I ragazzi di Fuoricampo Film, che con i loro cortometraggi descrivono il mondo con ironia
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Torino - Dentro il campo spighe di grano e uno spaventapasseri. Fuoricampo tre ragazzi appassionati. Non di agricoltura, ma di cinema e intenzionati a fare dell’ironia una cifra stilistica in grado di toccare intimamente le corde di chi guarda.
Riccardo di Genova e Bruno di Grugliasco si conoscono nel 2010 a Torino, durante un periodo di tirocinio all’interno della web tv dell’università. Tra i due studenti nasce subito un’amicizia ed emergono ben presto interessi e obiettivi comuni che li portano, dopo poco, a girare insieme i primi video.
Con il primo cortometraggio vengono alla luce i leit-motiv dei lavori successivi: l’ironia e il fantastico, con uno sguardo sulla società attuale. L’anno dopo realizzano “Il Futuro non è scritto”, un reportage girato come un cinegiornale dell’istituto Luce che denuncia la scomparsa del futuro e ne ricerca le motivazioni tra interviste grottesche e situazioni paradossali. Il tono, se pur farsesco, mantiene un occhio indagatore su quelle che sono alcune storture del contemporaneo. Per far riflettere con il sorriso.
Qualche anno dopo, in ambiente universitario, conoscono Stefano, un ragazzo di Como che diventerà il terzo componente di Fuoricampo, e realizzano “Il contrario di vita”, una commedia surreale che racconta di un ragazzo, un aspirante attore che invece di seguire la sua inclinazione, si ritrova a lavorare come spaventapasseri in un campo di grano.
Anche qui personaggi, dialoghi e toni da commedia si intrecciano, dando vita a tonalità favolistiche e immaginifiche, offrendo però uno sguardo allegorico sulla realizzazione di sé stessi, della propria vita e dei propri sogni e sulle frustrazioni di un lavoro alienante. Ed è proprio durante queste riprese nasce il nome Fuoricampo Film, che gioca con il termine cinematografico che indica tutto ciò che non compare visivamente nell’inquadratura e con il campo di grano, ambientazione principale della storia.
Ho deciso di approfondire con loro le peculiarità di Fuoricampo parlando dei loro progetti, passati e futuri.
Come definite l’approccio del vostro collettivo?
Uno dei nostri punti di riferimento è la commedia classica all’italiana di maestri come Monicelli, Risi e Germi, dove l’umorismo amaro e uno sguardo satirico e caustico sulla società sono la cifra più caratteristica delle loro opere. Nei nostri cortometraggi proviamo a recuperare quello spirito, ibridato inevitabilmente da tutta una serie di contaminazioni pop che hanno formato negli anni il nostro umorismo, dai Simpson alla Gialappa’s Band. Divertire e far ridere il pubblico – o quanto meno provarci – è uno dei nostri obiettivi primari e per questo ogni idea è approcciata sviluppando le sue potenzialità più ironiche, ricercando però sempre una certa amarezza inevitabile di fondo. “Tutto il tempo che vogliamo” che, dietro alla divertente e buffa storia di un corteggiamento fra anziani, rivela una riflessione più amara sull’Alzheimer e sulla malinconia dei ricordi, e “Mezze Stagioni”, un tuffo avanti e indietro nel tempo, toccando piccole tappe della vita di una coppia. Entrambi i cortometraggi sono stati sviluppati avendo ben in mente ritmi, dialoghi e dinamiche da commedia, ma lasciando comunque le porte aperte alla malinconia.
Dai vostri cortometraggi, oltre a uno sguardo ironico, emerge anche l’aspetto sociale: com’è nata questa sensibilità?
