“Il ruolo degli editori è stato fortemente ridimensionato, i monopoli aboliti, mentre i giornalisti, uniti in consorzi o liberi professionisti, sono diventati i veri protagonisti di un’informazione liberata dal controllo di lobby e poteri. Il ruolo del cittadino attivo è determinante e l’educazione ai media è insegnata nelle scuole primarie e secondarie”
Hanno Contribuito: Nicholas Bawtree – Terra Nuova Edizioni | Riccardo Bonacina – Vita | Cesare Cantù – Nuovi occhi per i media, media education | Sergio Ferraris – Federazione Italiana Media Ambientali | Pierluigi Paoletti – Reti | Matteo Ponzano – Reset Radio | Francesco Rosso – Macrolibrarsi | Davide Scalisi – TV Popolare | Daniel Tarozzi – Italia che Cambia Ha facilitato: Daniel Tarozzi
La costruzione della fotografia attuale è stata facilmente condivisa da tutti i partecipanti. È subito emerso come i punti di debolezza riempissero pagine e pagine di taccuino, mentre i punti di forza si potessero riassumere in poche righe. Questo a conferma di un punto di partenza decisamente problematico. Abbiamo affrontato i media dal punto di vista del loro impatto sull’immaginario collettivo, sulla costruzione di modelli per i giovani, sulla diffusione di una corretta informazione e sulla risposta a quelli che sarebbero i principi sanciti dall’articolo 21 della Costituzione e dagli altri articoli riguardanti la libertà di informazione e la privacy.
Ma veniamo alla descrizione della famosa “fotografia”, proviamo a dipanare le ombre e, nonostante le tinte fosche, osserviamone i dettagli.
La situazione attuale del mondo dell’informazione e della comunicazione in Italia è connotata prima di tutto da una serie di mancanze e problemi che pongono il nostro sistema mediatico come principale indiziato nei processi di decadenza e impotenza che caratterizzano questo momento storico.
Il web potrebbe rispondere a molte delle mancanze evidenziate qui sopra, ma anche qui sono emersi subito una serie di problematiche da non sottovalutare:
I deficit del giornalismo ambientale
Anche la situazione del giornalismo ambientale risulta gravemente deficitaria. L’informazione ambientale, infatti, è delegata alla soluzione articolo pubblicato e ha una identità sclerotica: si occupa solo di ambiente in un momento in cui l’ambiente è un pezzo importante di una crisi più importante e globale. Il giornalismo ambientale deve essere trasversale, perché riguarda ogni aspetto della vita quotidiana. L’info ambientale è una chiave interpretativa, non può essere a sé stante.
Tutto ciò, unito alla immagine costantemente negativa del nostro Paese che determina un inconscio negativo e spinge le persone verso la passività, sta comportando effetti drammatici sulla nostra società e in particolare sui minori ed è accentuato dalla progressiva mancanza di luoghi d’incontro in cui scambiare saperi antichi, cultura, idee. Molti giovani vedono il loro immaginario devastato e la stessa idea di futuro appare ai loro occhi nebulosa. Lo scollamento tra la realtà e la visione rappresentata dai mass media appare sempre più forte, con la riproposizione ossessiva di un pensiero unico e volgare teso a mercificare tutto e tutti; un pensiero funzionale alla vendita di prodotti di largo consumo e a cittadini isolati, terrorizzati e facilmente malleabili.
In questo contesto appare inevitabile l’isolamento prodotto prima dalle tv e poi dalla virtualizzazione dei rapporti innestata dai social e si rende sempre più palese l’istigazione del sistema mediatico verso emozioni di paura e solitudine. Il sistema mediatico, in sintesi, ci dipinge, ci rende, e forse ci vuole, passivi e impotenti.
Chiudiamo questa parte con le parole di Riccardo Bonacina, Direttore Editoriale di Vita, che ben racchiude quanto emerso dai nostri incontri:
“C’è un problema, – lo dico con una battuta di Charlie Brown – ‘So tutto, ma non conosco niente’ che all’inizio della mia avventura giornalistica fu per me una folgorazione. È proprio così, provate a pensarci, le cose che succedono, le miriadi di informazioni che ci raggiungono, ci danno l’impressione di sapere tutto, ma, cosa conosciamo davvero? Abbiamo gli strumenti per comprendere ciò che succede, ciò di cui veniamo a sapere, ciò che vediamo attraverso le immagini? Riusciamo ad avere gli strumenti per capire quello che sappiamo? Per fare una citazione alta potremmo provare a far risuonare oggi una domanda che Thomas S. Eliot già faceva negli anni trenta del secolo scorso: ‘Abbiamo l’informazione, ma dov’è la conoscenza?’
