Comunità

I cuneesi hanno valorizzato il loro spirito imprenditoriale e l’hanno messo a disposizione delle comunità in cui vivono. Le imprese offrono ai loro dipendenti servizi di welfare, mentre le associazioni di cittadini si occupano di individuare e sostenere le famiglie e gli individui più fragili. Orti collettivi ed empori di solidarietà si moltiplicano in città così come in campagna e nelle valli sempre più riabitate… Insieme si producono davvero cambiamenti profondi!


Hanno partecipato:

– Anna Zumbo, Ecovillaggio L’Altrove

– Gianluca Giorgis, Cooperativa Momo e Casa del Quartiere Donatello

– Clara Mottura, Associazione Charaiveti

– Elisa Dalmasso e Giulia Marro, Associazione Micò

– Walter Vassallo, Associazione Spazio Vitale

– Francesco Belgrano e Pietro Anania, Cooperativa Franco Centro e Associazione MondoQui

Ha facilitato: Pietro Cigna

Persone che hanno individuato il tema durante gli incontri estivi:

– Francesca Veglio
– Francesco Lerda
– Gabriele Orlandi, NEMO – Nuova Economia in Montagna
– Giulia Filomena, Pro-tetto migranti
– Lucia Penazzo, Puliamo il Mondo(vì)
– Noemi Boglione
– Pietro Anania, MondoQui
– Umberto Batticciotto, Rizomatica,
– Walter Vassallo, Spazio Vitale – La Milpa orto collettivo
– Elisa Dalmasso, Associazione MiCò


LA FOTOGRAFIA ATTUALE

Punti di forza

I punti di forza della provincia di Cuneo da noi individuati in ambito di comunità sono suddivisibili in quattro macro-categorie strettamente collegate tra loro:

Lavoro ed Educazione

Vivacità Associativa

Valorizzazione della Cultura e del Territorio

Creatività e Innovazione

La combinazione di questi elementi favorisce la nascita di esperienze associative, di stili abitativi alternativi e sostenibili, di esperimenti di economia circolare e solidale, e di creazione di un senso di comunità e vicinanza.

1 Lavoro ed Educazione

La provincia di Cuneo gode, in generale, di una situazione socio-economica molto florida ed al di sopra della media piemontese e nazionale.

Nello specifico, si notano:  

Contribuendo a ridurre diseguaglianze e limitare la disgregazione sociale, questi elementi rappresentano un solido punto di partenza per la nascita di esperienze associative e la creazione di un senso di comunità.

2 Vivacità Associativa

Due elementi portanti della provincia di Cuneo rispetto al tema Comunità sono:

Essi denotano uno spiccato interesse di parte della popolazione verso progetti sociali ed esperienze comunitarie dove l’auto-organizzazione e la partecipazione sono elementi fondamentali.

Questa vivacità associativa è favorita – e potrebbe ulteriormente esserlo – dalla disponibilità di spazi e luoghi di incontro (già in utilizzo o vuoti e dunque potenzialmente recuperabili).

3 Valorizzazione di Cultura e Territorio

Un altro elemento favorevole alla creazione di un senso di comunità in provincia di Cuneo è il processo di rivalutazione e valorizzazione del territorio, iniziato negli anni ‘80.

Nello specifico, si notano:

4 Creatività e Innovazione

Come dimostrato da numerose esperienze recenti, è presente sul territorio una forte spinta verso la creatività e l’innovazione in ambito economico. Ad esempio, hanno recentemente preso vita numerose attività imprenditoriali innovative così come diverse esperienze di sharing economy. Inoltre, si nota nelle persone una maggior consapevolezza delle risorse che hanno a disposizione e la volontà di usarle creativamente (a volte – comunitariamente) per migliorare la propria qualità della vita e quella degli altri.

Punti di debolezza

1 La morfologia del territorio

La vastità, la frammentarietà e la morfologia del cuneese vengono segnalati come punti di debolezza per diversi motivi. In primo luogo, in quanto aumentano la complessità di intessere legami intra e infra comunitari per le distanze e per la carenza di collegamenti tramite mezzi pubblici. Inoltre, perché rinforzano la peculiarità delle sette sorelle (Alba, Bra, Cuneo, Fossano, Mondovì, Savigliano e Saluzzo), sette città che per la loro storia, prima ancora che per estensione territoriale, sono caratterizzate da una significativa riconoscibilità che va ben oltre i confini della regione. Infine, in quanto aumentano la disuguaglianza tra la pianura dotata di servizi e mezzi di trasporto più o meno efficienti, le ampie zone collinari e le valli alpine spesso sprovviste di servizi essenziali e difficilmente raggiungibili.

2 Autoesclusione e marginalità

La marginalità spesso viene considerata come caratteristica fondante di un territorio effettivamente periferico da un punto di vista geografico. Questa percezione si manifesta in diverse aree e realtà con un atteggiamento indifferente rispetto alla possibilità di essere attori di cambiamento, e in un atteggiamento passivo rispetto alle grandi sfide di questo tempo.

La percezione di un confine ristretto al proprio interesse, alle proprie possibilità ed al proprio potere di incidere, spesso impedisce lo slancio, l’interesse allo scambio, l’apertura alla novità, la disponibilità all’incontro con altre realtà, riducendo di fatto la possibilità di creare sinergie foriere di cambiamento.

3 Frammentarietà

Della grande eterogeneità e frammentarietà morfologica, e del prevalente senso di appartenenza ad identità territoriali di dimensioni ridotte, risente anche la società civile organizzata. Questa infatti, risente spesso di un mancato ricambio generazionale, nonché di comunicazione e coordinamento tra progettualità; è statica, spesso conservatrice nelle pratiche e incapace di interventi e progettualità sistemiche.