Al di là di quelli che possono essere interessi puramente registi o stilistici è importante che le storie, oltre a far divertire, raccontino qualcosa della società e dei nostri tempi. Non si tratta necessariamente di veicolare un messaggio, anzi, tendenzialmente sono corti che rifiutano l’intento moralistico. Ma sono senz’altro storie che vogliono porre delle domande e provare a stimolare la riflessione partendo da quello che ci circonda. Così se “ll contrario di vita” è soprattutto una riflessione su ciò che sacrifichiamo (tempo, sogni, affetti…) e sui lavori e alle condizioni che siamo costretti ad accettare, “Whitexploitation“, in cui si immagina una società in cui i cittadini di colore vengono “candeggiati” per poter essere accettati, offre una visione grottesca e paradossale di un futuro prossimo, per poter riflettere su determinate storture o visioni politiche contemporanee.
Si può dire che il cortometraggio è la vostra cifra stilistica?
Dedicarsi ai cortometraggi nasce inizialmente come scelta pragmatica. La loro breve durata comporta inevitabilmente un numero minore di giorni di lavorazione e budget più ridotti rispetto a un film vero e proprio. Chiunque sogni di fare cinema comincia dai cortometraggi. Questa però non è ovviamente l’unica motivazione, perché il corto risponde a regole di sceneggiatura diverse e a ritmi diversi rispetto a quelli di un lungo e per questo offre opportunità uniche e personalissime.
Realizzare un cortometraggio è una sfida: non solo provare a raccontare una storia nel minor tempo possibile, ma soprattutto individuare quell’idea che proprio nella brevità trovi la sua forza. Ci sono storie che non potrebbero mai essere raccontate in un film, risulterebbero inutilmente annacquate. Il corto invece diventa il contenitore ideale per alcune intuizioni, per suggestioni che hanno bisogno di uno sviluppo rapido ma comunque completo. A volte i limiti e i paletti, sia di tempo che di budget, diventano una spinta creativa ulteriore e in questo senso il corto è davvero stimolante.
La brevità caratterizza anche altri formati in cui la Fuoricampo si è cimentata, come spot pubblicitari o videoclip. Ci sono poi storie e progetti che nel breve formato dimostrano di stare stretti e chiedono di essere ampliati: è successo nel 2019 con “Manuale di Storie dei Cinema“, un documentario sulla storia e il valore della sala cinematografica, vincitore del Torino Factory dello stesso anno che, alla luce del lungo lavoro di ricerca e del materiale realizzato, aveva la necessità di esprimersi con maggior respiro. È dell’anno successivo la versione lungometraggio, il primo per Fuoricampo Film, che nel 2021 ha goduto anche di una distribuzione nelle sale, non appena è stata possibile la riapertura.
Avete recentemente lavorato a un cortometraggio per fare sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne, “Cadde la notte su di me“, per il quale avete lanciato una campagna crowdfunding in collaborazione con l’associazione me.dea onlus. Per affrontare questo argomento così di attualità avete scelto il genere fantascientifico, che è l’opzione stilistica meno scontata: in che modo questo darà un contributo concreto alla causa?
L’idea è stata ancora una volta quella di raccontare una tematica attuale attraverso una prospettiva inusuale, rifiutando il didascalismo tipico della comunicazione istituzionale e mettendo in scena una storia in cui l’argomento emergesse soltanto nel finale. La protagonista del corto non è un personaggio in carne e ossa, ma è fatta di metallo, circuiti e sentimenti. Sinceramente umana nella personalità, seppur esteriormente artificiale. Allontanandoci dall’immaginario consueto e attraverso un racconto allegorico pensiamo di poter estendere la riflessione oltre il giudizio morale sui personaggi ed evitare un’immedesimazione facile e acritica da parte dello spettatore.
L’obiettivo era soprattutto parlare al pubblico maschile, evidenziando e denunciando in maniera ancora più efficace la visione distorta di un rapporto possessivo e le sue inevitabili e violente conseguenze. La speranza è stimolare nel pubblico una riflessione d’impatto che evidenzi come alla radice di ogni comportamento violento ci sia innanzitutto un problema culturale. Il ricavato del crowdfunding andrà proprio all’associazione piemontese me.dea Onlus, che dà sostegno alle donne vittime di violenza.
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