Visione 2040 Economia

“Un’economia circolare, centrata sul benessere dell’individuo, della comunità, degli ecosistemi e su una più equa ripartizione della ricchezza. Dalla crisi del capitalismo globale e finanziarizzato è nato un nuovo modello che, su piccola scala, affianca agli strumenti economici classici monete locali e complementari, economia del dono e della condivisione.”


Hanno contribuito: Andrea Baranes – Banca Etica | Davide Biolghini – Rete Economia Solidale | Cristiano Bottone – Transition Italia| Andrea Degl’Innocenti – Italia che Cambia | Francesco Gesualdi – Centro Nuovo Modello di Sviluppo | Alessandro Pertosa – Movimento Decrescita Felice | Andrea Rapaccini – Make a change | Luca Vannetiello – Arcipelago SCEC. Ha facilitato: Andrea Degl’Innocenti


SITUAZIONE ATTUALE

Quando si parla di economia si intrecciano tanti aspetti differenti, ed ogni disegno che proviamo a tracciare, per quanto coerente al suo interno, necessita di interlacciarsi con altri livelli di significato. L’economia (dal greco οikos, “casa”, e nomos, “regola”, le regole della casa) non è solo una questione di numeri, di “far tornare i conti”, ma ha molto a che fare con la visione che si ha del mondo, della società, delle relazioni umane; ben lungi dall’essere una scienza esatta, una faccenda per tecnici, essa è piuttosto una riflessione sul chi e sul come si gestiscono le risorse e, in definitiva, sulla maniera in cui vogliamo stare al mondo. È dunque inevitabile che un’analisi della situazione economica avvenga su vari livelli. Nello specifico di questo documento partiremo dai livelli “macro”, più generali, per spostarci di volta in volta verso il “micro”, quelli più specifici. Altra precisazione necessaria è che avrebbe ben poco senso, in un’economia ed una società globali, fare un’analisi che si attenga esclusivamente alla situazione italiana (che pure ha delle sue specificità che analizzeremo all’interno del documento). Dunque molte delle riflessioni qui sviluppate spesso riguardano non soltanto il nostro paese ma di volta in volta l’Europa, il mondo occidentale, il mondo intero.

Dicevamo che l’economia ha a che fare con la distribuzione e la gestione delle risorse. Ebbene le risorse sul pianeta terra sono gestite oggi in maniera iniqua e sconsiderata. Iniqua perché le differenze nella distribuzione sono in costante crescita. Sconsiderata perché non si tiene conto della finitezza delle stesse, né della capacità del sistema terrestre di assorbire l’impatto dei meccanismi di produzione-smaltimento dei beni di consumo.

DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

Una prima riflessione, introduttiva di quanto andremo a dire, riguarda il ruolo dell’economia all’interno della società attuale: un ruolo che ha assunto una proporzione sempre maggiore, al punto di regolare ogni aspetto della vita dell’uomo contemporaneo. Viviamo in una società totalmente mercantilizzata, in cui l’unico modo per soddisfare i bisogni è il mercato. In tale contesto la “crisi economica”, che come vedremo ha radici strutturali e sistemiche, si è trasformata in uno strumento che la classe dominante sta utilizzando per affermare ancor più i propri interessi a discapito delle condizioni di vita dei settori sociali meno abbienti. Le disparità sociali ed economiche non sono mai state tanto evidenti e in aumento come adesso, sia fra Sud e Nord del mondo, sia all’interno degli stessi paesi. Alle disparità economiche si accompagnano alcuni gravi problemi socio-demografici e sanitari come la speranza di vita, l’accesso alla cultura, la salute fisica, l’obesità, la deprivazione, la violenza, che sono riconducibili alle disuguaglianze reddituali che si registrano all’interno di tali paesi, a prescindere dal loro livello di sviluppo economico (Wilkinson, Pickett, 2009).

Attraverso i proventi finanziari, la costruzione di rapporti debitori con i governi e l’utilizzo strumentale delle agenzie di rating, si è costruito un oligopolio finanziario che ha generato una concentrazione della ricchezza senza precedenti nella storia moderna; a partire dal 2016 l’1% della popolazione mondiale detiene più del 50% della ricchezza mondiale, ovvero l’1% è più ricco dell’altro 99% (dati Oxfam). In Italia tra gli anni Ottanta e il 2008 la disuguaglianza è cresciuta del 31% (contro una media del 12% degli altri paesi industrializzati).