Noi cominciamo a conoscere veramente solo quando siamo interpellati in prima persona, quando qualcuno racconta direttamente a noi il fatto o la notizia; cominciamo a conoscere veramente solo quando veniamo chiamati in causa in prima persona.
In questo sistema di comunicazione noi siamo spettatori passivi, non siamo interpellati, siamo pubblico non persone; ‘sappiamo tutto, ma non conosciamo niente’ perché il sistema dell’informazione non inaugura, non instaura nessuno spazio dialogico”
Molto più rapida e difficoltosa è stata la ricerca di punti di forza nell’attuale sistema informativo e mediatico. Sono stati individuati tutti nel web e nel mondo radiofonico, mentre il circuito televisivo e legato alla stampa è risultato totalmente negativo.
Nonostante questo, va detto che l’informazione e la comunicazione oggi sono una rete quasi infinita di voci, di immagini, di notizie. Chiunque si può sintonizzare con circa 300 canali digitali, se poi si possiede un’antenna parabolica si possono raddoppiare. In qualsiasi zona d’Italia ci si trovi ci si può sintonizzare mediamente con una trentina di canali radiofonici – in Italia, questi sono in tutto un migliaio. Nelle edicole, sempre più deserte, potete scegliere ancora tra oltre 2000 testate di quotidiani e periodici, senza contare i libri, le enciclopedie, i gadget e così via; se non si ha voglia di spendere esistono pure i quotidiani che non costano nulla, ogni giorno si distribuiscono gratuitamente oltre 2.500.000 copie, tra giornali e riviste gratuite. C’è poi Internet, l’infinitezza per definizione, è quasi impossibile quantificare, ognuno di noi può realizzare il suo sito, può appendere il suo post nell’infinitezza della rete grazie ai blog, ognuno può avere la sua bacheca, può diffondere il suo messaggio.
Il mondo non ha mai avuto tanto in termini di comunicazione, non è mai esistita tanta opportunità d’informazione, il mondo non è stato mai così raggiungibile in rete, ogni evento può essere vissuto in diretta, rivisto in replay infinite volte, si ha l’impressione che lo si può discutere, ed anche partecipare. Anche l’accesso alla rete della comunicazione non è mai stato, apparentemente, così a portata di mano.
Tra i punti di forza, quindi, vanno segnalati alcuni elementi che sono stati prima elencati anche tra i punti di debolezza. Molto dipende, infatti, dall’uso che si fa di questi nuovi media.
È infatti indubbio che internet, oggi, permetta potenzialmente a tutti quelli in possesso di un dispositivo connesso ad una rete un accesso immediato a all’informazione nonché la possibilità di diventare egli stesso produttore di informazioni. Si stanno inoltre affermando esperimenti di reti internet (in questo caso ci riferiamo proprio all’infrastruttura di rete) slegate dai vari monopolisti. Reti in cui l’abbonato diventa co-proprietario della rete stessa, impedendo censure o blocchi dall’alto. Gli stessi social network, normalmente indicati tra i principali strumenti di virtualizzazione della vita moderna, se usati correttamente, possono diventare formidabili strumenti di diffusione di informazioni, pensieri, musiche e format diverse da quelli promossi dalla nostra industria culturale.
Si stanno affermando, inoltre, moltissimi prototipi che potrebbero in futuro trasformare il mondo della comunicazione. Esperienze come quelle di Tv Popolare per la televisione, di Repporter per l’informazione verso i giovani, di sound riff come alternativa alla Siae e dei teatri di paglia come luoghi “off line” in cui riproporre un contatto diretto tra protagonista della comunicazione e destinatario.
La coesione tra gli attori del mondo dell’innovazione sociale, inoltre, è in crescita così come la richiesta da parte dei fruitori di informazioni positive e indipendenti. Con l’introduzione del digitale terrestre, l’allargamento dei canali a disposizione e l’abbassamento dei costi di emissione si è creato potenzialmente un varco per entrare nei mass media nazionali;i movimenti opensource e common creative offrono basi solide di lavoro su valori condivisi; nuovi modelli di sostenibilità economica partecipata si diffondono.
