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Catanzaro - Il Mezzogiorno d’Italia, con i suoi piccoli comuni, vive da decenni il grande rischio dello spopolamento, dell’abbandono e della desertificazione sociale ed economica. Siamo giunti a un punto di non ritorno e ai nostri occhi si prospetta una situazione paradossale: da un lato, l’acuirsi di problematiche storiche drammaticamente lasciate irrisolte, che comportano lo svuotamento del Sud; dall’altro, una speculare opportunità per il futuro, con la prospettiva di una potenziale risoluzione del fenomeno dello spopolamento con una nuova visione delle cose, probabilmente accentuata dalla pandemia e da ciò che ha creato in questi mesi con tutte le sue contraddizioni e complessità. Tra le sue macerie si intravedono ombre e luci, con dinamiche svariate e contorte di cui abbiamo preso consapevolezza e coscienza collettiva e che hanno fatto esplodere l’attuale sistema sociale ed economico con una crisi sanitaria e ambientale e con la messa in discussione dei vecchi paradigmi di produzione, stili di vita e modelli di consumo.
COSA FARE?
La sfida è riuscire finalmente a meridionalizzare l’Italia e ribaltare la prospettiva e la discussione politico-economica sul “Next Generation EU” con un nuovo pensiero meridiano. Ripartire quindi dal Sud stimolando Regioni e Comuni ad avanzare e far valere proposte concrete, utili a risolvere definitivamente la vecchia e nuova questione meridionale e a colmare il doppio divario Nord/Sud e Italia/Europa, le forti diseguaglianze tra cittadini e territori e il disequilibrio demografico. Il Piano nazionale di recupero e resilienza potrebbe essere l’ultima occasione per non far morire il Sud, le aree interne e i suoi borghi.
BADOLATO
Le dinamiche dello spopolamento sono quasi sempre le stesse – tra eventi e catastrofi naturali, grandi emigrazioni di massa, soffocamento dei territori da parte delle mafie, crisi economiche e disoccupazione – e i badolatesi le conoscono molto bene. Infatti, l’esperienza del nostro borgo, che nei decenni passati ha rischiato di divenire un “paese fantasma”, insegna che la resistenza decisa al latente processo di abbandono e spopolamento può condurre a una rivitalizzazione sociale ed economica, seppure lenta, in chiave soprattutto turistico-culturale, con un’idea di turismo attento alle persone e all’ambiente e lontano dall’essere un meccanismo di consumo.
Una rivitalizzazione resa possibile dall’implementazione di un modello pioniere di “ospitalità diffusa”, nato a ridosso dei progetti sperimentali di accoglienza ai migranti e sviluppatosi meglio intorno al 2000/2001, con un suo micro-sistema di economia sostenibile costruito dal basso, in cui il Genius Loci è la stessa comunità locale che – in un paese-comunità come Badolato, oggi crocevia di popoli e culture – è da secoli vocata alla “filoxenia” (amore per il forestiero), a forme autentiche di accoglienza e ospitalità con processi virtuosi di contaminazioni interculturali pro-positive.
STRANIERI, UNA RISORSA DA COLTIVARE
Al momento, nel centro storico di Badolato – un vero e proprio “borgo natura – slow & smart” – sono domiciliate oltre 200 persone e tra queste sono oltre 60 (tra permanenze stabili e lunghi soggiorni) sono le cittadine ed i cittadini stranieri (pensionati, famiglie con bambini, singoli, migranti) che abitano, vivono e interagiscono nei e con i luoghi che caratterizzano il vivere quotidiano di Badolato. È in atto in piccola scala un fenomeno interessante che sta dando forma e corpo alla nascita di una nuova comunità interculturale e di respiro internazionale, composta da cittadini storici autoctoni e dai cosiddetti “neo-badolatesi/badolatesi d’adozione” quali ad esempio turisti italiani ed esteri, “cittadini temporanei” con famiglie di ospiti stranieri, migranti. Un microcosmo di globalizzazione sostenibile caratterizzato da coraggiose “restanze”, straordinarie “ritornanze” e interessanti “nuove arrivanze”, a cui si aggiunge un segmento turistico importante – a tratti sproporzionato, ad esempio nel mese di agosto, che andrebbe regolato e gestito diversamente –, caratterizzato da un variegato mondo di visitatori, ospiti, turisti residenziali, viaggiatori, nuovi cittadini.