Così il potere è sempre più accentrato nelle mani delle lobby economico/finanziarie, che decidono le politiche nazionali e internazionali. Mentre la crisi colpisce soprattutto settori sociali intermedi, provocando nuove forme di povertà. Una povertà, quella contemporanea, che ha spesso una dimensione più drammatica che in passato: in un modello sociale competitivo e individualista infatti essa non riesce più ad essere assorbita e contenuta da un tessuto di relazioni sociali in gran parte disgregate. Le società contemporanee sono deflagranti: in città si vive negli appartamenti, appartati.

IMPATTO SUL PIANETA

Il dogma della crescita economica infinita, perno dell’economia capitalista, pone le sue basi pratiche da un lato sulla disponibilità di energia a basso prezzo ricavata da combustibili fossili, dall’altro su una serie di innovazioni tecnologiche nel campo dell’informatica e della meccanica. Questi due elementi hanno permesso di rendere fattibile ed economicamente “conveniente” la circolazione delle merci a livello globale, ma hanno avuto come corollario un impatto sull’ecosistema senza precedenti e un rapido esaurimento delle risorse fossili (petrolio e gas) che l’hanno reso possibile.

L’impatto di questo sistema socio-economico sul pianeta ha innumerevoli sfaccettature. La più nota è il “global warming”, riscaldamento globale generato dalle emissioni di gas serra nell’amosfera:  l’IPCC (il Panel dell’Onu sul Climate Change) nell’ultimo rapporto (Il Fifth Assessment Report del 2013) analizza scenari che in assenza di azioni incisive calcolano aumenti della temperatura media del pianeta fino a oltre i 5° (Representative Concentration Pathways 8.5); viene ormai considerata indispensabile, oltre alla logica di mitigazione, quella dell’adattamento e la maggior parte dei climatologi è ormai convinta che non riusciremo più a rimanere sotto i 2°C di aumento a cui la comunità internazionale ha mirato fino ad ora con impatti pesantissimi su tutte le economie, provocando migrazioni, scarsità alimentare, ecc. Altrettanto gravi sono gli impatti sugli ecosistemi, che, secondo alcuni scienziati (vedi studi della Stanford University) ci hanno portato sull’orlo della sesta estinzione di massa. Anche la capacità rigenerativa del pianeta è ridotta allo stremo: ogni anno giunge un po’ prima l’overshot day, il giorno in cui vengono esaurite le risorse che la Terra è in grado di produrre in un anno.

Tuttavia la capacità di estrarre petrolio e gas a basso costo sembra diminuire anno dopo anno. Dalla fine del 2010, il gruppo dei paesi la cui produzione sta ancora crescendo non riesce a compensare il declino del resto del mondo. La produzione mondiale del petrolio convenzionale ha visto il suo picco nel 2005, dopodiché la copertura della domanda è stata assicurata con l’incremento di combustibili liquidi diversi dal petrolio convenzionale (ad es. il Light Tight Oil estratto con il fracking negli USA, i biocombustibili e il sincrude derivante dal trattamento delle sabbie bituminose).

La produzione di questi combustibili è mediamente ben più costosa, sia in termini economici che energetici, rispetto al petrolio convenzionale, da qui l’aumento tendenziale dei prezzi e l’attuale volatilità dovuta agli effetti combinati di guerre di mercato e momenti di depressione della domanda. Molti analisti prevedono entro pochi anni un crollo vertiginoso della produzione mondiale nel momento in cui la costosa produzione di petrolio non convenzionale smetterà di fare da cuscinetto all’esaurimento dei giacimenti tradizionali.