Esistono quindi alcuni editori capaci di offrire informazione di qualità, che veicolano valori differenti dal mainstream, che sperimentano anche nuovi modelli di comunicazione, ma da parte di questi soggetti mancano la consapevolezza e la determinazione per avviare uno spazio progettuale e sperimentale condiviso, fatto di investimenti comuni (anche piccoli, ma coordinati), tesi ad offrire momenti di vero cambiamento nell’informazione: creare forti momenti d’ispirazione collettiva, d’impatto, tesi a dimostrare che un modello d’informazione differente esiste e che soprattutto esistono mille bellissimi mondi nascosti che meritano di essere ascoltati e conosciuti. Manca una rete, non una di quelle teoriche, bensì un bancone di lavoro su cui sperimentare insieme. Manca un muro su cui ognuno può appendere i suoi attrezzi e metterli a disposizione di un progetto condiviso almeno una volta all’anno.
La drammatica situazione in cui sono costretti a lavorare i giornalisti, inoltre, ha costretto i più volenterosi a sviluppare la capacità ”di mettere insieme le cose con scotch e fil di ferro”: il problem solving, molto ricercato all’estero. Un grande pensiero trasversale e una predisposizione ad applicare questo pensiero trasversale nelle nuove tecnologie.
Va segnalato, infine, il tentativo di affermare una carta dei diritti su Internet condivisa a livello nazionale ed in linea con l’azione europea, che può fare da esempio e guida per agire anche negli altri ambiti mediatici. La gravità della situazione (Italia al 73° posto al mondo per la libertà di espressione, in peggioramento rispetto agli anni precedenti) ci può quindi paradossalmente permettere un rivolgimento deciso, se non repentino, a fronte di un nuovo pubblico largamente sfiduciato. Insomma, la situazione è matura per l’azione di cambiamento.
Nel 2040 in tutte le scuole si farà “media education”. I ragazzi cresceranno quindi imparando ad essere consapevoli dei media che li circondano e dei loro messaggi e svilupperanno un senso critico che li aiuterà a farsi domande in merito a ciò che ricevono. Questa educazione ai media (a tutti e tre i suoi livelli: lettura critica, linguaggio e pratica) sarà diffusa in tutte le scuole e di conseguenza si svilupperà un nuovo pubblico difficilmente manipolabile e influenzabile dalle tradizionali tecniche di comunicazione. Nei corsi universitari e professionali ci saranno anche materie come etica dei media ed ecologia dei media.
Accanto alla denuncia e al racconto dell’italiano “medio” si sarà affermato, con ugual forza, il racconto e la testimonianza di un altro modo di essere e vivere e valori oggi considerati di nicchia saranno la guida di gran parte del racconto mediatico.
L’informazione avrà smesso di essere autoreferenziale e incentrata sulla denuncia e sul pettegolezzo e darà molto spazio al racconto di quanto avviene realmente nel paese. L’intero panorama dei “valori notizia” sarà stato ribaltato, costruendo una relativa “agenda setting” (la scelta delle notizie da trasmettere) completamente nuova.
Probabilmente non esisterà più la televisione come la conosciamo oggi, così come non esisteranno più i giornali cartacei in quanto ecologicamente ed economicamente non sostenibili. L’informazione sarà quindi sempre elettronica. Il libro cartaceo e la rivista cartacea saranno sempre meno utilizzati e comunque stampati in digitale on demand; https://www.youtube.com/watch?v=YmwwrGV_aiE
Tutta la comunicazione avrà sviluppato forme di interazione e multimedialità evoluta, ma grazie alla media education le nuove generazioni avranno imparato a padroneggiare gli strumenti digitali senza subirli passivamente.
L’accesso a internet sarà un diritto di nascita, a banda veloce ovunque e a costo zero; le persone ne faranno un uso consapevole grazie alla media education ricevuta a scuola. Si sarà sviluppata una informazione reale su cosa fanno le aziende e si sarà affermata una vera e propria “rete dell’intelligenza”.
L’infrastruttura web sarà un’unica rete condivisa di proprietà collettiva, quindi nessuno potrà condizionarla. I contenuti non avranno alcun controllo e saranno totalmente liberi. L’informazione a quel punto non sarà un informazione tesa a conoscere cosa fa l’altro, ma sarà più orientata al saper fare, stimolando arte, umorismo, curiosità, creatività.[DS3]
Grazie al web e a strumenti come il teatro di paglia sempre più persone sonosaranno riuscite ad affermare i propri contenuti e le proprie visioni grazie a format autoprodotti e partiti dal basso. Il creative commons e l’open source saranno alla base di gran parte della comunicazione.
L’informazione contribuirà allo sviluppo di una coscienza critica collettiva. La “paura indotta” dai media sarà stata eliminata.