Altro dato importante è il fatto che a Badolato sono circa 80 le famiglie straniere – provenienti soprattutto dal Nord Europa (svedesi, danesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, olandesi, francesi ecc.) – che hanno acquistato casa nel borgo, circa 100 nella frazione marina (fenomeno immobiliare e di rigenerazione urbana interessante che in questi mesi di emergenza e crisi Covid-19 è ulteriormente aumentato, in proporzione, sia quantitativamente che qualitativamente). Sono quindi oltre 60, anche famiglie con bambini (circa 20), gli ospiti stranieri – tra neo-cittadini badolatesi e cittadini temporanei – che si sono trasferiti a vivere nel borgo durante l’intero anno, a volte con formule di “turismo residenziale” virtuoso (con formule di “turismo immersivo”, grazie al quale si può vivere appieno i luoghi), acquistando anche appezzamenti di terra per l’autoproduzione del cibo e/o avviando progetti innovativi di rigenerazione urbana e rurale di alcune aree abbandonate di Badolato. Per tanti un “buen ritiro”, per altri una “nuova destinazione umana” con una scelta di vita alternativa e coraggiosa, forse dettata anche da un pensiero d’avanguardia.
Ai numeri citati si devono aggiungere, inoltre, le tante “dimore” acquistate e ristrutturate (circa 100 unità), vissute stagionalmente e quindi trasformate in residenze estive o turistiche, da tanti “badolatesi d’adozione” (italiani e stranieri) appartenenti al mondo dello spettacolo e della cultura. Sono stati anche tanti i cittadini locali o gli emigrati badolatesi, sparsi in giro per il Mondo, che hanno ristrutturato le proprie case di famiglia nel borgo o dato vita a progetti innovativi nella filiera turistico-commerciale ed agricola-alimentare.
I PROCESSI DA INNESCARE
Un percorso di rivitalizzazione lento e paziente, che va sostenuto e che in questi ultimi anni ha fatto registrare – anche se per il momento solo durante la stagione turistica – la nascita e crescita di piccole attività turistico-commerciali gestite anche da giovani famiglie ed operatori.
Per far ciò bisogna impegnarsi a potenziare la rete dei servizi locali e territoriali, partendo dai presidi sanitari e dalle infrastrutture, anche di carattere sociale; serve un “recovery future” capace di puntare a investimenti green, investimenti pubblici strutturali e mirati, volti a creare anche ridistribuzione della ricchezza e nuove opportunità di lavoro, partendo dall’innovazione tecnologica e digitale; creare spazi comunitari di civiltà e bellezza, facendo diventare la marginalità e l’isolamento tipicità e valore aggiunto; internazionalizzare ulteriormente il processo avviato in questi anni con uno slancio rinnovato e strutturato; alzare il livello di vivibilità e l’offerta di servizi in generale; continuare inoltre a riqualificare l’esistente, preservando la vera ricchezza che era e resta il contesto naturalistico che vanta, in pochi chilometri quadrati, “quattro dimensioni” quali mare-spiagge, collina-borghi, campagna-agricoltura-fiumare, montagna-cascate-laghi.
Bisogna agire con una visione prospettica volta a innescare processi “slow & smart”, capaci di combinare tradizione/autenticità/lentezza e innovazione/economie sostenibili e agili, autoctoni e forestieri, con borghi e paesi dell’entroterra sempre più aperti al Mondo. Anche il “South Working”, fenomeno nato in questi ultimi mesi, sposato dalla Fondazione con il Sud e dalla SVIMEZ, potrebbe essere seriamente un’occasione di rilancio del di questo territorio. Una svolta epocale, anche rispetto al capovolgimento dei paradigma di produzione e del sistema di lavoro. Una opzione soddisfacente per i tantissimi “nomadi e creativi digitali” internazionali e per chi vorrebbe tornare o trasferirsi al Sud, coniugando nei fatti il proprio lavoro ad uno stile di vita lento e sostenibile, tipicamente mediterraneo.
Un’inversione di rotta e di prospettiva anche politica ed economica: l’ossessione per la “pura crescita economica” e per il profitto, causa dei problemi attuali, non può più essere vista come la loro stessa soluzione. La sfida è anche liberare le persone dalle grinfie del lavoro, della produzione asfissiante e del surplus del lavoro del sistema capitalistico neo-liberista, e dar loro più tempo per godersi i luoghi, viverli insieme al resto della comunità. Provare quindi a godersi la propria vita in pieno e reale Ben-Essere e a stretto contatto con “Madre Natura”, riconquistando e praticando sempre il “diritto di respirare”, poiché può esser la stessa Natura a far sparire ogni paura, vecchia e nuova.
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