6 Nov 2023

Zerocalcare e il Lucca Comics fra shitstorm social e pessimo giornalismo – #824

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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La faccenda di Zerocalcare al Lucca Comics e tutto il polverone mediatico che ha sollevato può sembrare – e in parte lo è – una roba di poco conto rispetto alle migliaia di vittime civili del conflitto, ma può mostrarci e insegnarci parecchio. Parliamone. parliamo anche delle alluvioni in Toscana. della crisi del canale di Panama e della storica decisione dell’Ue che fa a pezzi il modello di Business di meta, prima di annunciare, sul finale, alcune importanti novità da Italia che Cambia.. 

Nel weekend appena trascorso c’è stato il Lucca Comics, l’evento dedicato ad appassionati di fumetti, giochi da tavolo e tanto altro più importante d’Italia. Quest’anno però l’attenzione si è concentrata non tanto sui contenuti, quanto su una serie di questioni che ruotano attorno alla faccenda israelo-palestinese e alla mancata partecipazione di Zerocalcare e altri fumettisti.

Se vi state dicendo, che ci frega del Lucca Comics, mentre muoiono migliaia di civili e bambini, un po’ l’ho pensato anche io all’inizio, ma ve ne parlo perché ho letto la striscia di Zerocalcare che racconta la vicenda dall’inizio e devo dire che descrive meglio di come abbia mai visto fare prima il meccanismo mediatico che si scatena in situazioni del genere, e che tira in ballo il ruolo dei giornali, i social, la polarizzazione sociale, l’etica e tanto altro. Quindi mi sembra molto interessante da affrontare.

Visto che è difficile leggere un fumetto in una rassegna stampa, vi consiglio di leggervi per bene la striscia in questione, pubblicata da Internazionale, la trovate sotto fonti e articoli. Se vi va potete anche farlo in tempo reale, stoppate la rassegna e vi prendete 10-15 minuti per leggerla, ne vale la pena. Se non avete tempo io cercherò di fare del mio meglio, ma vi consiglio comunque di andarvela a leggere.

Comunque: Zerocalcare – per chi non lo conoscesse – è attualmente il più noto fumettista italiano, ed è famoso proprio per abbinare uno stile ironico e divertente a tematiche che possiamo definire impegnate. È stato in Kurdistan a raccontare la guerriglia dei curdi e delle curde contro l’Isis, ha sempre sostenuto da vicino diverse cause fra cui prorpio quella palestinese.

La striscia in questione inizia con la scoperta da parte del fumettista che l’edizione di quest’anno del Lucca Comics avrà il patrocinio dell’ambasciata di Israele, per via della locandina disegnata da due fumettisti israeliani. Come spiega Calcare, i due fumettisti non c’entrano nulla, anzi sono due colleghi che lui stima moltissimo e a cui lui si ispira e si è ispirato, ma quel patrocinio in questo momento storico un po’ lo mette in allarme.

All’inizio cerca di minimizzare nella sua testa, si confronta con gli altri colleghi che pensano di andare, anche lui si convince, scrivono una lettera in cui dicon oche andranno tutti al Lucca Comics per portare là dentro il dibattito. A quel punto però a Zerocalcare iniziano ad arrivare decine di messaggi di amici e conoscenti palestinesi, alcuni dei quali vivono a Gaza, che gli raccontano l’orrore di quello che stanno vivendo.

La cosa bella di Zerocalcare è che racconta in maniera molto onesta i sui meccanismi mentali, i pensieri e le contraddizioni, le indecisioni sul da farsi. Non è che si erge a paladino dei giusti, tutt’altro. Comunque fatto sta che alla fine decide di non andare e scrive una lettera molto bella in cui spiega la sua decisione. Vi leggo giusto qualche passaggio:

“Per me venire a festeggiare lì dentro rappresenta un cortocircuito che non riesco a gestire”. Poi spiega le sue motivazioni e conclude:

“Non è una gara di radicalità, e da parte mia non c’è nessuna lezione o giudizio morale verso chi andrà a Lucca e lo farà nel modo che ritiene più opportuno”, ha assicurato il fumettista di Arezzo, “soprattutto non è una contestazione alla presenza dei due autori del poster (gli israeliani, ndr) Asaf e Tomer Hanuka, che spero riusciranno a esserci e che si sentiranno a casa, perché non ho mai pensato che i popoli e gli individui coincidessero con i loro governi. Spero che un giorno ci possano essere anche i fumettisti palestinesi che al momento non possono lasciare i loro paesi”.