La tv pubblica (o quel che sarà diventata la tv) avrà ripreso almeno in parte il suo ruolo educativo e formativo, pur mantenendo tratti forti di intrattenimento. Il servizio pubblico televisivo, quindi, sarà stato restituito ai cittadini e completamente slegato dai partiti e dal governo che ne hanno fatto scempio.
Varrà per l’informazione la stessa logica che applichiamo all’alimentazione, in un’ottica permaculturale con forte accento su qualità, creatività e sostenibilità (sia economica che non), con una comunicazione chiara del “valore” dietro alla professione e al suo ruolo sociale (es. prezzo trasparente). Per rimanere nella metafora dell’alimentazione, verrà inclusa anche un’ottica di “fair trade”, con una diminuzione o eliminazione delle grandi disparità sociali, sia in ambito giornalistico (giornalisti superpagati e giornalisti da tre euro a articolo) che in ambito editoriale (attuale predominanza dei grandi gruppi che fagocitano/copiano le realtà piccole). Si sarà sviluppato un fronte comune tra realtà di informazione indipendente che diventano “casa”, sia per chi le fa che per chi le legge.
Si svilupperanno degli “hub di comunità”. Hub locali e nazionali indipendenti capaci di coinvolgere comunità che condividono passioni, interessi, visioni, territori. Hub capaci di raccontare, multimediali, organizzatori di eventi e incontri, ovvero, capaci di valicare il confine tra virtuale e fattuale. Solo così l’informazione dal basso potrà trovare una sua strutturazione, una sua infrastrutturazione. Ma per far questo occorrerà grande capacità di innovazione.
La comunicazione in generale sarà bi-direzionale, ma si saranno affermati dei sistemi di “controllo qualità” basati sui feedback degli utenti (stile trip-advisor). L’open source affiancherà i “colossi digitali” con piattaforme ugualmente diffuse e quasi sempre più performanti e costringerà quindi i colossi stessi ad allentare i comportamenti scorretti in nome della sopravvivenza sul mercato. Il web permetterà al cittadino di verificare una informazione con l’accesso diretto alle fonti. Chi offre un servizio/prodotto viene premiato sulla base della qualità del servizio che offre. Chi offre un servizio di scarsa qualità viene eliminato della community.
Anche un giornalista viene premiato con lo stesso principio dalla community. Ciò che conta è quanto è stato utile il suo articolo (non dire nulla che sia più importante del tuo silenzio).
I giornalisti hanno quindi un rating basato sull’utilità dell’informazione, utilità giudicata dai lettori stessi. In base al rating il giornalista viene pagato dalla comunità per il suo lavoro di informazione e formazione.
Probabilmente scomparirà o sarà fortemente ridotta la figura dell’editore come figura terza rispetto a giornalista e lettore. Aumenterà la promozione personale del giornalista, e i giornalisti che capiranno questa cosa avranno le porte aperte. Contestualmente si svilupperanno tecnologie di aggregazione degli articoli permettendo sempre più un rapporto diretto tra giornalista e lettore.
Parte dell’informazione, inoltre, diventerà sociale in stile “waze”. Waze è un navigatore che prevede che siano gli utenti stessi della strada a segnalare problemi di traffico, ostacoli lungo la strada, condizioni climatiche avverse.
Allo stesso modo sarà fatta comunicazione da parte di chi vive “vicende” che meritano di essere condivise con la community e le stesse avranno maggiore visibilità sulla base dell’interazione della community, un po’ come facebook.
In pratica chi viene a conoscenza di un informazione importante per la comunità la registra direttamente in un apposita piattaforma suddivisa per argomenti e acquisisce un certo rating sulla base del giudizio dei lettori, tipo di informazioni, ecc con tanti filtri, un po’ come le info stradali su Waze, o le info sugli hotel di booking, le info sugli autisti di Blablacar. Un’informazione sbagliata viene subito bannata dalla comunità, soprattutto locale che ha vissuto la stessa “vicenda”.
La pubblicità resterà una delle fonti di finanziamento dei media, ma non sarà più l’unica. Il crowdfounding, gli abbonamenti, la formazione e altre forme dirette o indirette di finanziamento avranno permesso a chi fa informazione di affrancarsi dalla schiavitù della pubblicità.
I media digitali avranno quasi del tutto soppiantato i media cartacei e i supporti stessi, probabilmente, saranno sempre più “immateriali”.
L’informazione non sarà più influenzata dall’economia, la digitalizzazione dei contenuti avrà abbattuto i divari e permetterà la messa in comune delle esperienze.
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