“La mobilità in Italia è stata ripensata ed oggi è basata sulla sostenibilità economica e ambientale e sul riequilibrio fra Nord e Sud del Paese, fra metropoli e città minori, fra viaggiatori ricchi viaggiatori poveri, gomma e rotaia, mobilità motorizzata e dolce. Molto ridotto il traffico aereo, si è puntato con successo su una rete ferroviaria pubblica capillare ed efficiente.”
Hanno contribuito: Filippo Bozotti – Italia che Cambia | Prof. Domenico Gattuso – Università’ Mediterranea di Reggio Calabria e CIUFER | Gaetano La Legname – Rete Mobility r-Evolution e progetto FAI MENO Strada | Simone Lunghi – Critical Mass | Simone Sacco – Giro d’Italia in 80 librerie Ha facilitato: Filippo Bozotti
ll trasporto di merci e di persone in Italia impegna un terzo dell’energia nazionale e produce il 28% delle emissioni inquinanti. Esso è il primo settore nazionale per emissioni di CO2, responsabile dell emissione di 128 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, con la componente stradale nettamente dominante (92%). Il 93% dell’energia per i trasporti arriva ancora dal petrolio, un valore non molto diverso da quello registrato nei primi anni ’90, eppure è noto da tempo che il motore a combustione offre una efficienza energetica di appena il 20%, mentre un veicolo elettrico è efficiente al 75%. I prezzi di petrolio, kerosene, benzina o metano non calcolano i costi delle esternalita’ negative: emissioni/inquinamento dell’aria, acqua e terra, costruzione e manutenzione delle infrastrutture, smaltimento veicolo, incidenti, congestione e rumore.
Uno degli inquinanti più pericolosi per l’uomo e più diffusi nelle città è il PM10: a causa delle concentrazioni di particolato sottile muoiono oltre 8 mila persone ogni anno. Uno dei principali responsabili dell’inquinamento da Pm10 è il traffico urbano: i trasporti stradali, infatti, producono la metà del CO2 nell’aria delle città. Nel 2014, il 37% capoluoghi di provincia, tra cui tutte le grandi citta’ hanno superato i livelli massimi di PM10 consentiti.
Nelle realtà urbane italiane, il 16% dei cittadini si muove a piedi, il 3% usa la bicicletta, il 13% usa il trasporto pubblico e il resto, il 68% si sposta ancora in auto. Ma il 45% di essi non fa più di 5 km al giorno ed un altro 40% non supera i 20 km, e l’uso dell’auto risulta veramente ridotto (mediamente una-due ore al giorno per proprietario): questo dovrebbe essere un incentivo serio a spostarsi di più a piedi, in bicicletta, con trasporto pubblico, ma mancano percorsi pedonali e ciclabili, reti e servizi adeguati agli spostamenti sostenibili. Il tasso di motorizzazione è preoccupante: nelle principali 50 città italiane nel 2013 risultavano 58 le auto circolanti ogni 100 abitanti. Nella generalità delle città europee si riscontrano indici molto più bassi: Parigi (45 auto/100 abitanti ), Barcellona (41), Londra (36) e Berlino (35), la media dei paesi europea è di 47 auto/100 abitanti. Le autovetture, peraltro, viaggiano con un fattore di carico modestissimo, in media solo 1.5 persone a bordo. Nella mobilità turistica è elevatissimo il ricorso ai veicoli privati: auto e camper coprono circa il 66% delle scelte di viaggio.
Rilevante è il tributo che si paga anche in relazione agli incidenti stradali; si registrano più di 3000 morti all’anno. Anche se il trend appare negativo (-52% rispetto al 2001), il costo sociale permane elevatissimo ed è stimato in circa 30 miliardi di euro l’anno. Molti incidenti riguardano pedoni, ciclisti e moto.
Una buona notizia relativa alla mobilità cittadina (e non solo) è l’approvazione del regolamento per convertire i veicoli tradizionali in elettrici, il cosiddetto retrofit. Tale legge permette di riconvertire tutti i veicoli a quattro ruote destinati al trasporto di persone e beni (quindi compresi autobus e autocarri sotto le 3,5 tonnellate) tramite i kit composti da un motore elettrico, un pacco batterie, un’interfaccia con la rete per la ricarica delle batterie. La regolamentazione del retrofit italiana è all’avanguardia in tutta Europa e spingerà lo sviluppo della mobilità elettrica nel nostro Paese.