4 Mancata inclusività

Nelle scelte politiche è spesso limitata la consapevolezza del legame tra sviluppo sociale (es. inclusione e partecipazione) ed economico (es. riduzione della povertà) dei territori.

Le categorie socialmente e fisicamente marginalizzate, beneficiarie di interventi del terzo settore, spesso non vengono coinvolte attivamente nell’ideazione di progettualità.

Mancano inoltre strumenti per includere efficacemente le persone svantaggiate nei processi decisionali.

5 Fare cose nuove con metodi vecchi

La scarsa conoscenza e la ritrosia a sperimentare nuovi metodi e approcci al lavoro di comunità, alla facilitazione dei processi, alla costruzione partecipata delle agende, alla co-progettazione del sociale,  ad approcci multistakeholders e community based, fa sì che si affrontino le nuove sfide sociali con metodologie poco efficaci ed obsolete, riducendo sostanzialmente la possibilità di impatto del cambiamento auspicato sulla realtà.

Inoltre, la modalità consolidata in diverse organizzazione di lavorare prevalentemente “per eventi”, aumenta lo scollamento tra vita comunitaria e vita individuale, ostacolando il raggiungimento di cambiamenti radicati, consapevoli e duraturi.

6 Poca apertura

Soprattutto in ambito sociale e culturale, si rimarca un generale scollamento tra dimensione globale e locale della vita e dei processi collettivi. C’è poca consapevolezza delle interconnessioni sociali, economiche e politiche tra i diversi livelli e del fatto che in queste relazioni si possano costruire o trovare opportunità e sinergie per migliorare la qualità della vita nelle comunità locali.

Questo poco interscambio tra la dimensione più ampia (metropolitana, nazionale ed europea) e quella locale (provinciale) crea distanza, solitudine e scarsa curiosità propulsiva. I giovani in particolare trovano poca soddisfazione, sia perché non viene loro riconosciuto il valore aggiunto che possono portare, sia perché non riescono a dare il loro contributo nel migliorare la società in cui vivono. 

7 Scarsa propensione al cambiamento

L’idea di comunità, l’immaginario inerente, la forma che assumono le diverse componenti del senso di comunità, cambiano certamente nel tempo e nello spazio. Qui e oggi, assumono certamente significati nuovi se si allargano sguardo, relazioni ed esperienze oltre ai confini territoriali delle comunità locali.  

In questo senso, si riscontra diffidenza rispetto a nuovi modi di intendere e costruire comunità e senso di comunità, resistenza al nuovo e scarsa propensione al cambiamento, diffidenza alla mixité e conseguente fatica a rintracciare soluzioni innovative che possono provenire da altri territori.


VISIONE 2040

Immaginare il futuro con i piedi ben piantati per terra ma la testa in aria, che cerca di intercettare il meglio di ciò che già sta avvenendo in tante aree d’Italia e del mondo. Questo è quello che ci siamo proposti di fare in questa sezione: costruire una visione, provare a vedere come potrebbe essere la nostra provincia per quanto riguarda il discorso comunità tra vent’anni, nel 2040.

Per fare questo esercizio abbiamo scelto di scrivere due racconti, con l’intento di stimolare il lettore a calarsi in una realtà nuova, dalla quale raccogliere stimoli per risvegliare l’entusiasmo e la voglia di lavorare passo a passo per migliorare il territorio in cui viviamo.

Nella nostra visione ci sono gli elementi più disparati quali trasporti collettivi, ecovillaggi, utilizzo di metodi di facilitazione per gestire incontri pubblici, autoproduzione, efficienza energetica, coabitazioni solidali, educazione in natura e solidarietà interreligiosa. 

Buona lettura!

Primo racconto

Lallo, abitante di Borgata Baracche, si sveglia al mattino e scende a preparare colazione.

Quarant’anni, ideatore di un sistema di job sharing in agricoltura: aziende agricole in rete che condividono manodopera, strumenti, macchinari e prodotti. Lavora in smart working da casa ha scelto di vivere sulla collina dopo anni di vità in città. 

Ha due figli, ed è sposato con Betta. 

Lallo, Betta e i bambini vivono in una grande borgata ristrutturata negli anni, insieme ad altre tre famiglie scegliendo tecniche e materiali a basso impatto ambientale, con una resa altissima in termini di risparmio energetico, di equilibrio e valorizzazione della natura intorno, che è un piacere andarli a trovare! 

C’è chi è artigiano e lavora il legno, c’è chi insegna nel liceo della città vicina, c’è un medico, una famiglia ha scelto di occuparsi totalmente del lavoro nell’azienda agricola. Insieme, i tre nuclei si occupano di orientare ed informare altre famiglie, singoli  e giovani, sulle possibilità di ripopolamento delle altre borgate.

Prendono contatti con proprietari di case abbandonate e accompagnano i possibili interessati a visitare le case  e a sondare possibilità lavorative. Queste attività di orientamento rientrano nelle attività della loro Associazione Culturale all’interno della quale propongono anche corsi di artigianato, permacultura e tessitura.

Propongono una volta al mese un cineforum e, nell’estate, ospitano compagnie teatrali e circensi in residenze artistiche aperte a tutta la comunità.

I tre nuclei cooperano insieme nelle attività dell’Associazione Culturale attraverso lo strumento della facilitazione e ogni decisione presa  è raggiunta tramite il metodo del consenso.

Lallo e Betta si occupano di organizzare corsi sulla facilitazione aperti agli interessati.

