26 Giu 2023

Wagner: la rivolta, il caos… e adesso? – #752

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Dopo due giornate in cui la guerra civile in Russia sembrava inevitabile, il Gruppo Wagner guidato da Yevgeny Prigozhin ha fermato la sua avanzata verso Mosca per evitare spargimenti di sangue russo. Ma quali conseguenze avrà questo gesto sugli equilibri interni alla Russia e sull’andamento del conflitto? Parliamo anche del governo italiano che vota contro la Nature Restoration Law, della Francia condannata a pagare per l’inquinamento, di un’azienda americana che pagherà per aver contaminato le acqua con i Pfas e infine di Bild che forse licenzierà i giornalisti per utilizzare software basati sull’Ai.

Sono state tre giornate frenetiche quelle trascorse, segnate da quella che sembrava essere l’inizio di una guerra civile in Russia, con il gruppo Wagner, la milizia privata dell’imprenditore Yevgeny Prigozhin, che sembrava intenzionata a marciare su Mosca. Poi, rapidamente come era nata la ribellione, tutto sembra essere rientrato, ma in molti si chiedono che segni lascia questo fatto sul conflitto, sulla leadership di Putin, su Prigozhin stesso. Cerchiamo di capirlo, partendo come al solito dai fatti. 

La premessa a questi fatti è che da parecchio tempo c’era una faida in corso fra l’esercito regolare e il Gruppo Wagner. Prigozhin accusava i vertici militari – incluso il ministro della difesa Sergei Shoigu – di sabotare la sua formazione, di non proteggerla, ma anche di incompetenza nella gestione del conflitto e di corruzione. Dal canto loro invece l’esercito  e il ministero della difesa erano evidentemente preoccupati dal peso crescente che Wagner e Prigozhin avevano sul fronte Ucraino. Pochi giorni fa, riposta il Post, il viceministro della Difesa russo, Nikolai Pankov, aveva annunciato che entro il primo luglio avrebbe regolarizzato, e quindi sostanzialmente inglobato, le «formazioni volontarie» che combattono in Ucraina. Benché queste formazioni siano in tutto una quarantina, si è ritenuto fin da subito che il messaggio fosse indirizzato soprattutto al gruppo Wagner. In particolare l’annuncio di Pankov era stato letto come un tentativo di assumere più direttamente e saldamente il controllo del gruppo per non dipendere troppo da Prigozhin”.

Quindi ecco, la situazione non era delle più tranquille. Poi succede che tra venerdì notte e sabato mattina il gruppo Wagner, guidato da Prigozhin, avvia un’insurrezione militare contro l’esercito russo. Ufficialmente Prigozhin ha detto di aver organizzato l’insurrezione dopo che l’esercito regolare russo aveva attaccato i suoi uomini: una circostanza su cui al momento non ci sono certezze e che non è stata verificata. Nelle ultime ore però diversi analisti hanno avanzato l’ipotesi che sulla decisione di Prigozhin abbia avuto un peso anche l’avvicinarsi della scadenza del primo luglio annunciata da Pankov, per il timore di perdere il controllo delle sue milizie. 

Comunque, fatto sta che c’è questo ammutinamento e il Gruppo Wagner occupa dapprima la città di Rostov sul Don, per poi iniziare una lunga marcia verso la capitale Mosca, ingaggiando anche scontri con l’esercito russo.

Una situazione da guerra civile che i giornali descrivono come un passo da cui non si torna indietro, tirando spesso in ballo il Rubicone, il famoso fiume oltrepassato da Giulio Cesare quando di fatto aprì il conflitto con il Senato romano.

Poi, contro ogni previsione, dopo una giornata di grandi tensioni e scontri sul campo in territorio russo, la rivolta è finita intorno alle 19:30 italiane, quando il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha annunciato di aver trovato un «accordo» – concordato con il presidente russo Vladimir Putin, di cui è uno stretto alleato – per convincere Prigozhin a fermare l’insurrezione. Prigozhin poco dopo ha detto di aver interrotto l’avanzata verso Mosca, per evitare di «versare sangue russo».

Poi sabato notte il portavoce del presidente russo Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha annunciato che il capo del gruppo Wagner «andrà in Bielorussia».

Peskov non ha chiarito cosa vada a fare Prigozhin in Bielorussia o per quanto tempo ci starà, ma il suo annuncio e il tono generale cha ha usato hanno spinto gran parte degli analisti a ipotizzare che si tratti di una specie di esilio, parte di un accordo in base al quale il governo russo ritirerà tutte le accuse a carico di Prigozhin e dei membri del gruppo Wagner. Peskov ha garantito che i soldati di Wagner che hanno partecipato all’insurrezione non saranno processati, in virtù del loro impegno sul fronte ucraino e per «evitare spargimenti di sangue».

Ecco, fine del riassunto. Molti giornali hanno dedicato ritratti al protagonista di giornata, ovvero Yevgeny Prigozhin, spiegando chi è colui che viene o forse veniva definito lo chef di Putin. 

Nato nella stessa città del presidente russo, San Pietroburgo, nel 1961, Prigozhin ha nove anni in meno di Putin. A 20 anni, nel 1981, secondo il sito investigativo Meduza, viene arrestato e condannato a 13 anni di carcere per furto e altri crimini. La pena viene ridotta a nove anni e Prigozhin, tornato libero, decide di star lontano dai guai, aprendo con l’aiuto del padre un chiosco di hot dog. 