Ogni giorno in Italia si spostano 3 milioni di pendolari in treno (viaggi di distanza inferiore a 50 km) contro circa 300 mila viaggiatori a medio-lunga percorrenza; un rapporto di 10:1; ma i finanziamenti negli ultimi 20 anni per i treni ad alta velocità (TAV) sono stati 25 volte superiori a quelli destinati al trasporto ferroviario regionale. Il che significa che non si risponde adeguatamente alla domanda reale di trasporto.
Le politiche sul trasporto ferroviario sono state indirizzate in un’ottica di mercato (massimizzare i profitti), privilegiando i treni ad alta velocità e lasciando ricadere l’onere dei servizi regionali e intercity sui bilanci disastrati delle regioni. C’è troppa differenza fra queste due realtà.
Si è accresciuto terribilmente il divario fra Nord e Sud, fra aree interne e aree costiere/pianeggianti, fra aree metropolitane e la provincia, favorendo la concentrazione della popolazione. Ciò si riflette pesantemente sul sistema sociale, economico ed ambientale nazionale. Per dare un’idea dell’evidente squilibrio nel sistema di trasporto fra regioni del Nord e del Sud, limitando l’attenzione al comparto ferroviario, si rileva una media di 12,3 Eurostar/giorno al Nord contro 1,7 al Sud); a Nord il TAV esiste (3 ore sulla Milano-Roma, con circa 120 treni fra Bologna e Roma), a Sud no. Su un totale di 1440 km di rete TAV realizzata negli ultimi 15 anni (con contratti che al 1991 prevedevano appena 14 Miliardi di Euro di spesa contro i quasi 98 Miliardi effettivamente poi sostenuti), meno di 150 km hanno toccato il Sud (10%) e in pratica una sola regione, la Campania.
Si continua ad affermare la logica delle grandi opere concentrate, contro ogni logica di economia di interesse collettivo; sicché esse risultano quasi sempre inutili, imposte, e incapaci di attivare forme di sviluppo o occupazione stabile, contrapposte alle reali esigenze delle comunità. Fra i tanti esempi, si possono citare la stazione Tiburtina di Roma, il cui costo di costruzione e’ stato di 330 Milioni di Euro (l’equivalente di 40 moderni e confortevoli treni regionali che avrebbero potuto sopperire all’insufficienza dei servizi nell’intera Regione Lazio); e il tunnel in Val di Susa, imposto alle popolazioni locali malgrado le loro ragioni contrarie, che e’ estremamente costoso in rapporto a traffici costantemente in diminuzione sulla direttrice Italia-Francia.
Manca una rete efficiente ed efficace per il trasporto pubblico locale (TPL). Le risorse per questo settore (che è stato in parte privatizzato con la giustificazione di una presunta maggiore efficienza), sono passate dai 6.1 miliardi di euro nel 2009 ai 4.8 miliardi nel 2014. Il TPL spesso risulta male organizzato; in concorrenza reciproca anziché in coordinamento, si assiste all’abbandono e al degrado di numerose stazioni (treni, autobus, metro). Si sono affermati nel tempo due modelli gestionali; il primo pubblico (che equivale spesso a servizi di pessima qualità ed inefficienze), il secondo privato, anche se spesso con consistenti contributi pubblici, teso però alla massimizzazione dei profitti e riservato a fasce di popolazione privilegiata e ad alto reddito. L’attenzione nei confronti dei viaggiatori in treno ordinario (regionale o intercity) è ormai minima; sono sempre più diffusamente disattesi i caratteri di puntualità, pulizia, comfort, coincidenze, tariffa equa, sicurezza, manutenzione.
A scala regionale si va depauperando un patrimonio di linee, stazioni, impianti ferroviari, con riflessi negativi sui sistemi socio-economici locali. Negli ultimi anni il parco veicolare si è ridotto al minimo; i mezzi in circolazione sono vecchi, soggetti a frequenti guasti, e si registrano frequenti soppressioni di corse, ritardi e cancellazioni. I livelli di manutenzione, di sicurezza e di servizio sono drammaticamente in flessione, con aumento del numero di incidenti e deragliamenti, con conseguente disincentivo agli utenti, pendolari, occasionali o turisti, di viaggiare il treno. E’ in atto un vero e proprio smantellamento dei servizi pubblici di trasporto.