La borgata è un riferimento per coloro che sono interessati e vogliono riscoprire o sperimentare modi conviviali, solidali, equi, ecologici e sostenibili di abitare, produrre e partecipare (e concorrere ad animare) alla vita sociale e culturale del territorio.

Alcuni di loro, più a valle, insieme ad altri gruppi ed associazioni e in collaborazione con le amministrazioni del territorio, hanno dato vita ad un servizio innovativo per la progettazione di nuove opportunità di sviluppo economico del territorio, generando nuove opportunità di lavoro anche per chi arriva da fuori e sceglie di insediarsi nella zona.

La borgata è subito fuori dal paese e il via vai è continuo.

«Ciao Paul, com’è’ andata ieri nei campi?».

«Bene, eravamo tanti: Maria, Beppe, Gianni e anche Toju, l’anziano del centro».

«Ah si, quello che fuma la pipa mi ricordo… Alla fine anche lui ha deciso di partecipare?».

«Si, sono diversi ormai in paese… Tu sei qui da poco… Ti racconto: all’inizio si legava con difficoltà in paese, si scambiava qualche prodotto con alcune persone, ma poco dopo molto è cambiato: adesso si collabora in maniera importante in tante attività e, sebbene le persone di paese vivano al di fuori del nostro co-housing, io non vedo la separazione!».

Nei terreni recuperati alla coltivazione si sono re-inserite le antiche coltivazioni di segale grano e canapa. A Borgata Baracche c’è un forno comunitario che l’associazione del paese accende ogni sabato dove gli abitanti possono portare il loro impasto per cuocere insieme il pane e i dolci.

La canapa è stata una recente scoperta! È stata reinserita nella coltivazione e Frida, una ragazza messicana arrivata da poco, ha attivato un piccolo laboratorio di tessitura a telaio e produce tessuti che vengono tinti con colori naturali delle erbe tintorie locali da raccolta spontanea.

«Bello Lallo! Wow, interessante questa cosa! Senti, oggi tocca noi in cucina?».

«No stasera abbiamo la Festa di Marzia, ricordi? Si era organizzato un gruppo per occuparsi di tutto».

«Ah ok, che dici, sentiamo Beppe se viene con noi a valle? Guardo sulla app se c’è’ qualcuno che si muove ed inserisco la richiesta, ti va?».

«Si dai! Beppe!».

«Si? Ohhhh Lallo e Paul! Quant temp!». 

«Vieni con noi a valle?». 

«Volentieri! Che si fà?».

«Car sharing o car pooling per cominciare. Prenoto subito per tre e attendiamo la notifica! E poi, oggi so che portano avanti la ristrutturazione ai Laghi del Sale, il progetto di rete comunitaria con i cittadini che cooperano in gran parte delle attività».

«Mah…! Non so come faccia ad andare d’accordo tutta quella gente! Chissà che difficoltà incontrano!».

«È arrivata l’auto!».

«Ciao ragazzi! Ah siete voi i tre con cui divido il viaggio oggi? Pronti, via!».

«Eh certo che questi posti sono fantastici…. Con gli alberi dalle mille varietà di verde rosso e giallo, rocce, colline e cime! È un bel periodo per vivere qui!».

«Lo è sempre sai…?».

«Lo immagino!!!».

«Arancia?».

«Volentieri! Da dove vengono?».

«Le arance vengono dalla Calabria da una associazione e cooperativa che si chiama SOS Rosaria che è nata per fare fronte allo sfruttamento dei migranti in agricoltura e all’abbandono delle coltivazioni di arance. La grande distribuzione e i meccanismi di mercato impoverivano sempre più i contadini ma attraverso la creazione di gruppi d’acquisto il territorio della piana ha preso una nuova vita e le arance e le clementine da coltivazione biologica arrivano anche sulla nostra tavola e vengono pagate il giusto. Le arance sono distribuite dal gruppo d’acquisto che qui è coordinato da Salif un ragazzo del Gambia che raccoglieva le arance quando c’erano le baraccopoli dei lavoratori sfruttati».

«Che buone, wow! Se possibile ne prenderei anch’io, visto anche quello che mi hai detto al riguardo!».

«Dunque, che fate di bello ai Laghi del Sale?».

«Oggi partecipiamo ad un workshop sull’intonaco di terra cruda con l’azienda SoleNatura che ha fornito le maestranze e i materiali per la ristrutturazione di un vecchio edificio da adibire a Centro di aggregazione, sale studio e co-working. La ditta impiega solamente materiali provenienti da filiere certificate e garantite come sostenibili, ha un bilancio etico e un bilancio energetico con impatti positivi su società e ambiente».

Grazie a progetti come questo, che migliorano le condizioni del suolo, generano lavoro per le imprese e rafforzano i legami di comunità, la vivacità della zona è aumentata insieme alla popolazione residente.

Hanno persino aperto due scuole materne che erano chiuse da secoli e si è scelto di privilegiare pratiche educative di tipo democratico che, partendo da una forte connessione con il territorio, attraverso l’educazione all’aria aperta e la cura della motivazione interiore come motore dell’apprendimento, permettono a bambini e ragazzi di sviluppare capacità e competenze nuove imparando facendo e facendo insieme.

Le feste in Borgata Baracche sono co-organizzate, ogni comunità religiosa partecipa ad un tavolo di coordinamento in cui si offre spazio e apertura nella partecipazione a tutti gli abitanti. Il calendario delle feste è costruito insieme, cercando di dare valore ai significati simbolici delle festività di ogni gruppo culturale coinvolto.

L’amministrazione di Borgata Baracche coinvolge attivamente i cittadini nel bilancio partecipato: una parte di bilancio comunale viene destinato alla realizzazione di opere, servizi, ristrutturazioni di bene comune. 