Ecco. Succede il finimondo. Zerocalcare entra in quella che in gergo viene definita una shitstorm, una tempesta di merda. Un turbinio mediatico fatto di articoli di giornale e commenti e opinioni urlate sui social, messaggi diretti che iniziano ad arrivargli con accuse assurde di antisemitismo. E non parliamo solo di Libero, la Verità o Nicola Porro, che pure ovviamente hanno banchettato sulla questione, così come i vari Salvini e Gasparri di turno. Il peggio, come scrive lo stesso fumettista, il punto più basso, lo tocca probabilmente Francesco merlo su Repubblica, che scrive cose tipo:

“fumante di collera Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele, così si decora la coscienza e si sente come le pantere nere alle olimpiadi del 1968”

E ancora: “Ora invece è no agli artisti israeliani, nonostante non somiglino al governo di Israele, come è ovvio in una democrazia. E invece si colpisce il fumetto per colpire Bibi che con i fumetti ha in comune solo il buffo soprannome.

e: “La Lucca Comics è il luogo della mescolanza, dell’insieme appunto, che avvicina e non contamina, il mercato che è sempre stata la comfort zone di tutte le minoraze del mondo. Ma non più degli ebrei, secondo Zerocalcare.

Vabbè, non commento si commenta da sola. A quel punto Zerocalcare racconta come gli episodi di persecuzione degli ebrei siano per lui alcune delle storie con cui è cresciuto, che l’hanno spinto a diventare un attivista, che il rastrellamento del ghetto del 16 ottobre del 43 è la pagina piu buia di Roma e tante altre cose che tolgono di mezzo ogni dubbio – non che ce ne fossero – di antisemitismo.

E scrive: “Per me non è una ferita degli ebrei. E’ una ferita di Roma. Perché non si può lasciare che ognuno curi il suo pezzettino di memoria, a compartimenti stagni. Sta memoria va ricomposta, perché sia collettiva”. E poi conclude con un’altra sorta di lettera”. 

“Per me la coerenza non è dire: siccome sono contro il fondamentalismo, allora Israele ha diritto di ammazzare migliaia di palestinesi per vendetta.

“Per me significa dire che proprio perché considero atroci i massacri subiti dai civili israeliani, non posso che considerare altrettanto atroce la punizione collettiva a cui sono sottoposti i civili palestinesi. Finché non cambiamo la prospettiva da cui guardare il mondo, finché continuiamo a fare il tifo per uno stato contro un altro continueremo a scegliere quale massacro giustificare e quale condannare, magari sulla base di interessi commerciali o militari che spesso hanno poco a che fare con gli ideali. 

Io preferisco spostare il focus sui popoli e sulla necessità di convivere da eguali, e le bandiere degli Stati, specie quelli in guerra, raramente vanno in quella direzione”.

Che dire, una lezione di etica, deontologia e anche di giornalismo, per come ha saputo raccontare tutta la vicenda. 

Quindi, complimenti a Zerocalcare e biasimo alla gran parte dei giornali. 

Aggiungo solo un pezzettino di riflessione, che non c’entra niente ma che secondo me aiuta a parlare di queste vicende. Se ci avete fatto caso qui su ICC e su questa rassegna cerchiamo di non parlare mai di Israele contro Palestina, per quanto possibile, ma di governo israeliano, di civili palestinesi o terroristi di Hamas. Questo perché non gli stati non esistono nella realtà, le decisioni non le prende l’entità Israele, ma delle persone con nomi e cognomi. Quando parliamo di Israele, semplifichiamo e diamo l’impressione di un unico blocco compatto, il che rende il conflitto inevitabile, quasi uno scontro fra civiltà. E invece non è così.

Pensate che In Israele, in questo momento, i sondaggi mostrano che oggi il primo ministro israeliano è più impopolare che mai, e la stragrande maggioranza dei suoi concittadini lo ritiene inadeguato a condurre la guerra e a gestire l’enorme crisi attuale.

Sforzarci di dare nomi e cognomi, di attribuire le giuste responsabilità alle scelte ci permette di osservare la realtà più correttamente, nella sua complessità, e evitare pericolose semplificazioni. 

L’altra notizia di questi giorni, è il nubifragio che ha colpito alcune zone della provincia di Firenze, in Toscana. 

Leggo sul Post che “Le estese alluvioni che negli ultimi giorni hanno interessato diverse province del nord della Toscana sono considerate le peggiori degli ultimi decenni per la regione. Al momento stanno ancora proseguendo le operazioni di soccorso della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco: La Nazione scrive che ci sono oltre mille persone sfollate e che sono stimati danni complessivi per oltre 300 milioni di euro. Ci sono ancora centiania di persone con l’acqua in casa in diversi comuni. Otto persone sono morte travolte dalle acque nell’ennesimo caso di meteo estremo, a cui rischiamo di abituarci.