Alcuni dati possono dare una misura di quello che sta avvenendo nel campo del TPL in Italia: l’età media degli autobus è di 11 anni, contro la media di 6 anni nel resto dell’Europa Occidentale; l’immatricolazione di autobus è passata da 5.000 unità nel 2005 a poco più di 2.000 nel 2012; nel 2005 l’industria metalmeccanica italiana sfornava circa 3.500 bus, nel 2012 appena 490; le risorse pubbliche per gli autobus sono passate nello stesso periodo da 2,3 a 0.11 Miliardi di Euro; il 60% dei comuni italiani soffre una sotto-dotazione di infrastrutture, impianti e veicoli di trasporto pubblico (lo standard minimo di 1 autobus ogni 1000 abitanti è raggiunto in pochi contesti cittadini).
Nel nostro paese il trasporto ferroviario delle merci copre una aliquota che si aggira appena attorno al 6%. In Europa essa è attestata tra il 12% e il 18%, e in alcuni paesi come l’Austria addirittura supera il 30%. Il load factor dei mezzi su strada è modesto: il 50% dei camion girano vuoti.
Con oltre 92 milioni di passeggeri l’Italia è il primo paese europeo per trasporto di passeggeri via mare e al sesto posto per volume del traffico container, ma viaggiare in nave (turisti o pendolari) costa troppo e in anni recenti si è assistito a forti tagli nei servizi marittimi, con una privatizzazione integrale dei collegamenti e conseguente drastico aumento delle tariffe, penalizzando così le isole.
L’Italia è invece il quinto paese europeo per traffico aereo di passeggeri, con una quota del 10% sul totale. Nell’ultimo decennio si è diffusa la pratica dei voli low cost; essi costituiscono una forma di distorsione del mercato e dell’equilibrio economico perché i costi sono sovvenzionati da enti pubblici come province e regioni; ma nel prezzo del biglietto non si tiene conto delle esternalità negative indotte dagli aerei ed in particolare le emissioni inquinanti; un solo volo internazionale emette in media 4 tonnellate di CO2 per persona, due volte tanto la media annuale di 2 tonnellate per persona indicate come tetto massimo per un mondo sostenibile.
Le scelte sulla mobilità sono spesso dettate dalla politica con condizionamenti lobbystici e si propongono interventi in termini di grandi opere sostenute con costose campagne mediatiche, distogliendo l’attenzione dai caratteri di utilità reale delle opere e di efficienza dei servizi resi alla comunità.
Fino ad oggi il settore dei trasporti ha contribuito a far da calmiere della disoccupazione, senza rispondere però a criteri di efficienza ed efficacia. Troppi progetti sono stati calati dall’alto, senza alcuna forma di partecipazione pubblica alla discussione in merito alla loro reale utilità o sulla appropriatezza delle scelte progettuali. La gestione dei servizi per la mobilità è stata spesso affidata ad uffici e manager incompetenti, con lievitazione ingiustificata dei costi e peggioramento costante della qualità e della sicurezza. Avvalendosi di fondi pubblici i governi hanno praticamente operato per rispondere alle esigenze di una minoranza privilegiata di cittadini. La liberalizzazione dei servizi di trasporto pubblico è stata una strategia devastante laddove applicata; ha colpito i più deboli e le aree più povere. Si assiste ormai ad una serie incredibile di paradossi: Ferrovie dello Stato è un’azienda pubblica, che gode di infrastrutture costruite dalla comunità, di veicoli acquisiti con fondi pubblici, ma che viene gestita in un’ottica di impresa privata (con manager strapagati che vogliono privatizzare Ferrovie dello Stato per 6 miliardi di Euro) e che continua a ricevere sovvenzioni statali per far quadrare i bilanci; la stessa azienda si è concentrata sul segmento apparentemente più redditizio del mercato (TAV) lasciando morire i servizi locali (nell’arco di un decennio sono stati cancellati i servizi su circa 1000 km di rete regionale). NTV (Italo) riceve sovvenzioni statali non giustificate. Le autostrade a pedaggio (costruite interamente con fondi pubblici sono sistematicamente affidate in concessione (regalate) a operatori privati come Benetton in Veneto, nella logica tutta italiana di socializzare i costi e privatizzare gli utili. Se nel resto dell’Europa una strada viene riasfaltata ogni 5 anni, in Italia bisogna aspettare che ne passino 11 prima del rifacimento del nuovo manto stradale.