I gruppi di cittadini che deliberano sono misti e includono diverse categorie di popolazione: adolescenti, giovani adulti, adulti e anziani senza alcuna discriminazione di origine.

«Vieni anche tu a vivere a Borgata Baracche?».

Secondo Racconto

L’incontro. Una mattina nel 2040.

«Prossima fermata, stazione di Margarita… Raccomandiamo a passeggeri e passeggere di tenere a portata di mano il titolo di viaggio…Trenitalia ringrazia per la collaborazione e vi augura un buon viaggio». Mentre il messaggio registrato risuona nei vagoni retrò, un ragazzo sembra litigare con se stesso, gesticolando di fronte al volto con la mano destra. Vorrebbe consultare l’orario di arrivo, ma i tempi di caricamento sono lentissimi e sullo schermo integrato nell’angolo destro della lente dei suoi occhiali continua ad apparire un futile messaggio di errore accompagnato da quegli odiosi puzzle game che vorrebbero stemperare il nervosismo dato da problemi di connessione vari ed eventuali. 

«Inutile, ragazzo – lo consola un altro passeggero, che ha assistito alla scena – Sono pendolare su questa linea, puoi anche lasciar perdere: sono mesi che il wifi traballa. Ormai mi sono aggiustato con un vecchio modem portatile, funziona molto meglio e almeno la posta posso consultarla. Un mio conoscente che fa il capotreno dà la colpa ai continui sabotaggi delle linee 6G. Io questi ribelli dell’ultima ora proprio non li posso capire. Fino al 5G andava tutto bene, e un bel giorno si svegliano ed è rivolta. Assurdo. E così ci ritroviamo costretti a comprare a bordo il biglietto cartaceo, neanche fossimo nel 1940…».

Il treno corre a circa 70 chilometri orari in direzione Cuneo. 

Siamo nel 2040, è il 14 marzo. Un tiepido mercoledì d’inizio primavera: la fioritura dei pruni è ormai conclusa, e l’assottigliarsi della neve sulle montagne ha posto fine dal fine settimana precedente alla stagione sciistica. Non che sia semplice andare a sciare: con la penuria di carburante si è giunti al paradosso che soltanto qualche vip da Torino Metropoli possa giungere in auto privata fino alle piste. E difficilmente vengono qua, preferiscono il ghiacciaio dell’Adamello in Trentino, dove da qualche anno le nevi sono protette durante la stagione calda attraverso complicati sistemi di isolamento termico con materiali sintetici. So smart!

Soltanto le scuole e altre istituzioni, pubbliche o private, possono organizzare degli autobus collettivi per raggiungere le piste, fortemente sovvenzionate da fondi statali. 

Edoardo è riuscito a sciare sì e no una mezza dozzina di volte, durante l’ultima stagione, grazie ai biglietti calmierati concessi agli studenti dei Licei di Mondovì. Le precipitazioni sono state molto scarse fino a febbraio, e la neve dei cannoni non era davvero un granché. Poi ha cominciato a scendere, fin troppo abbondante, una neve a fiocchi grossi, ininterrotta, che non è durata a lungo. I primi caldi di marzo hanno ridotto le piste a un colabrodo, e fine  della storia. Evviva la primavera!

I campi di pianura, saturi d’acqua, non sono ancora stati lavorati dai grandi trattori elettrici. La massicciata su cui sfreccia la vecchia motrice diesel è assediata da pozze e allagamenti, in cui galleggiano resti delle coltivazioni dell’anno precedente. A distanza di quindici anni dalla riattivazione della linea e nonostante le proteste di numerosi comitati civici e amministrazioni, l’alimentazione elettrica sulla linea non è ancora stata del tutto ripristinata e, in mancanza di fondi, Ferrovie dello Stato preferisce lasciare al suo posto la vecchia motrice. Le sovvenzioni per il diesel non mancano, e l’autosufficienza energetica totale sbandierata dal vecchio Green Deal,  oggi poco oltre il 50%, è ancora un obiettivo lontano. Dopo l’estensione della primavera nigeriana ai paesi limitrofi nei primi anni ‘20 e l’inasprimento della “guerra dei dazi” tra Cina, USA ed Europa, i prezzi sono saliti a dismisura. E nonostante ciò, un’ampissimo campo solare funziona a pieno regime nei pressi della frazione di S. Biagio. Edoardo lo sa bene, grazie alle noiosissime gite eco-naturalistiche promosse dal progetto europeo “AAA: Appreciating Active Anthropocene” che aveva incluso, oltre a un paio di passeggiate tra l’Oasi di Crava-Morozzo e il Campo Solare, una visita guidata alla nuova mostra sulla CCS (Carbon Capture and Storage) promossa dall’ENI, sempre avanti nella ricerca energetica, presso la Casa del Fiume di Cuneo.  Il paesaggio non è un granché, una sequela quasi ininterrotta di case scrostate e magazzini industriali in stato di evidente abbandono. Per fortuna, i nuovi occhiali augmented reality permettono a Edoardo di vedere altro, fuori dai finestrini del treno, una nuova ricostruzione del paesaggio in modalità flashback al 1840. Carri, strade fangose e una distesa impressionante di neve bianca, dalle pianure alle montagne. Il tutto caricato offline, grazie a dio, ché con questa connessione di merda non potrebbe neanche rispondere a una videochiamata da casa. L’imprevisto distacco dalla rete gli provoca una leggera ansia, un impercettibile ruga sul volto liscio e bianco incorniciato da una nuvola di capelli biondi. E i suoi occhi azzurri guardano altrove, al passato… Dimenticando per un momento il presente con le sue miserie e il futuro, incerto come sempre. 

