Calabria anno zero: con bizzòlo prende il via una narrazione diversa del Sud Italia
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Reggio Calabria - Gettare le basi per costruire un progetto di più ampio respiro, un festival del giornalismo che porti in riva allo Stretto non solo le voci più autorevoli della città e della regione ma anche quelle di tutto il territorio nazionale e internazionale. Era questo l’obiettivo – perfettamente centrato – del ricco calendario di eventi di bizzòlo – una festa del giornalismo. Scuotere la punta dello Stivale dal torpore in cui ogni tanto precipita e ravvivare il fuoco che cova sotto la cenere.
Tiziana Barillà e Fabio Itri sono gli artefici di questa iniziativa, proposta dal Lavoratorio dell’associazione More, editrice del periodico bizzòlo, da cui prende nome il festival. Una mostra dedicata al tema della spoliaziòne e lezioni popolari, conversazioni con ospiti – fra cui la nostra Selena Meli, di Sicilia Che Cambia – e registrazioni live. Il tutto interagendo con il pubblico e invitando la città di Reggio Calabria a riscoprire la propria identità, a imparare a conoscersi e fare rete per il bene della collettività.
Questa interazione ha permesso di unire il contributo di chi professionalmente si occupa ogni giorno di informazione con la curiosità del pubblico, di chi legge, esplorando in profondità alcuni dei temi più interessanti del giornalismo contemporaneo, dagli strumenti di difesa contro la propaganda al giornalismo costruttivo, alla prossimità come metodo di narrazione giornalistica. Il pubblico interessato ha coinvolto tutte le età: sono state numerose anche le presenze dei bambini, coinvolti soprattutto dall’associazione Adexo che ha promosso all’interno della Galleria le letture animate a loro dedicate e curate da Katia Colica. Ci siamo fatti raccontare da Tiziana e Fabio com’è andata.
Le vostre impressioni a freddo: come vi sentite dopo questa intensa settimana?
Stanchi ma felici. Un sacco di gente è venuta a sedersi sul nostro bizzòlo.
Qual è stato l’impatto che il festival ha avuto sulla città di Reggio?
Siamo stati accolti dalla città con curiosità e attenzione. Volevamo farci portatori di bellezza e complessità, e crediamo di esserci riusciti. Centinaia di persone hanno popolato per una settimana la nostra festa, partecipando attivamente a tutte le attività, dalle lezioni popolari alla mostra fotografica. Su questa festa ha scommesso anche il Comune di Reggio Calabria, che ci ha concesso la Galleria di Palazzo San Giorgio – un luogo prestigioso della città – nella settimana di festa maronna, quando tutta la comunità reggina è in festa.
Quali connessioni immaginate fuori dal territorio?
Diverse connessioni sono già in corso e questo ci incoraggia non poco. In questo anno zero abbiamo incontrato alleati sicuri su cui sappiamo di poter contare, sia in città che fuori e persino oltre l’Italia. Lavorare in Calabria, a Reggio, non vuol dire necessariamente isolarsi, anzi per noi significa partecipare al racconto globale da una prospettiva meridionale. Non siamo i soli a farlo, sappiamo che in molte e molti usano la parola e la fotografia come strumento liberatorio del sapere. Perciò, non vogliamo sentirci soli.
Puoi citare qualche elemento particolarmente rappresentativo che è emerso nei giorni di festival?
Uno in particolare. La partecipazione silenziosa e attenta di quanti hanno visitato la mostra. Abbiamo esposto una selezione di fotografie per raccontare con le immagini il territorio reggino spogliato, eppure ancora bellissimo. Una contraddizione che a queste latitudini rischia di diventare normalità, occorre resisterle.
Ripeterete questa esperienza anche l’anno prossimo? Con quali obiettivi?
Faremo di tutto per riuscirci. Del resto questa edizione zero per noi è stato un esperimento. Siamo fiduciosi, vorremo che questa festa diventasse con gli anni un festival liberatorio, capace di portare in riva allo Stretto il fermento del giornalismo indipendente.
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