L’alta velocità italiana è la più cara d’Europa. Costruire 1 km di TAV è costato in Italia fra i 40 e gli 80 Milioni di Euro, contro i 10 della Francia. Costruire 1 km di autostrada costa fra i 25 e i 40 Milioni di Euro, 4 volte tanto i nostri vicini europei, ma acquistare un trenino regionale costa sui 4-6 Milioni di Euro, un autobus sui 300-400 Mila Euro; si è sempre preferito puntare sulle infrastrutture onerose piuttosto che sui trasporti pubblici, in aperta contraddizione con le politiche dichiarate dal governo e la domanda espressa dai territori.
Da decenni si afferma la necessità di attivare politiche di riequilibrio del settore della mobilita’: più ferrovia e meno gommato, più mezzi pubblici e meno mezzi privati, più merci sui binari e meno sulle strade, più servizi ecologici e meno costruzione di strade, più corridoi marittimi e meno rotte aeree, più mobilità pedonale e ciclabile e meno mobilità motorizzata, maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse fra aree forti ed aree deboli, meno consumi energetici, meno inquinamento, minore incidentalità stradale. Tutte le statistiche evidenziano che nei fatti si è andati in direzione opposta. Le opportunità e la qualità del viaggiare tendono ad aumentare per i cittadini più ricchi, a peggiorare per quelli piu’ poveri; si calpestano sempre più i diritti all’uguaglianza di opportunità e al diritto alla mobilità sanciti dalla Costituzione.
Bisogna riprogettare e ottimizzare il sistema della mobilità, sia di passeggeri che di merci, tramite una politica nazionale strategica dei trasporti. Occorre assumere a tal fine alcuni princìpi di fondo. Occorre porre un fermo alla politica scellerata e devastante in tema di trasporti e mobilità, puntando su strategie diverse, lungimiranti, misurate sulle reali esigenze della comunità, improntata alla sostenibilità economica ed ambientale, ma soprattutto al riequilibrio. Riequilibrio fra Nord e Sud, fra metropoli e città minori, fra aree urbane costiere e aree interne, fra utenti ricchi e viaggiatori poveri, fra gomma e rotaia, fra mobilità motorizzata e mobilità dolce, senza dimenticare, come troppo spesso avviene, le componenti deboli della comunità (anziani, bambini, persone con disabilità). Occorre assumere un diverso ordine di priorità negli investimenti:
Un tale approccio, peraltro, non può che riverberare impatti economici produttivi e distribuiti sul territorio.
Non mancano esempi di ottime prassi cui ispirarsi in Europa: servizi ferroviari e treni di qualità, servizi di trasporto a domanda, car-sharing, piedibus, ciclobus, reti di piste ciclabili, bike sharing, mezzi di trasporto pubblico potenziati nelle aree urbane e calibrati sulla domanda, autobus ad elevato livello di servizio, tram, mezzi elettrici o a zero emissioni, misure di traffic calming, spazi di parcheggio ben ubicati e dimensionati, tecnologie avanzate per le comunicazioni e l’informazione (ITS), servizi equilibrati per i cittadini nei nodi di interscambio, misure per la mobilità dei più deboli (anziani, bambini, donne, persone con disabilità), recupero sociale e funzionale delle stazioni ferroviarie, valorizzazione della mobilità turistica su mezzi collettivi, potenziamento delle flotte per il trasporto marittimo di passeggeri e merci, sviluppo della logistica e del trasporto merci ferroviario, ed altre ancora.
Le politiche per i trasporti non si improvvisano; dovrebbero essere oggetto di una sana opera di pianificazione e programmazione degli investimenti, secondo una prassi seriamente articolata in quattro fasi:
E’ determinante il coinvolgimento delle comunità sin dalle fasi di studio, in modo da adottare soluzioni convincenti e realmente misurate sui bisogni dei cittadini. Occorre affermare una cultura diversa nella realizzazione dei servizi di trasporto, che risponda a criteri oggettivi di rispetto del bene pubblico e dell’ambiente, al contesto economico-sociale e alle caratteristiche territoriali. Saranno da preferire interventi diffusi piuttosto che opere costose e concentrate, interventi che producano ricadute su ampie fasce sociali, interventi anche di modesta entità, ma che coinvolgano la grande maggioranza della popolazione con la promozione delle buone pratiche di mobilità. Ad esempio sarà opportuno incentivare una riduzione dei viaggi di veicoli, attraverso nuove tecnologie di comunicazione e tramite forme di produzione e consumo locale, soprattutto nei settori dell’agro-alimentare e dell’artigianato. Bisogna ridurre drasticamente l’utilizzo di automobili, moto ed aerei (soprattutto nazionali) tramite una tassa ecologica (tassa a km) e bisogna promuovere forme alternative di mobilità quali mezzi pubblici, car-sharing, car-pooling, bici, marcia a piedi, bike-sharing. Occorreranno campagne di sensibilizzazione per diminuire i viaggi privati, rilocalizzando le destinazioni commerciali e lavorative per favorire e migliorare il trasporto pubblico locale e regionale, estendere le zone pedonali, soprattutto nei centri storici dove la circolazione sia riservata a pedoni, mezzi pubblici, biciclette, mezzi elettrici. Servono reti di piste ciclabili diffusa in tutte le città con più sicurezza per i ciclisti e meno furti; il trasporto pubblico locale (TPL) deve essere più efficiente, meglio utilizzato e più efficace; laddove le condizioni lo consentano, si potrà ricorrere anche alla gratuità del servizio. Ovunque andrebbe sostituito il vecchio parco veicoli con mezzi ecologici. Nei centri urbani, occorrono consistenti investimenti nel TPL, nel car-sharing, in ciclovie e nell’intermodalità del trasporto (integrazione vettoriale e tariffaria, favorendo l’uso di mezzi ecologici in successione, come bici e treno ad esempio).