Edoardo è diretto a Cuneo, dove parteciperà a un’iniziativa di orientamento post-scuole superiori.

La giornata, che sarà strutturata con il metodo della open space technology, lo incuriosisce. Dopo cinque anni di studi liceali, non ha ancora ben chiara la direzione che vorrebbe imprimere al suo percorso di vita. Sa soltanto che vorrebbe andare via, via da questa provincia che lo opprime, via dal centro storico di Mondovì Alta, con i suoi vicoli e i vecchi a passeggio sulla Piazza Maggiore. La sua famiglia lo capisce e non giudica, anzi, soprattutto suo padre Francesco. Fissandolo negli occhi, le iridi dell’uno hanno specchiato le altre, le vecchie e le giovani come due cieli tersi di inverni lontani e diversi, eppure entrambi a modo loro pieni di speranza. 

«So che vuoi partire, l’hai detto tante volte e rispetto la tua scelta – ha esordito il padre – Ebbene, vai, sei libero. Ma dietro ogni voglia va costruito un progetto, altrimenti si rischia di perdere la bussola, non sei d’accordo? – segni di insofferenza adolescenziale sul giovane volto del diciottenne – Ed io voglio aiutarti a progettare. Una coprogettazione familiare, che ne dici?». 

Francesco, suo padre, lavora, da quando Edo è nato, in una cooperativa sociale che gestisce un caffè, un ostello, un laboratorio di autoproduzione alimentare e sedici ettari di terreno agricolo. Il caffè è una realtà che gli è sempre piaciuta. Timido e riservato, non invidia affatto il lavoro di Mini, il brillante barista cinquantenne che sembra essere in ogni angolo del Caffè in ogni momento, conosce i clienti per nome e scherza con chiunque attraversi lo spazio; e neppure invidia le persone più o meno giovani che svolgono brevi tirocini professionalizzanti in cooperativa, per concludere il loro percorso di preparazione alberghiera. Si è sempre trovato a suo agio in ufficio. Ricorda, da bambino, i pomeriggi passati  a fare i compiti nell’ufficetto al primo piano ammezzato, sopra il magazzino, mentre il vecchio Flavio, giocoso e accogliente per natura, si rompeva la testa su stipendi e forniture. Era un ambiente perfetto per studiare in tranquillità, e il tempo avanzato, se gli riusciva di finire in tempo i video-esercizi, lo passava appollaiato su uno sgabello da bar, a guardare, oltre le spalle curve dell’amministratore, le schermate misteriose e affascinanti del software gestionale, immaginando di essere lui a organizzare turni di lavoro, spedizioni e aperture straordinarie.

Suo padre sa bene di questa passione. Per questo gli ha proposto di prendere un anno sabbatico (non gli sembra vero!) e accompagnare un membro della Milpa nell’ennesima avventura nel Chiapas messicano, la terra da cui proviene l’ormai leggendario caffè Tatawelo, da parecchi anni punto forte della caffetteria del Sociale. Il mitico macinino a manovella poggiato sul bancone, il set di caffettiere moka appese in bella mostra alle spalle del barista e il dispensatore a cascata di chicchi di caffè tostati per l’acquisto sfuso, erano parte dell’arredamento da quando Edoardo ne aveva memoria. Il macinino, la moka e il fornelletto a gas si erano imposti durante il periodo dei blackout, che aveva coinvolto buona parte dell’Europa centrale una decina d’anni prima. La quantità di cose che non era possibile fare in mancanza di corrente elettrica aveva stupito la gente, abituata alla fornitura di elettricità da oltre cent’anni. Anche un’azione banale come preparare un caffè al bar era diventata complicatissima. Durante i primi mesi di interruzioni il Caffè era stato semplicemente costretto a chiudere, come tantissime altre attività commerciali. D’altronde, anche  i treni subivano rallentamenti e il flusso di passeggeri (e quindi di potenziali clienti) ne aveva molto risentito: sembrava quasi di essere tornati ai tempi di magra e di incertezza del coronavirus! 

Poi, come pure era successo in emergenza sanitaria, anziché attendere, stringendo la cinghia, il ritorno della normalità, la cooperativa sociale si era risolta ad accettare il nuovo stato di cose come normale, le limitazioni non come fasi passeggere ma come indizi di un profondo cambiamento in atto. E la grossa, affascinante macchina del caffè, zeppa di pulsanti luminosi e lucine led, comprata a caro prezzo ai tempi dell’apertura, seppur fedele e tutt’altro che obsolescente, aveva trovato una sua controparte nelle caffettiere vecchio modello alimentate a gas. Certo, il costo del caffè era dovuto necessariamente crescere e così i tempi di preparazione, ma i problemi erano ben altri, e la caffetteria ormai era diventata un’attività tra tante (mensa popolare, ostello, gruppo di acquisto…), non più come in passato colonna portante delle risicate economie della cooperativa.

Far parte dell’associazione Tatawelo comporta una presa di responsabilità e un impegno costante per supportare dal basso questa rete di commercio solidale e auto-organizzata. Ad ogni viaggio dei container attraverso l’oceano atlantico, due persone delle rispettive comunità (di produzione del caffè, in Messico, nella regione autonoma del Chiapas; e di consumo del caffé, in Piemonte) accompagnano il carico. «E quest’anno – ha aggiunto suo padre – tocca a noi del Caffè. Il container arriverà tra poche settimane, sarà svuotato in porto e caricato di nuovo sulla medesima nave cargo. In due settimane di navigazione approderà al porto franco di Paraìso, nello stato messicano di Tabasco (oggi arriva a Veracruz, nel medesimo Stato). Lì sarai ricevuto, ha continuato il padre, dalla delegazione della cooperativa Tatawelo e potrai fermarti con loro fino all’arrivo del container successivo. O anche oltre! Ci sono percorsi professionali e di studio nella Libera Università Zapatista e a San Cristobàl de Las Casas che potresti considerare o anche alla Universidad de la Tierra. So che vuoi andare via da qua, fai pure. Ma lascia che ti aiuti a dare un senso a questo viaggio». 