LA FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA

Sul finire degli anni Ottanta, alcune criticità interne ed esterne al modello capitalista di mercato hanno prodotto una svolta sostanziale. La domanda di beni di consumo nella società occidentale era pressoché satura, i costi della produzione erano in aumento a causa della crescita del prezzo del petrolio e del costo del lavoro. Il sistema capitalista ha risposto in tre modi: un massiccio spostamento della produzione verso paesi con costi minori, l’apertura di nuovi mercati in paesi con costi minori (Cina, India, ecc.) e la finanziarizzazione dell’economia, ovvero lo spostamento delle risorse dalla produzione/consumo allo scambio di denaro. La finanza, che era nata per essere il mercato dei soldi, dunque per mettere in contatto chi ne aveva bisogno (domanda) con chi aveva una disponibilità (offerta), è diventata un casinò con l’unico scopo di fare soldi con i soldi.

Il sistema finanziario necessita, per non collassare, di crescere a tassi costantemente superiori a quelli dell’economia reale. Se il PIL del mondo cresce del 2-3%, la finanza deve crescere a ritmi superiori. E lo fa in due modi: estraendo ricchezza a ritmi costantemente crescenti da ogni attività umana (da qui la finanziarizzazione di ogni attività, compresi servizi pubblici, beni comuni e risorse naturali), oppure creando delle immense bolle sul nulla, e facendone pagare il costo alla collettività nel momento in cui le stesse esplodono (ed è la situazione che viviamo da qualche anno a questa parte).
In questo contesto, gli strumenti di finanza pubblica (che avevano lo scopo di finanziare i servizi di interesse pubblico) sono stati colonizzati dalla finanza privata, con la sbandierata convinzione che la finanza pubblica sia il problema e quella privata la soluzione. Così le municipalizzate, le banche popolari, etc., sono state trasformate in società per azioni, strumenti di diritto privato che devono per legge rispondere a logiche di profitto. Oggi i beni comuni, dall’acqua, alla gestione dei rifiuti, ai risparmi dei cittadini, sono il piatto su cui la finanza privata ha deciso di mettere le mani. Lo stesso debito pubblico, che in Italia ha superato nel luglio 2015 i 2.200 miliardi di euro, è utilizzato come grimaldello per spingere lo stato a privatizzare i propri possedimenti.

Privatizzazioni come quelle delle Poste e la trasformazione delle banche popolari in s.p.a. sono l’emblema di questo modello: lo stato ricava pochissimo da queste operazioni (4 miliardi dalle Poste, a fronte di un debito di 2.200 mld) ed è evidente che lo scopo non è ridurre il debito ma permettere alla finanza di mettere le mani sul patrimonio di risparmi degli italiani (risparmi che ammontano a 8.800 miliardi, di cui circa 1.000 miliardi depositati presso istituti di credito ancora non scalabili dalla finanza internazionale). Una idrovora finanziaria del denaro del popolo italiano, perfettamente legalizzata.

EUROPA, EURO E TRATTATI TRANSNAZIONALI

L’Europa non fa eccezione. Figlia di questo contesto l’Unione europea è nata – sotto l’egida della finanza privata – con una accentuata visione mercantilista, in cui il benessere dei cittadini è subalterno agli equilibri economici. L’export è stato messo alla base del successo commerciale di ogni paese, al punto da sacrificare tutti i diritti sociali e dell’ambiente nel nome di questa visione. Basti pensare che la BCE ha come unico obiettivo contenere l’inflazione al 2% (negli USA c’è un obiettivo della FED di piena occupazione).

È un’Europa in mezzo al guado quella contemporanea: esiste un’Europa monetaria, della libera circolazione di capitali e delle persone (salvo i migranti), con una moneta unica e una banca centrale, ma manca un’Europa fiscale, dei diritti, politica.

La crisi greca ha contribuito a portare alla luce i meccanismi più oscuri dell’Unione e a chiarire anche ai più scettici come “il grande capitale si stia mangiando gli Stati”. Negli anni del credito facile le banche (soprattutto francesi e tedesche) prestavano denaro alla Grecia (approfittando anche di una diffusa corruzione) perché questa fosse in grado di comprare armi dalla Francia e dalla Germania. Quando le banche hanno chiuso i rubinetti del credito la Grecia si è trovata impossibilitata a far fronte al proprio debito. Le banche hanno così iniziato a speculare sul debito greco, guadagnando dalla differenza sugli interessi. E dal momento che la Grecia non era in grado di pagare questi interessi l’UE è intervenuta con gli aiuti al paese, che però sono andati in gran parte (220 miliardi sui 250 erogati fino a giugno 2015) direttamente alle banche.