E da una parte è vero, dovremo abituarci a questi fenomeni sempre più estremi causati dal cambiamento climatico generato dalle emissioni umane. Ma abituarci non significa non far niente. Significa da un lato mitigare il fenomeno, smettendo da subito di bruciare qualsiasi cosa, dall’altra adattarsi, quindi modificare le nostre infrastrutture, le nostre città, per renderle più resilienti a fenomeni di questo tipo. 

Non è un caso che il ciclone Ciaran, questo il nome dato dagli esperti al fenomeno, abbia causato i danni maggiori nelle aree più cementificate. Come racconta un articolo di Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano, andandosi a rivedere il Rapporto 2023 sul consumo di suolo dell’Ispra, si scopre che a pagina 17 c’è una mappa che mostra come le aree dove si sono registrati più danni, con una corrispondenza molto precisa, sono quelle che hanno subito negli ultimi anni un consumo di suolo record. 

Sempre a tema clima, è uscito un articolo interessante su Repubblica, a firma di Daniele Mastrogiacomo che racconta la crisi del canale di Panama dovuta alla siccità. 

Leggo: “Il Canale di Panama è a secco. Il livello delle sue acque si è abbassato ai minimi storici. Mai così da 70 anni e questo mette in allarme le autorità che dalla fine del 1999 lo hanno ereditato dagli Usa che lo avevano avuto in affitto per 100 anni.

Il calo è dovuto alla siccità che perdura da mesi. Le alte temperature del Pacifico centrale e meridionale, create dall’arrivo del Niño, un fenomeno climatico che provoca forti piogge in alcune zone a lunghe siccità in altre, hanno prosciugato il bacino interno dell’istmo, formato dal lago Gatún. Le sue acque regolano le chiuse che consentono ai bestioni del mare di risalire il canale che unisce le due sponde di Panama.

La crisi ha costretto l’Autorità del Canale di Panama (ACP) a rivedere la tabella dei passaggi. Operativo per 24 ore lungo i 365 giorni, è utilizzato ogni anno da 13 a 14 mila navi. Il numero era già stato ridotto a 31 passaggi quotidiani. Dal 3 novembre scenderanno a 25 per arrivare a 18 agli inizi di febbraio 2024. Misure drastiche che peseranno sui costi del trasporto marittimo costretto a passare nello Stretto di Magellano, nella parte più a sud dell’America meridionale o addirittura spingersi fino a Capo Horn e affrontare il canale di Drake, famoso per i suoi “40 ruggenti e i 50 urlanti”, i venti più forti al mondo che lo rendono particolarmente pericoloso. “I livelli del lago Gatún continuano a scendere”, spiegano all’ACP. “E’ un calo senza precedenti in questo periodo dell’anno”.

La riduzione degli slot, le prenotazioni per i passaggi delle grandi portacontainer o petroliere, era già stata applicata all’inizio di quest’anno. Non era mai accaduto nella lunga storia del canale, lungo 8,1 km, costruito dai genieri statunitensi grazie a un progetto firmato nel 1829 dall’ingegnere britannico John Lloyd su incarico di Simón Bolivar. L’attesa alle due imboccature è diventata snervante e i ritardi accumulati hanno iniziato a pesare sui costi di trasporto e di riflesso sulle merci oltre che sulle assicurazioni.

“Le tariffe di spedizione sono aumentate”, conferma alla Bbc una nota della Us Energy Information Administration. “Ma è anche diminuito il numero di navi disponibili a livello globale”. Le conseguenze più gravi si avvertono nelle forniture di gas. Le navi alla fonda sono state costrette ad attendere anche due settimane e questo ha contribuito a far schizzare i prezzi già aumentati a causa dei conflitti in corso in Ucraina e adesso in Medio Oriente”.

L’aspetto interessante, sempre più chiaro da notizie come queste, è che non è che dobbiamo cambiare il nostro sistema socioeconomico per rispettare l’ambiente. Quello che chiamiamo ambiente, è il sistema ecologico in cui viviamo, l’unico in cui possiamo vivere. E quando i suoi sistemi cambiano anche tutte le sovrastrutture che abbiamo costruito nei secoli devono adattarsi. Non è che abbiamo scelta in questo. Il punto non è rinunciare all’economia per l’ambiente, ma adattare la nostra economia per farla – e farci – sopravvivere.