Al ritorno, il container è riempito di prodotti che difficilmente sono reperibili in Chiapas, a causa dell’embargo statunitense: pezzi di ricambio per i macchinari agricoli, biciclette, strumenti da lavoro importati dalla vicina Francia, attraverso la mediazione di alcuni commercianti della Val di Roya. La linea del “treno delle meraviglie”, del tutto rinnovata, funziona da quindici anni a pieno regime e non di rado ai treni passeggeri sono aggiunti dei vagoni merci. Con la generalizzata penuria energetica, i governi di tutta europa erano stati costretti ad aumentare considerevolmente le accise sui prodotti, sulla base delle direttive della Commissione Europea che avevano puntato, pur di rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni, all’istituzione di una tassazione “chilometrica” sui viaggi delle merci. Questo per impedire, ad esempio, che in Calabria si consumassero agrumi prodotti in Spagna – e viceversa, con evidente dispendio di risorse e logistica utilizzabili diversamente. Un effetto secondario, nel tempo, di queste misure politico-economiche era stata la chiara riconsiderazione delle prospettive di commercio in un’ottica di prossimità transfrontaliera. E così i contatti economici e culturali tra il Piemonte e le regioni francesi di Provence-Alpes-Cote d’Azur e Haute-Savoie ne avevano considerevolmente giovato.

Certo, alcuni prodotti erano stati fatti oggetto di palesi eccezioni, determinate da forti ragioni culturali e d’abitudine. Il caffè, per ragioni di ordine pubblico, era stato escluso dalle imposte chilometriche, fatto salvo per il breve percorso in treno dal porto di Genova alla provincia di Cuneo. I camion sono pochissimi e utilizzati soltanto trasportare beni essenziali…

«Stronzo!» – grida la ragazza, mentre il camion che le ha appena rovesciato addosso mezza pozzanghera si allontana a tutta velocità, incurante del piccolo incidente di percorso. Un cartello arrugginito indica, sulla dissestata strada provinciale SP5, la direzione “Cuneo”, a una distanza (stimata) di 5 chilometri, e, sulla destra, segnala la frazione dei “Tetti Ravot”. Miriam sta spingendo la bicicletta mountain bike, lamentandosi per la propria malasorte. «Proprio oggi, doveva allentarsi la forcella? Mannaggia a te, bici di merda, questa è la volta che ti  butto a bordostrada e faccio autostop! E mannaggia al bus navetta che parte solo quand’è pieno, se avessi aspettato che si riempisse sarei ancora in Peveragno paese a guardare per aria… E poi non dico avere una bici elettrica, quella è da borghesi, ma almeno un mezzo funzionante…».

In effetti, la situazione potrebbe essere migliore: sono già le nove passate e l’incontro di orientamento comincerà in meno di un’ora. Le condizioni della bicicletta, che l’ha lasciata a piedi per l’ennesima volta, riflettono quelle del manto stradale. Da quando ne abbia memoria, la già stretta strada provinciale non è mai stata oggetto di manutenzione, e i risultati sono evidenti. Il percorso tra Peveragno e Cuneo è pieno di crepe, buche e piccoli smottamenti laterali. Per gli automezzi, che viaggiano a centro strada, il problema è trascurabile; ma la gente in bici o a piedi è costretta a un vero e proprio percorso a ostacoli. Paradossalmente, è più sicura la strada sterrata e immersa nei boschi che da Peveragno, frazione Miclet, porta all’ecovillaggio dove Miriam e la sua famiglia vivono da una decina d’anni.

Era ancora molto piccola quando decisero di trasferirsi là, in piena crisi energetica. Si ricorda vagamente dei telegiornali, che avevano annunciato le nere previsioni economiche per i mesi successivi e, in rapida successione, la dichiarazione di stato di emergenza e il coprifuoco “elastico”, due ore dopo il tramonto, a causa della necessità di ridurre drasticamente l’illuminazione pubblica. 

