“Le associazioni accedono con facilità ai beni confiscati alle mafie e sono state superate le criticità legate alle lungaggini burocratiche e alle ipoteche bancarie. I cittadini e le imprese riconoscono allo Stato l’impegno nella creazione di strumenti efficaci per contrastare corruzione, falso in bilancio, autoriciclaggio. E’ in atto una rivoluzione culturale collettiva contro le mafie.”
Hanno contribuito: Nicola Boscoletto – Cooperativa Giotto | Luca Caiazzo – Crisi Opportunity Onlus | Alessandra Clemente – Assessore Comune Napoli e Fondazione Silvia Ruotolo | Pico Di Trapani – Addio Pizzo | Raffaele Lupoli – Da Sud | Paolo Miggiani – Fondazione Pol.i.s. | Linarello – GOEL. Ha facilitato: Giulia Minoli
A livello mondiale, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il denaro sporco muove tra il 3% ed il 5% del Pil del Pianeta, una cifra che oscilla tra 600 e 1.500 miliardi di dollari solo negli Usa, pari all’intera economia italiana. In ambito europeo, il bilancio globale della holding del denaro sporco è di 600 miliardi di euro.
In Italia l’economia criminale, cioè i proventi di attività come contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d’azzardo, ricettazione, prostituzione e traffico di stupefacenti, (senza contare i reati violenti come furti, rapine, usura ed estorsioni) vale 170 miliardi di euro l’anno.
Il mercato più redditizio è quello del traffico di stupefacenti, seguito dalla tratta di esseri umani, la frode fiscale, jl traffico di armi, ed il contrabbando di sigarette. Per ripulire il denaro sporco questi gruppi si infiltrano nell’economia legale. Bar, discoteche, ristoranti e il gioco d’azzardo sono ottime coperture per il riciclaggio di denaro sporco. I settori preferiti per reinvestire questo denaro sporco sono i trasporti, la logistica, la grande distribuzione, ed ultimamente l’eolico e la gestione dei rifiuti.
L’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea per corruzione percepita secondo il Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 Paesi del mondo. Inoltre Trasparency International 2014 colloca il nostro Paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013, fanalino di coda del G7 e ultimo tra i membri dell’Unione Europea.
Il fatturato dell’ecomafia è tornato a salire nel 2015 dopo anni di stallo. Nel 2014 ha sfiorato i 22 miliardi (il valore più alto dal 2007), sette in più rispetto al 2013. L’anno scorso si è chiuso con 29.293 reati commessi e accertati in campo ambientale, circa 80 al giorno, poco meno di quattro ogni ora.
La legalità non è un valore in sé senza la giustizia sociale. Per avere legalità è necessario che le persone vengano messe nelle condizioni di poter fruire dei propri diritti fondamentali e inalienabili (lavoro, mobilità sociale aperta, educazione libera e dignitosa, servizi accessibili, famiglia sana, tutela e protezione da parte dello stato, equità, ecc.); le due cose non possono dunque prescindere l’una dall’altra.
Le persone dal canto loro dovrebbero corrispondere sussidiariamente, assumendosi le proprie responsabilità, con un forte senso civico di partecipazione alla soluzione dei problemi.
Le mafie, la corruzione, l’enorme zona grigia fatta di silenzi complici e connivenze che negli ultimi vent’anni hanno pervaso la società italiana (e non solo) sono uno dei frutti avvelenati del mercato selvaggio, la cui unica regola è che non ci sono regole. In questo quadro, la cosiddetta “crisi” è il più prolifico brodo di coltura per quell’intreccio di finanza immorale, riciclaggio di denaro sporco, profitti spropositati, cricche e clan.
Questo implica, in estrema sintesi, che le misure da mettere in campo per “superare” la crisi dovranno coincidere sostanzialmente con quelle da praticare per liberare il Paese dalle mafie. Per rivelarsi efficaci, però, queste misure non si dovranno limitare a curare i sintomi della malattia. Piuttosto dovranno colpire il sistema di fondo che ha generato sia la crisi economica e sociale sia il saldarsi di questa sciagurata alleanza tra mafie e pezzi di società
Si possono riassumere le principali criticità della situazione attuale nei seguenti sette punti, legati in maniera diretta alla diffusione della criminalità organizzata nel nostro paese:
Il problema che maggiormente grava sulla gestione dei beni confiscati è quello delle ipoteche bancarie, a causa dei mutui concessi con troppa leggerezza dalle banche; vi è troppa compiacenza, che a volte diviene quasi connivenza, verso soggetti in qualche modo legati al sistema criminale. Accade così che spesso, nonostante la confisca definitiva, tali beni non siano riutilizzabili dai Comuni e dalle Associazioni. Urge intervenire con l’abolizione delle ipoteche: un bene confiscato deve tornare ad appartenere allo Stato. Non essendo più “proprietà” del mafioso, l’ipoteca non ha senso.