Un’altra notizia interessante, e qui chiudiamo, arriva dall’Unione europea, che con un’azione di uno dei suoi organismi regolatori sembra mettere in crisi il modello di business dell’azienda Meta, proprietaria di Facebook e Instagram. In pratica, leggo sul Corriere in un articolo di Michele Rovelli, “il primo novembre l’European Data Protection Board – ente indipendente che si occupa di monitorare l’applicazione corretta del Gdpr, la legge sulla privacy entrata in vigore nel 2018 – ha vietato al colosso fondato da Mark Zuckerberg l’utilizzo dei dati personali degli utenti raccolti su Facebook e Instagram per veicolare sulle piattaforme stesse pubblicità mirata. 

Cosa significa? Gli algoritmi dei due social – così come di tutti gli altri in realtà – sono programmati per memorizzare ogni azione che compiamo. Ogni post, like, condivisione, ma anche ogni visualizzazione, click, il tempo speso a guardare ciascun contenuto, il modo in cui il nostro dito si muove sullo schermo: tutto ciò che facciamo mentre stiamo sui social viene analizzato e sfruttato non solo per capire i nostri comportamenti e i nostri interessi così da poter creare enormi indagini di mercato da vendere alle aziende, ma anche per costruire una quasi perfetta bacheca pubblicitaria targhettizzata sul singolo utente. Questa parte è quella che stona alle autorità dell’Unione europea ma è anche quella che rappresenta una buona parte degli introiti della società. 

La decisione dell’European Data Protection Board viene da una precedente questione nata in Norvegia, dove il 14 agosto le autorità per la privacy hanno già sanzionato Meta per un milione di Corone (circa 850mila euro) per non chiedere agli utenti un adeguato consenso a sfruttare i loro dati personali per la pubblicità mirata. Non basta: secondo l’Edpb ciò che anno osservato nel Paese Scandinavo deve essere ampliato all’intera Unione europea. E la decisione presa viene descritta come «urgente» e «vincolante». Entro due settimane verranno adottate misure definitive nei confronti di Meta per imporre il divieto in tutto lo spazio economico europeo: a notificare la società ci penserà la Commissione per la Protezione dei Dati irlandese (Meta, in Europea, ha sede in Irlanda) e il divieto diventerà effettivo una settimana dopo. 

Dall’altra parte Meta non è rimasta in silenzio. Ha fatto notare alle autorità europee quanto si sia impegnata a cooperare e ribatte che la decisione «ignora in modo ingiustificato l’attento e robusto processo di regolamentazione». Si riferiscono in particolare all’annuncio del lancio di un abbonamento a pagamento per Instagram e Facebook. Per 9,99 euro al mese (su Pc) o 12,99 euro al mese (su smartphone) gli utenti potranno avere accesso alle piattaforme senza annunci pubblicitari personalizzati. Nell’annuncio era specificato che la decisione è stata presa proprio «per conformarsi alle normative europee in evoluzione». Dalla Norvegia, nella persona di Tobias Judin, a capo dell’autorità per la protezione dei dati, ribattono però che la proposta non incontra gli standard europei. Il consenso per l’utilizzo dei dati deve essere dato liberamente, e non è giusto mettere gli utenti davanti alla scelta di cedere i propri dati o pagare una «sanzione» per non averli dati nella forma di un abbonamento.

Insomma, è una roba grossa, ed è davvero difficile prevedere come andrà a finire. C’è chi ipotizza un utilizzo a pagamento per tutti i cittadini europei. Staremo a vedere.

In conclusione, passiamo alla consueta rubrica la giornata di ICC. Oggi giornata importante piena di novità. Innanzitutto, esce la prima puntata della nostra rassegna regionale mensile ligure, condotta da Emanuela Sabidussi, a cui do subito la parola per un commento.

Grazie davvero Emanuela, condivido con te l’emozione per questa prima volta e vi invito davvero ad andarvela ad ascoltare.

Passo quindi la parola al nostro direttore Daniel Tarozzi, che ci commenta alcuni degli articoli più interessanti del giorno, e anche la nuova puntata appena uscita di A tu per tu.

Vi ricordo anche che sabato, se siete iscritti/e alla newsletter di INMR dovrebbe esservi arrivata la nuova puntata di è un casino, il format in cui io e Daniel commentiamo le principali notizie del mese appena trascorso, format che vi sta piacendo, a quanto ci dite. Se l’avete ascoltata scriveteci cosa ne pensate, come qualcuno ha già fatto (grazie!)

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