Molte persone in quel tempo avevano aderito alle “Candeline”, una rete di comitati civici protagonista prima di grandi manifestazioni e cortei in tutto il paese (che avevano segnato la storia della politica per la voluta mancanza di sistemi di amplificazione del suono e della voce, per la quantità di candele accese al tramonto dai manifestanti in segno di reazione ai frequenti blackout, oltre che per occupazioni non autorizzate dei parchi pubblici, con conseguenti sgomberi e manganellate dalla polizia) e in seguito si era rapidamente strutturata per supportare iniziative locali di transizione energetica. “Transizione verso dove?”, era la domanda più rivolta al movimento dalle voci critiche. “Verso fonti di energia al cento per cento rinnovabili; verso nuove forme di autosufficienza energetica e alimentare; verso un futuro più solidale e prospero per tutti e tutte”, erano alcune delle risposte possibili. Ma c’era un elefante nella stanza, e si poteva riassumerlo in un termine: ridurre. Soltanto la riduzione volontaria dei consumi avrebbe consentito un ritorno alla normalità. Ma nessuno avrebbe osato nominare l’austerità, né in assemblea né ai cortei né cercando di convincere un oppositore. Eppure è proprio “austerità” la parola con cui descriverebbe la sua vita degli ultimi dodici anni. Le infinite corvées per ristrutturare gli edifici in rovina della Scupà eletta a futuro paradiso terrestre dal collettivo dell’ecovillaggio. L’energia elettrica che va e viene, lunghe discussioni intorno al razionamento della benzina per il gruppo elettrogeno. Il drammatico guasto alla lavatrice comune, la difficoltà nel reperire i pezzi di ricambio. La grande festa improvvisata per celebrare l’arrivo della pompa a stantuffo ordinata dalla Germania. L’infinito cantiere di riparazione delle cisterne per l’acqua d’irrigazione. E nonostante le difficoltà a volte dure da sopportare, tanti momenti magici: i balli al chiaro di luna, nel bosco di castagni curato come un giardino zen. I laboratori di autoproduzione di saponi, di conserve alimentari, di birra aromatizzata con erbe selvatiche. Le prime ciotoline di terracotta uscite dalla cottura nel forno di terra, la sensazione di entusiasmo al solo pensiero che rompere un piatto non sarebbe più stato considerato un delitto capitale. I meravigliosi orti comuni ornati da spirali di erbe aromatiche. L’odore di siero, latte cagliato e umori selvatici nel minuscolo laboratorio di caseificazione. Le catene umane per spostare materiali di costruzione o per riempire le legnaie in previsione dell’inverno. La meditazione al sorgere del sole, i canti al tramonto. I racconti della sera, nella sala comune fiocamente illuminata da candele. I cerchi della parola, frequentissimi e ammantati da un affascinante velo di tribalismo. 

Comunicare è fondamentale nella vita dell’ecovillaggio. Se la comunicazione fallisce, i disguidi si moltiplicano, le incomprensioni generano insofferenza reciproca e i progetti languono. Il metodo del consenso, la comunicazione nonviolenta. Le rare occasioni di incontro promosse dal GEN, la rete globale degli ecovillaggi, occasioni preziose di raccogliere informazioni su altri progetti, coordinare gli sforzi in un orizzonte comune e sognare un altro mondo possibile con persone di altri paesi e lingue, così diverse eppure meravigliosamente vicine per sensibilità e obiettivi.

Miriam ha solo vent’anni ma da tempo ha capito qual è il suo posto nella comunità: le capacità manuali dimostrate fin da bambina nel modellare figure di argilla, l’abilità nell’intrecciare cesti e cappelli, l’abilità precoce nell’intagliare prima punte di freccia per giocare e poi cucchiai per la polenta e altri piccoli oggetti di legno, ma soprattutto l’acceso interesse per i continui lavori di manutenzione degli antichi ma robusti edifici della scoupà, la borgata, sono stati notati sul nascere dagli e dalle altre abitanti dell’ecovillaggio, che hanno assecondato la sua predilezione per i lavori manuali. Da quattro anni è responsabile della piccola officina meccanica del borgo, sistemata alla bell’e meglio in un vecchio garage agricolo. Dal vecchio Tunin, il vicino di casa, produttore di patate e vignaiolo dilettante, ha imparato i rudimenti della manutenzione del piccolo trattore a nafta comunitario, che gira di campo in campo durante la stagione dell’aratura e delle semine, secondo un calendario minuzioso e costantemente aggiornato in base alle previsioni meteorologiche. Dopo un anno di apprendistato alla storica falegnameria “Il falegname volante”, ha costruito un nuovo sistema antitopo per il granaio, ispirato ai vecchi spioventi in legno, e assemblato due nuove credenze con sportelli a rete per il magazzino delle farine. Ha curato la costruzione di un essiccatoio per le castagne seguendo un progetto portato loro, dopo mesi di insistenti richieste, da una piccola delegazione della Comunità di Produzione e Consumo (CPC) di Viola, in Val Tanaro, custode di meravigliosi castagneti e antichi saperi. E appena terminato l’ennesimo intervento di impermeabilizzazione della cisterna in cocciopesto, potrà dedicarsi al suo sogno: partecipare ai grandi lavori di costruzione della foresteria, edificio pensato per ospitare per le persone di passaggio, che consentirà all’ecovillaggio di organizzare eventi di maggiori dimensioni e respiro. La comunità crede molto in questo progetto, che è stato rimandato per molti anni a causa della mancanza di generi alimentari sufficienti e soprattutto di una persona in grado di seguire i lavori. Ora, finalmente, grazie all’iniziativa “Muri che accolgono”, promossa da un bando di Banca Etica insieme con l’ecovillaggio “La Casa Rotta” di Cherasco e diverse associazioni d’intercultura locali, sarà forse possibile avere fondi e manodopera sufficienti a mettere in piedi il progetto. 