Altrettanto penalizzante è l’eccessiva lungaggine burocratica, a causa della quale ci sono tempi troppo lunghi tra la fase di sequestro dei beni e quella della confisca definitiva (da 3 a 15 anni, una vita). Questo tempo, peraltro, viene spesso utilizzato per riappropriazioni indebite da parte dei mafiosi, o per l’utilizzo di terzi, o vandalizzazioni. Il tutto rende ancora più problematica la gestione del bene. Urge snellire i tempi. Solo dopo la confisca il bene può essere riutilizzato. Se alle difficoltà insite nella gestione dei beni sopra richiamate si aggiungono ostacoli precedenti a questa fase, la sottrazione dei patrimoni ai mafiosi rischia di essere la vittoria di Pirro.
La destinazione dei beni confiscati alle mafie per fini istituzionali e sociali è estremamente importante, ma è ovvio che non tutti i patrimoni immobiliari possono essere destinati a tali fini. Anche per questo motivo molti beni rimangono inutilizzati, finendo per dare ai cittadini l’idea dell’inefficienza dello Stato. Sarebbe, quindi, interessante che si cominciasse a parlare – senza pregiudizi – anche della possibilità di mettere in vendita quei beni che non possono essere reimmessi nel circuito istituzionale e sociale.
I capitali confiscati confluiscono nel Fondo Unico Giustizia (FUG), da destinare metà alla Giustizia e metà all’Interno. Ogni giorno assistiamo ad operazioni di confisca dei capitali dei mafiosi ma poi non ci sono fondi per la tutela dei magistrati e per gli straordinari delle Forze dell’Ordine. Non ci sono fondi per ristrutturare i beni e far decollare l’attività del loro riutilizzo.
Un altro grave problema è quello della mancanza di un sistema e di programmi validi di educazione e informazione sulla legalità. I motivi sono molteplici. Innanzitutto molti dei progetti di educazione alla legalità non durano nel tempo e non riescono a costruire sinergie con le realtà che agiscono sul territorio.
Vi è inoltre un problema oggettivo nel fare informazione sulle mafie e la legalità. Molti dei giornalisti che provano a fare un’informazione libera vengono minacciati di morte e in mancanza di adeguate protezioni da parte delle istituzioni si trovano spesso costretti a desistere. D’altronde in mancanza di una informazione realmente libera e una educazione alla legalità è molto più difficile conoscere, sensibilizzarsi ed essere cittadini attivi.
Gli obiettivi che si prevedono come prioritari hanno una natura strettamente legata al cambiamento e all’inversione di rotta per la società intera in termini di “virtù” personali e collettive: l’acquisizione di un senso civico, di cittadinanza attiva, un senso di onestà personale, sincerità, trasparenza e lealtà, che si tramuti in rispetto per tutti gli interlocutori della propria comunità.
Si pensa all’impegno, al senso del dovere e della vergogna, alla coscienza sociale, all’autodeterminazione e soprattutto al tema della sicurezza, al governo degli equilibri economici e alla gestione del potere politico.
La ricerca dell’equità e dell’uguaglianza da parte delle istituzioni pubbliche e di governo divengono una leva fondamentale per contenere e annullare la deriva dei comportamenti criminali, il rispetto per sé e per gli altri si materializza in azioni di coraggio per eliminare l’omertà, la giustizia diffusa strumento per sentirsi cittadini e non semplici abitanti dei propri territori.
Nel 2040 si deve costruire un’Italia senza mafie: senza criminalità organizzata, senza la possibilità di collusione tra mafia e Stato; un Paese risanato nel suo tessuto sociale, che da un lato previene attraverso la scuola, i giovani , le loro famiglie e le comunità di riferimento,e dall’altro rieduca ed orienta nelle carceri, punta sul reinserimento sociale, l’uguaglianza socio economica e l’assenza di disoccupazione.
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