Così, in assenza di un’unità politica, fiscale, di una valutazione unica da parte delle agenzie di rating, l’Europa invece di unire divide. E la moneta unica non fa che acuire le differenze fra i paesi più ricchi e quelli più poveri, inibendo anche le leve convenzionali dei singoli stati dell’inflazione e della svalutazione competitiva.

L’euro meriterebbe poi un discorso a parte (per il quale rimandiamo a trattazioni più approfondite in bibliografia) per il suo sistema di emissione. L’euro viene emesso a debito da una Banca centrale europea privata (in quanto partecipata dalle banche dei paesi facenti parte dell’unione monetaria più l’Inghilterra) e prestato non già direttamente ai paesi membri, ma alle banche degli stessi.

In questo contesto già complesso si registra un’ulteriore accelerazione ai processi di globalizzazione e liberalizzazione in atto condotta a suon di trattati. Ne è un primo esempio il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), accordo fra UE e USA che vuole abbattere i dazi doganali e uniformare i regolamenti dei due continenti con lo scopo di creare la più ampia area di libero scambio mai esistita. Ma esistono anche il CETA (accordo fra UE  Canada) e il TISA (che coinvolge 50 paesi e secondo indiscrezioni di Wikileaks mira al mercato dei dati personali e a quello della sanità).

PROBLEMI TUTTI ITALIANI

Alla situazione sopradescritta vanno aggiunte, nel caso del nostro paese, alcune criticità specifiche. Una fra le maggiori è la presenza di ben quattro mafie (cinque secondo alcune classificazioni) sul nostro territorio, la cui azione congiunta abbraccia ormai tutta la penisola. Legato al problema delle mafie vi è quello della corruzione. Secondo i calcoli della Corte dei Conti la corruzione genera il 40% di spesa in più nei contratti per opere, forniture e servizi pubblici dello Stato, per un costo complessivo per il nostro paese di oltre 100 miliardi di euro l’anno. Infine una delle maggiori problematiche macroeconomiche dell’Italia è rappresentata dalle dimensioni del suo debito pubblico, che nel luglio 2015 ha superato la soglia del 2.200 miliardi di euro, attorno al 140% del PIL (mentre l’impegno preso verso l’Europa e ratificato dal Fiscal Compact ci impone di diminuire ogni anno di 1/20 questo rapporto fino a raggiungere il 60%).

Vi è infine un problema di fondo: siamo ormai in possesso di tutti gli strumenti di analisi e comprensione culturali di questo modello, ma permane a tutti i livelli un’immensa incapacità di utilizzare questi strumenti. In altre parole riusciamo a capire il sistema ma non a modificarlo.

PUNTI DI FORZA

Fuori dalla cappa asfissiante dell’economia di sistema esiste un sottobosco diffuso di persone che cercano in varie maniere percorsi diversi. Che ogni giorno con il loro stile di vita, i loro acquisti, i loro progetti e attività dimostrano nei fatti che si possono sviluppare economie ecologiche ed etiche. La crescente diffusione di questi modelli ha portato ad un aumento di consapevolezza del mercato, come dimostrano alcuni atteggiamenti assunti dalle grandi aziende (si vedano,  titolo di esempio alcune campagne di Patagonia, Unilever, L’Oreal). Tanto più il sistema neoliberale è in crisi, quanto più si assiste a un fiorire ed un moltiplicarsi di esperienze virtuose alternative.

Ora, sebbene l’esistenza di alternative possibili non dimostri di per sé l’attuabilità di un cambiamento di paradigma collettivo (anzi in alcuni casi le alternative, se confinate in nicchie autoreferenziali, sono qualcosa di previsto e persino funzionale al sistema), va annotato un secondo punto di forza sostanziale in questo momento storico: la scienza dei sistemi è avanzata e sono stati sviluppati modelli semplici per interagire con i sistemi complessi, che indicano quali sono i punti specifici, all’interno di miliardi di cicli di retroazione, in cui questi cicli si modificano e modificano di conseguenza il funzionamento dell’intero sistema.