E nell’attesa che vengano gettate le fondamenta della nuova foresteria, Miriam ha le idee ben chiare rispetto a cosa intende fare: vuole partecipare al corso di bio-edilizia che ogni autunno (la primavera e l’estate sono per i lavori manuali, d’inverno si studia!) “La Casa Rotta” organizza insieme con l’ecovillaggio “La Boa” negli spazi messi a disposizione dalla sede distaccata a Mondovì del Politecnico di Torino e, in alternanza, nei grandi laboratori dell’associazione “Artimestieri” di Boves. In questo senso, l’incontro di orientamento è una scusa: intende sfruttare l’occasione più che altro per raccogliere informazioni su altri progetti attivi sul territorio e per segnare sulla bacheca comune del “Frigorifero Militante” una ricerca di coabitazione o couchsurfing a Mondovì durante i due mesi di svolgimento del corso intensivo in bioedilizia. Intende comunque informarsi sulla disponibilità di posti letto nell’Ostello Franco Centro, messo in piedi nella Stazione Ferroviaria di Mondovì da un gruppo di volenteros* dell’associazione “MondoQui” in collaborazione con la “Cooperativa Caracol”, specializzata da inizio anni Duemila nell’accoglienza domiciliare di richiedenti asilo, nell’ambito del mitico programma SPRAR di accoglienza decentrata dei e delle richiedenti asilo e rifugiati. Anche l’ecovillaggio è un rifugio, un progetto di accoglienza a lungo termine, che oltretutto punta all’autonomia energetica e alimentare. Ma lo Stato e le grandi istituzioni c’entrano solo marginalmente con un simile esperimento comunitario. A contare sono i legami di solidarietà, mutuo aiuto e commercio con i paesi vicini e chi vi abita. Un doppio filo, andata e ritorno, collega l’ecovillaggio con il territorio circostante. Filo immaginario, però… La rete elettrica, in disuso, non è una risorsa su cui il piccolo popolo della Scoupà può contare. Ma le notizie vanno e vengono, più che con internet, con le persone che le portano. E di quando in quando una visita in città non può mancare. Cuneo è il centro più grande della zona ed è sulle grandi bacheche pubbliche affisse intorno al perimetro dell’ex-frigorifero che si raccolgono annunci, manifesti, appelli e tazebao.

Ma all’incontro ancora Miriam deve riuscire ad arrivarci, mancano 40 minuti e ora sta praticamente correndo, nella speranza di trovare a Borgo Gesso un’officina meccanica aperta e disponibile, in cui chiedere in prestito un paio di chiavi a sogliola con cui stringere la forcella quanto basta per arrivare in tempo. Nella fretta, inciampa nel pedale della bici e quasi perde l’equilibrio. 

«Ora basta!»- urla, e spinge il catorcio contro un albero. È in quell’istante che sente lo strombazzare di un clacson. Una vecchia apecar da trasporto merci color blu notte, carica di mobili smontati, procede rumorosamente dalla direzione opposta, impossibile non riconoscerla: è Lidia, una vicina di Peveragno, attiva da anni nel magazzino di beneficenza di Emmaus, a Boves. Si sono conosciute tempo addietro in falegnameria, in occasione di una delle tante serate di autoriparazione in cui strumenti e spazi sono offerti alla cittadinanza in cambio di un modesto contributo associativo.  

«Che fai, abbandoni una bici quasi in buono stato?» – scherza. 

«Lascia stare -, ribatte Miriam, – sono nei casini, stamattina. La traditrice mi ha lasciata a piedi, e ho un appuntamento al Frigorifero di Cuneo fra mezz’ora!». Uno sdentato sorriso mette in movimento la fitta di trama di rughe disegnate sul volto di Lidia, che approfitta della piccola pausa per riaccendersi una sigaretta alla salvia che tiene fra le labbra. «E allora salta su, tu davanti e la tua bici nel cassone, un passaggio non si nega a nessuno! Sono pochi chilometri, in fondo. E ti devo ancora un favore da quando mi aiutasti a tagliare al tornio una nuova gamba per quel vecchio armadio con specchiera. Ora fa un figurone nella sezione abiti usati giù al negozio, sai?».

Mancano pochi minuti alle dieci e la grande sala conferenze dell’Ex Frigorifero è già piena per due terzi. Come insegna il metodo open space technology, le sedie sono state disposte in cerchio e i/le partecipanti si stanno accomodando in ordine sparso; una parete, bianca di calce, è lasciata completamente sgombra, affinché vi si possa affiggere la quantità di cartelloni con le proposte di gruppi di lavoro. L’iniziativa durerà l’intera giornata e parte della successiva e sono attese una cinquantina di persone; il collettivo che gestisce l’ex Frigorifero ha predisposto alcuni grandi dormitori e uno spazio erboso esterno in cui piantare la tenda. Il clima è piuttosto mite e di notte la temperatura non scende sotto i dieci gradi. Un caldo mormorio di parole riempie la grande sala; in un angolo, arde una grande stufa economica la cui canna fumaria si snoda in una lunga serpentina a tre metri di altezza sulle loro teste, ingegnoso metodo studiato per trarre più calore possibile dalla combustione. Sulla piastra da cucina sono adagiati alcuni grossi bollitori per tè e tisane.

«Buongiorno a tutti e tutte – esordisce la facilitatrice mentre il mormorio cala spontaneamente – Il tema scelto per questo incontro, come sapete, è Comunità educanti: restituzione del programma Visione 2040 e orientamenti futuri. L’intervento di apertura della giornata sarà a cura del responsabile locale di Piemonte che Cambia, che ci parlerà del percorso di immaginazione e di progettazione intorno al concetto di comunità intrapreso durante gli ultimi vent’anni sul territorio. Poi cominceranno i lavori comuni intorno all’espressione “comunità educante”. L’idea alla base di quest’evento è che studiare, formarsi, imparare, educare sono pratiche sempre più legate alla comunità a cui facciamo riferimento. Non siamo soltanto persone singole, ma abitiamo spazi e territori comuni, che ci plasmano per come saremo in futuro, mentre noi ci relazioniamo con loro. La prospettiva che vorremmo esplorare è ecologica, nel senso più ampio del termine. Le comunità sono ecosistemi umani, inserite in un contesto più ampio che va oltre l’umano. In quest’ottica, i percorsi di formazione sono importantissimi per gettare le basi di una convivenza consapevole e nonviolenta nel mondo, con il mondo…non ci resta che immaginare. Sono sicura che vi piacerà!».


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