Luigi Nardacchione, uno dei promotori.

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In meno di un anno, è decollata dalla piccola strada del centro di Bologna dov’è nata, contagiando tutta l’Italia, poi il Portogallo, il Brasile, la Nuova Zelanda, e coinvolgendo decine di migliaia di persone. Eppure è un’idea spontanea ed economica, con un obiettivo al tempo stesso semplice e rivoluzionario. Il tutto, partendo da uno strumento che molti considerano una trappola che porta all’alienazione sociale: Facebook. Luigi Nardacchione ci parla del fenomeno delle Social Street.

«Noi non abbiamo più coscienza di dove abitiamo», comincia Luigi descrivendo le riflessioni che stanno alla base del progetto. «Ci sono voluti quarant’anni per essere desocializzati. Io mi ricordo l’era pre-televisione: si stava fuori di casa, si giocava nei cortili, si viveva la strada. Noi vogliamo ricreare questa situazione, ma ci vorrà del tempo perché le persone si fidino di nuovo dei loro vicini».

Tutto nasce in realtà in maniera molto spontanea, quasi casuale: a settembre del 2013, Federico Bastiani – fondatore della prima Social Street in via Fondazza, una strada del centro storico di Bologna – ha cominciato a chiedersi come mai, nonostante abitasse lì da tre anni, non conoscesse nessuno. «Federico allora ha creato un gruppo su Facebook – ricorda Luigi – e ha affisso dei volantini sotto i portici della strada invitando la gente a iscriversi. Nel giro di un paio di mesi eravamo già più di duecento e fra questi c’ero anch’io. A novembre, in occasione del suo compleanno, Federico ha pubblicato un post proponendo di festeggiare insieme ed è stata l’occasione per ritrovarci tutti».

Via-fondazza

Quello che è successo è quasi paradossale: uno strumento virtuale, pensato per intrattenere contatti con persone lontane, è servito per far incontrare dal vivo fra di loro vicini di casa. «Il paradigma è stato sovvertito», osserva Luigi. «Questo perché nel mondo virtuale ciascuno di noi abbassa le barriere che erige contro il suo prossimo nel mondo reale. Basta sfruttare questo meccanismo in maniera positiva, generando una catena che ha l’obiettivo di ricreare socialità. Per questo abbiamo coniato lo slogan “dal virtuale al reale al virtuoso”».

In questo modo si colma anche il gap generazionale: «Il target primario è quello degli utenti di Facebook, che va mediamente dai 25 ai 40 anni, e ce ne rendiamo conto. Ma il passo successivo avviene con molta naturalezza e si creano occasioni di incontro – il compleanno è stato il primo esempio – in cui coinvolgere anche categorie che non hanno accesso al mondo del web, come gli anziani. I frequentatori hanno un background molto eterogeneo – studenti, pensionati, immigrati, piccole famiglie, pendolari che frequentano la strada ma non ci abitano –, ma Social Street li unisce tutti». Anche i ventenni, che spesso vengono considerati disimpegnati e poco interessati rispetto ad alcuni aspetti della vita di comunità, sono pienamente coinvolti. «Molti sono bolognesi, molti no», fa notare Luigi. «Nella nostra città abitano molte decine di migliaia di studenti fuorisede per i quali è fondamentale trovare un punto di riferimento in una realtà nuova e diversa».

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Tutto questo ha l’obiettivo di ricreare una socialità che è stata completamente distrutta: «Quando ci dicono che stiamo facendo tornare le strade a quarant’anni fa, rispondiamo con un’altra domanda: “Cos’è successo in questi quarant’anni?”. È successo che ciò che sta fuori dalla porta di casa ha cominciato a essere visto come qualcosa di negativo. Noi stiamo dimostrando che in realtà è esattamente il contrario: quello che è in casa può essere negativo, perché spesso corrisponde all’uso eccessivo e malsano della televisione e dei social network – quest’ultimo in particolare sta aumentando moltissimo, ma sta diminuendo la comunicazione fra le persone. Noi vogliamo utilizzare in maniera rivoluzionaria un sistema come Facebook, che hanno tutti quanti e che ha un costo pari a zero».

Proprio i costi nulli e l’assenza di sovrastrutture sono due aspetti vincenti dell’esperimento delle Social Street. «Non siamo un’associazione, non abbiamo tessere né quote d’iscrizione, non abbiamo uno scopo preciso e definito se non quello di creare socialità. Ognuno fa come vuole, si può entrare nel gruppo senza impegni, non ci sono riunioni né direttivi. Se qualcuno vuole usare il simbolo di Social Street – disegnato da una ragazza del gruppo che fa la grafica – lo può fare, ci deve solo assicurare di seguire i nostri principi. Siamo in tanti e potremmo avere un peso, anche politico. Per questo ci teniamo a ribadire un concetto: siamo totalmente indipendenti, non abbiamo bisogno di spazi né di strutture particolari, non abbiamo bisogno di legarci a nessuno per poter funzionare. Non abbiamo bisogno di soldi».

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L’attività organizzativa viene portata avanti in maniera gratuita dai volontari. Luigi, per esempio, è coordinatore della Social Street di via Fondazza e addetto ai rapporti con stampa e istituzioni della rete bolognese. In assenza di strutture gerarchiche, quello che funziona non è l’autoritarismo, ma l’autorevolezza. L’organizzazione nazionale non è verticistica, ma è costituita da tante reti locali – Bologna è la prima nata, ma ce ne sono anche a Roma, Milano, Firenze, Palermo, Ferrara e così via. A chi si iscrive su Facebook viene chiesto dove abita e in genere, dopo un periodo di frequentazione virtuale del gruppo, viene invitato ad aprire una Social Street nella sua strada, nel caso in cui non esista già.

«Ciò che conta non è quello che si fa, ma riuscire a trasmettere alle persone la sensazione di stare in un contesto sociale», osserva Luigi. «Il nostro obiettivo è quello di ricreare la comunità e la comunità si basa su tre cose: sui muri, sulle persone e sulle storie. Non a caso, abbiamo inventato “Le storie della grande Fondazza”, dei momenti di aggregazione in cui parlano gli anziani che hanno delle belle storie da raccontare. Così, anche il divario fra generazioni viene meno e sono tanti i giovani che vengono ad ascoltarle. In questo modo si può anche conoscere la storia della propria strada, recuperarne la memoria e comprenderne lo spirito».

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Quella avviata dalle Social Street è una piccola grande rivoluzione, il cui successo è dovuto alla semplicità dell’idea. «Il vero cambiamento – conclude Luigi – è uscire da uno schema precostituito che è quello economico. Ci vogliono far credere che tutto ha un prezzo. Io, come singolo individuo, ho due opzioni: lamentarmi oppure chiedermi cosa posso fare. E nel mio piccolo – che poi è un grande, perché se ragioniamo tutti così diventa il piccolo di 60 milioni di persone – so che posso fare tante cose. Perché l’Italia che cambia è la capacità di ognuno di noi di farla cambiare e di guardare in positivo quello che può fare e non in negativo quello che non può fare».

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