VISIONE 2040

Per definire come potrà essere l’economia – e il mondo – nel 2040 possiamo partire da alcune considerazioni di ordine più generico: gli effetti del riscaldamento globale saranno già estremamente pesanti e le risorse fossili come il petrolio saranno scarse o non più utilizzabili (a seconda della strada che avremo preso). Ciò comporta che molti cambiamenti saranno stati inevitabili, altri necessari per il proseguimento della vita sulla terra. Tuttavia, se avremo saputo sfruttare al meglio le opportunità intrinseche a questo cambiamento epocale, saremo anche riusciti a costruire un’economia e una società più eque e sostenibili. Consapevoli che, per dirla con Alex Langer, “se vogliamo una riconversione ecologica dobbiamo prospettare una visione socialmente desiderabile”.

UNA PROSPETTIVA PIU’ AMPIA

Il 2040, oggetto del nostro esercizio d’immaginazione che segue, è una data troppo lontana per alcune proiezioni, troppo vicina per altre. Per muovere i nostri passi abbiamo bisogno di una prospettiva che va ben oltre il 2040 ma anche di un pragmatismo immediato che ci consente di vedere anche il cambiamento a stretto giro. Dobbiamo utilizzare un doppio fuoco, uno verso l’orizzonte per indirizzare la barra, l’altro più vicino, per non soccombere sotto i colpi della contingenza.

Per quanto riguarda l’orizzonte più ampio dovremmo aver messo in atto con modalità collaborative cambiamenti e innovazioni “radicali” sul piano ambientale, economico e sociale costruendo un “luogo che non c’è ancora”, che “allontana dalla fisionomia del capitalismo” (Mancini, 2014). In generale ci andremo incamminando verso una drastica riduzione del ruolo dall’economia monetaria nelle nostre vite, se non una totale uscita dall’economia intesa come strumento di sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Sarà un percorso lungo, di consapevolezza, una rivoluzione dell’essere umano. Ovviamente questo comporterà una trasformazione nell’organizzazione sociale, nel bilanciamento tra economia pubblica, di mercato, e personale, nei sistemi di produzione e nella maggior parte dei comparti.

La società andrà organizzandosi in strutture comunitarie, concepite per cerchi concentrici: gran parte della produzione/consumo dei prodotti avverrà all’interno del cerchio comunitario più piccolo (il paese, la città con la campagna circostante e la rete di orti urbani interna). Avremo agricoltura e produzioni di territorio adattate alle nuove e mutevoli condizioni climatiche, reti di resilienza e ridondanza produttiva al fine di minimizzare i rischi e distribuire le risorse nel miglior modo possibile. L’economia pubblica/comunitaria sarà dotata di tutte le competenze per garantire le sicurezze ai cittadini (salute, servizi, ecc.). Anche la produzione di tutti i beni necessari al soddisfacimento di tali sicurezze sarà appannaggio della comunità e non del mercato, nell’ottica di una economia di comunità autosufficiente. In questo contesto anche il concetto di lavoro sarà profondamente rivisto e pratiche di autoproduzione e di economie informali saranno molto diffuse fra la popolazione.

Al mercato resterà la produzione e la vendita di beni di seconda necessità, che comunque andranno incontro a una ristrutturazione dei meccanismi produttivi in seguito a nuove politiche industriali per la produzione di prodotti di lunghissima durata, riparabili e realizzati con materiali e risorse rinnovabili, grazie anche all’apporto di tecnologie come le stampanti 3D.

Per quanto riguarda i nuclei urbani più grandi, essi saranno meno popolati – complice anche una netta curva demografica negativa e un processo di ripopolazione delle aree oggi considerate marginali – e trasformati con l’introduzione di agricoltura urbana e reti di trasporti pubblici elettrici. Quasi scomparso il traffico automobilistico e molto diminuito il trasporto aereo per i costi energetici e di impatto ambientale insostenibili e la difficoltà a conservare una efficiente rete viaria.

Ogni comunità avrà una sua moneta locale per favorire lo scambio di beni e servizi, che si affiancherà ad una moneta a più ampio raggio. La sua creazione, emissione e controllo sarà ad opera di una istituzione pubblica. Il denaro comunque non sarà più rappresentazione di un debito e di interessi passivi collegati; sarà piuttosto uno strumento. La natura del denaro sarà oggetto di diffusa consapevolezza nella popolazione.La moneta sarà quasi completamente elettronica e la sua emissione e controllo  sarà in mano pubblica. L’emissione del denaro da ente pubblico sarà sancito nella Costituzione.