Abbiamo bisogno di meno autovetture e meno camion. Dovremo introdurre standards di economia più alti per questi mezzi, disincentivando l’uso del mezzo privato motorizzato. L’obiettivo sarà di dimezzare il numero di auto da 37 milioni a 18 milioni di esemplari, raddoppiare il numero medio di persone in vettura da 1,5 a 3. Ottenere veicoli che durino di più, disincentivando il consumismo sfrenato, eliminando l’obsolescenza programmata o percepita dei mezzi. Entro il 2040, dovremmo raggiungere il 100% di mezzi elettrici o plug-in ibride leggere made-in-Italy.
Entro il 2020 dovremmo installare 130.000 colonnine elettriche private per mezzi elettrici e 15 mila colonnine pubbliche super chargers ogni 50 km di autostrada (circa 140 punti in 7.000 km di autostrada in Italia). Autostrade Spa deve tornare ad essere un bene comune, gestita dalla comunità. Deve diventare una no-profit utility (che non distribuisce dividendi), dove i profitti sono re-investiti per migliorare servizi e le strade devono essere mantenute seguendo standard europei.
Il trasporto privato (pulmini, taxi, ecc.) dovrà essere integrato con il trasporto pubblico locale (TPL), come ad esempio taxi collettivi o servizi a domanda invece che autobus vuoti per zone a basso traffico e per le scuole, sovvenzionati dallo Stato. Dovremmo eliminare la licenza per i taxi e creare un mercato aperto e opportunamente regolamentato (taxi, Uber, ecc.), ma con regole certe (superamento di test) e uguali per tutti.
Servirà un massiccio investimento per la rete ferroviaria. Il treno è tre volte più efficiente energeticamente rispetto all’autovettura e cinque volte più efficienti dell’aereo, ed è molto meno caro trasportare merci in treno, specialmente di notte. In Italia, abbiamo bisogno di treni più veloci su base locale, frequenti ed efficienti. Bisogna ottimizzare il trasporto su rotaia: più capillare, più collegamenti rapidi e meno costosi. Dev’essere possibile raggiungere una stazione ferroviaria da qualunque punto del territorio nazionale in un tempo contenuto (mezz’ora al massimo secondo alcuni orientamenti europei). Occorre un riequilibrio nazionale nella distribuzione delle risorse, facendo recuperare il gap alle regioni meridionali in termini di dotazioni e di standard di qualità.
Sarà opportuno recuperare e rilanciare le ferrovie storiche operanti in territori collinari e montani, laddove se ne ravvisi l’utilità sociale. Diminuendo le tariffe sarà possibile incentivare viaggi in treno per farli viaggiare pieni: invece di sovvenzionare le compagnie aeree low-cost, meglio sovvenzionare i treni ed espandere anziché contrarre la rete di trasporto.
Serve un nuovo parco mezzi per il TPL e un rimodernazione per treni regionali, autobus e metro. I treni regionali devono essere più veloci, su standard di servizio europei, a costo ragionevole. Devono essere garantiti anche treni veloci interregionali in grado di facilitare comunicazioni più frequenti e di qualità interne alle macro-regioni; ad esempio dev’essere possibile viaggiare in treno fra Sicilia e Puglia allo stesso modo di quanto avviene fra Piemonte e Friuli.