Anche i processi decisionali verranno in buona parte rilocalizzati, in modo da superare i limiti della democrazia rappresentativa attraverso una sempre più ampia diffusione di nuovi processi decisionali derivati dalla sociocrazia, dalla democrazia deliberativa e da altre intuizioni che saranno maturate nel frattempo. Le nuove forme di governance permetteranno finalmente una saggia gestione dei beni comuni e una sempre migliore redistribuzione delle risorse.

Tuttavia alcune problematiche andranno affrontate come comunità mondiale, dunque le comunità su piccola scala saranno attrezzate per risolvere problemi anche di larga scala: le merci viaggeranno il meno possibile ma al contempo in caso di difficoltà o carestia ci sarà un sistema di mutuo aiuto organizzato. Le dorsali dei trasporti su treno resteranno organizzate a livello nazionale, sebbene supportate da una rete di trasporti locali molto più capillare. Le nuove forme di governance permetteranno finalmente una saggia gestione dei beni comuni e una sempre migliore ridistribuzione delle risorse. Sarà in questo modo favorita anche l’integrazione delle masse di popolazione derivanti dalle migrazioni climatiche.

MISURE INTERMEDIE

Nel percorso che ci conduce verso l’orizzonte immaginario appena delineato, proseguendo nello stesso solco, dovremo prendere delIe misure intermedie necessarie a salvarci dalla catastrofe incombente.

Nel giro di pochissimi anni dovremo prendere atto in tutto il mondo della necessità di adattamento e messa in pratica di intensissime strategie di mitigazione per non peggiorare ulteriormente la situazione. In tale maniera già nel 2040 nei paesi industrializzati le emissioni di gas climalteranti e di inquinanti saranno ridotte al 10% di quelle attuali, con un taglio quindi del 90%.

Dovremo adottare una serie di provvedimenti volti a ristrutturare le finanze pubbliche e ad arginare lo strapotere della finanza privata. Molti dei paesi cosiddetti “PIIGS” (Acronimo dispregiativo con cui ci si riferisce a Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) e altrettante amministrazioni locali avranno ristrutturato il proprio debito pubblico insostenibile. Saranno condotte battaglie contro i paradisi fiscali e imposti dei limiti all’utilizzo dei derivati. Verrà reintrodotta la distinzione fra banche commerciali e banche d’investimento. L’introduzione, in maniera coordinata con altri paesi, di una tassa sulle transazioni finanziarie avrà reso sconveniente la speculazione finanziaria.

La finanza dunque andrà restringendo considerevolmente il proprio raggio, invertendo in parte anche la direzione del proprio agire. Se ad oggi è uno strumento che depreda il mondo dell’economia reale, diventerà almeno in parte uno strumento al suo servizio. Infatti la ripubblicizzazione di strumenti di finanza sociale come la Cassa depositi e prestiti consentirà di finanziare i servizi pubblici. I Comuni avranno rimesso in discussione il patto di stabilità e, aiutati anche dai suddetti strumenti di finanza pubblica, potranno finanziare i servizi pubblici locali e i beni comuni, nella cui gestione potranno intervenire in varie forme i cittadini, le associazioni, le imprese sociali.

In tal modo potranno prendere vigore in maniera organica dal basso (in collaborazione con le amministrazioni e gli enti locali), circuiti di economia solidale, informale, di condivisione, che rappresenteranno delle alternative concrete all’economia di mercato. Una sensibilità diffusa legata al cibo, all’energia e alla salute orienterà fette sempre maggiori di popolazione verso prodotti locali a chilometro zero. Anche le grandi multinazionali e gli attori del mercato globale tenteranno con insistenza di scendere su questo campo nuovo, con effetti e risultati difficili da prevedere.

INDICATORI DI BENESSERE

“Il Pil misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”, affermava Robert Kennedy nel 1968. Il PIL ha mostrato già da molto tempo tutti i suoi limiti nel misurare il benessere di una nazione, essendo un indicatore puramente quantitativo che non dice nulla sulla qualità dei beni e servizi prodotti. In un percorso di avvicinamento ad un sistema economico diverso è imprescindibile l’adozione di un indicatore alternativo. I sostituti del PIL non mancano e già oggi esistono varie possibili alternative.

Il Bes, “Benessere equo e sostenibile” è un indice, sviluppato dall’ISTAT e dal CNEL, per valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico ma anche sociale e ambientale e corredato da misure di disuguaglianza e sostenibilità.

Il Bil, “Benessere interno lordo”, è un indicatore che cerca di misurare la qualità della vita dell’uomo e della comunità in cui vive. E’ interessante notare che dalle prove di applicazione dell’indicatore è risultato che all’aumentare del PIL corrisponde un aumento del BIL solo nelle società con un benessere molto basso, mentre oltre una certa soglia i due indicatori divergono con decisione e mentre il Pil continua a crescere il BIL si stabilizza e poi inizia lentamente a diminuire.

Il Fil, o “Felcità interna lorda” è un altro indice di benessere alternativo. E’ utilizzato ufficialmente dallo stato del Buthan per misurare la felicità della propria popolazione e tiene conti di variabili quali la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione e la ricchezza dei rapporti sociali.

Così come il Bes, il Bil e il Fil, Esistono molti altri indicatori alternativi al PIL. E’ possibile persino, che in un futuro non immediato, non cia neppure bisogno di un indicatore per misurare il benessere o la felicità. Nel frattempo però un primo passo importante sarebbe quello di mandare in pensione il PIL in favore di qualche suo sostituto più sostenibile ed efficacie.

QUALE RUOLO PER L’EUROPA?

Uno dei nodi cruciali – e non sciolti – di questo 2040 che andiamo immaginando è il seguente: che ruolo vogliamo assegnare all’Unione europea e all’euro? All’interno del presente tavolo di lavoro non è emersa una visione unica. Sebbene la critica alle politiche dell’Unione e al ruolo dell’euro sia unanime (vedi paragrafo Europa, euro e trattati transnazionali), le soluzioni possibili sono diametralmente opposte. Da un lato c’è chi spinge per un’uscita immediata dall’Europa e dall’euro, dall’altro chi invece vuole rafforzare l’Unione, trasformando un accordo economico-finanziario in una unione politica, fiscale, sociale.

I primi adducono come motivazione l’irriformabilità di un’unione fondata solo su interessi commerciali e su una visione ultraliberale e mercantilista della società. I secondi invocano l’idea ispiratrice dell’unione, quella contenuta nel Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, di una “Europa dei popoli” e sostengono che ci sia bisogno di un organismo internazionale o sovranazionale che coordini i vari paesi per affrontare le difficili sfide che ci aspettano. Vi è poi una terza via che è quella di restare all’interno dell’Unione ma uscire dalla zona euro. Nel momento in cui viene redatto questo documento (luglio 2015), le vicissitudini legate alla crisi greca lasciano pensare che sia molto difficile ottenere un cambiamento delle politiche europee. Tuttavia si tratta di una situazione in continua evoluzione sulla quale è difficile fare previsioni.

Discorso simile può essere fatto per la moneta unica. Essa può avere un senso solo se accompagnata dalle riforme sopracitate, mentre da sola diventa uno strumento dannoso che aumenta in maniera esponenziale le differenze. In questo senso una buona pratica per limitare gli effetti devastanti della moneta unica sarà l’introduzione e la diffusione di monete locali o complementari che affianchino quella a circolo forzoso, con lo scopo di trattenere la ricchezza sul territorio impedendole di finire in circuiti finanziari internazionali.

UNA FASE DI TRANSIZIONE

In definitiva gli anni 40 del secolo saranno una fase di transizione complessa e difficile fra modelli differenti, caratterizzata da profondi cambiamenti nel modo di relazionarci tra noi e con il resto del pianeta, che potrebbe però costituire per i sistemi umani la porta d’ingresso in una nuova fase di economia dell’equilibrio e della rinuncia al conflitto a favore di una felicità ampiamente distribuita.

COSA POSSIAMO FARE NOI COME PAESE?

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RIFERIMENTI

BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA

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