Occorre più trasparenza e facilità d’uso delle ferrovie per cittadini e turisti, eliminando per esempio l’omologazione del biglietto, che nessun turista straniero capisce. Occorrono incentivi per le aziende più virtuose e penalità sul management per quelle mal gestite, sotto l’azione di monitoraggio di enti terzi e di associazioni di cittadinanza attiva e di viaggiatori. Occorre ridare decoro ai servizi di trasporto su rotaia, con il recupero funzionale ed estetico di stazioni, treni più puliti, lotta ai “piccoli crimini” (graffiti, evasione tariffaria, vandalismi, ecc.). Per i turisti, prendiamo esempio dalla Svizzera: investiamo su treni panoramici dedicati, con offerte integrate di viaggio e di soggiorno.
Il trasporto ferroviario dovrebbe essere un sistema nazionale pubblico, da valorizzare quale bene comune, non privato. I servizi ferroviari e la sicurezza di viaggiatori devono essere adeguati agli standard europei.
Dar vita ad una rete ferroviaria, ecologica, rapida e capillare costerebbe 20 miliardi di Euro, somma che potrebbe essere parzialmente coperta trasferendo i sussidi per la autostrade e le compagnie di aerei low cost nonché i profitti dai settori più redditizi come autostrade a pedaggio o treni ad alta velocità secondo il principio di sussidiarietà e complementarietà dei servizi. In 5 anni, questo progetto potrebbe creare 40 mila nuovi posti di lavoro.
Il trasporto di merci in italia va rivoluzionato: da una parte bisogna ridurre al minimo i viaggi a vuoto, che siano di camion, treni o navi. Le merci dovrebbero viaggiare preferibilmente su treni di notte, per il trasporto delle merci oltre oceano sarebbe meglio fruire di più navi e meno aerei. Nei centri urbani, occorre la diffusione delle consegne e della raccolta tramite bici o mezzi elettrici.
L’aviazione locale dovrà essere rimpiazzata da treni elettrici ad alta (250-350 km/h) o media (150-250 km/h) velocità. L’aviazione internazionale dovrà essere ridotta ad un terzo dell’attuale entro il 2040. E’ chiaro perciò che dovremo ridurre i voli aerei tramite regolamentazioni ed aumento prezzi basati sull’impronta ecologica. Dovremo razionalizzare la rete dei servizi aerei nazionali, evitando la costruzione di nuovi aeroporti, strutturando servizi ferroviari di accesso rapido e confortevole agli aeroporti principali, chiudendo gli aeroporti risultanti non produttivi o senza bacino di traffico adeguato. Sarà necessario comunque garantire l’occupazione, riconvertendo gli addetti su altri settori di trasporto o su altri ambiti lavorativi. Infine, bisogna potenziare il trasporto marittimo; non solo per merci, ma anche turistico e per il pubblico. I battelli devono viaggiare pieni e i costi devono essere più bassi.
Entro il 2040, dovremmo diminuire i consumi di energia per il trasporto di due terzi, diminuendo viaggi, usando il treno e TPL invece di autovetture, camion e aerei. Dovremmo inoltre aumentare l’efficienza del trasporto del 30% e produrre zero emissioni di CO2.
L’infrastruttura del trasporto del futuro sarà basata sull’energia elettrica. Convertire la motorizzazione dei mezzi di trasporto è il modo più veloce per migliorare l’efficienza energetica. Il futuro del trasporto e’ elettrico, e le opportunità per diventare ancora più efficiente sono notevoli. Per i mezzi pesanti, il bio-carburante locale, non commestibile, da scarti agricoli può essere una possibile soluzione, come anche il recupero di olio esaurito (220 tonnellate l’anno di olio recuperato alimenterebbero 15 mila veicoli); la biomassa o le alghe marine potrebbero contribuire alla riconversione energetica per mezzi pesanti ma anche per aerei.
Investimenti adeguati andranno destinati alle soluzioni tecnologiche più avanzate per rendere più efficienti, green e smart i sistemi di trasporto; esistono ormai consolidate soluzioni di ITS (Intelligent Transportation Systems), innovative azioni volte a favorire lo sviluppo integrato del vivere urbano e della mobilità (Smart Cities), innumerevoli potenziali applicativi connessi alle ICT (Information Communication Technologies) per ridurre il numero di spostamenti.
Ogni anno eseguiamo degli aggiornamenti sulla visione tenendo conto dei commenti ricevuti dagli utenti e ovviamente delle novità sul tema specifico. Vuoi contribuire con un tuo commento ?