Gli affari vanno bene e Prigozhin si dimostra un abile investitore. Apre un primo ristorante, ‘La vecchia dogana’. Poi un secondo locale, questa volta di lusso, situato su un battello sulla Neva: ‘New Island’. E’ lì che Putin ama portare i suoi illustri ospiti, da Jaques Chirac a George W. Bush. Ma lo chef di Putin non si ferma: apre più società di catering al servizio dei militari e delle mense del potere. E allarga il suo raggio di azione. Istituendo una fabbrica di troll che, secondo gli Usa e l’Occidente, avrebbe interferito pesantemente nelle elezioni americane e in altri Paesi alleati.

Ma la creatura più famosa di Prigozhin resta la brigata Wagner. “Senza pietà, senza vergogna, senza legge”, si legge in una descrizione del New York Times. La Wagner non è inquadrata istituzionalmente nell’esercito russo ma riceve copiosi finanziamenti dal Cremlino. Estende i suoi tentacoli in Medio Oriente, in Libia, nell’Africa sub-sahariana. E in Ucraina. 

Con l’inizio dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022, lo chef di Putin diventa uno dei protagonisti della guerra. A novembre, la Wagner viene inclusa dall’Eurocamera nella lista delle organizzazioni terroristiche. Prigozhin risponde mostrando il suo regalo agli eurodeputati: la custodia di un violino, con dentro un martello insanguinato. Dall’Ucraina i video dello chef di Putin aumentano esponenzialmente, così la crudezza delle immagini da lui postate. 

E anche le sue invettive: prima contro le colombe russe, poi contro i vertici militari, più volte tacciati di incompetenza. Come il ministro della Difesa Sergey Shoigu, colpevole a suo dire di aver abbandonato la Wagner sul fronte di Bakhmut senza munizioni né supporto aereo, e perfino di aver bombardato una sua base nelle scorse ore. E’ l’inizio, precipitoso, della fine dell’idillio tra Prigozhin e il Cremlino. E’ l’inizio, ha annunciato la Wagner, “della guerra civile russa”. 

Veniamo alle conseguenze, raccontate nuovamente dal Post: “Non è ancora chiaro quali saranno le conseguenze di questa insurrezione, ma sembra difficile che una giornata del genere non abbia conseguenze sul rapporto tra Prigozhin e Putin. Durante le ore più calde i due si sono scambiati accuse molto dure, difficilmente ritrattabili: «il male generato dai comandi militari di questo paese deve essere fermato», aveva detto Prigozhin annunciando la sua «marcia della giustizia» verso Mosca; Putin invece aveva tenuto un discorso alla nazione in cui aveva definito le azioni di Prigozhin come un atto di tradimento e una «pugnalata alla schiena», paragonando la situazione a quella del 1917.

Oltre al destino personale di Prigozhin, c’è la questione del Gruppo Wagner. Ok, i suoi miliziano non saranno processati, ma quindi? Il gruppo smetterà semplicemente di esistere? O verrà inglobato dall’esercito regolare come previsto inizialmente? E quali impatti avrà tutto questo sul conflitto?

Difficile da dirsi adesso, per ora possiamo limitarci ad osservare le reazioni sull’altro fronte. Che sono un po’ diverse fra loro se prendiamo in considerazione il fronte ucraino, o allargando un po’ la cornice del conflitto, quello Usa. Il governo ucraino ha avuto una reazione entusiasta, Zelensky ha detto che la debolezza di Putin è ormai evidente mentre le truppe ucraine attaccavano la città di Bakhmut, lasciata sguarnita di difese dall’abbandono di Wagner. 

Sul fronte Usa invece, le reazioni sono state un po’ diverse. Come racconta un articolo del NYT l’intelligence americana sapeva già da qualche giorno delle intenzioni di Progozhin ma a differenza dell’inizio del conflitto, quando aveva svelato al mondo i piani di Putin, aveva tenuto le informazioni riservate, limitandosi ad avvertire qualche membro del congresso, per non prestare il fianco, questa la motivazione fornita, ad eventuali accuse di Putin su un coinvolgimento americano. 

Il rapporto dell’Intelligence mostra poi una certa preoccupazione per quanto stava accadendo, sia per la paura che un paese con un arsenale nucleare enorme finisca nel caos, sia per timore che Prigozhin, ritenuto inaffidabile e imprevedibile, potesse riuscire a prendere il controllo dell’esercito russo.

Insomma, anche se la situazione sembra al momento rientrata, un fatto come questo porterà a delle conseguenze sicure, sull’assetto della Russia e sull’andamento del conflitto. Come al solito, noi continuiamo a seguire quello che succede e a provare a dipanare la matassa.

Torniamo in Italia, per commentare un articolo a firma di Fabio Deotto su fanpage che racconta come il nostro paese in Europa si stia schierando in maniera abbastanza folle e sconsiderata contro diverse legge a tutela della biodiversità e conservazione della natura. 

“Ormai la linea è chiara – scrive il giornalista – di fronte alla possibilità di salvaguardare una ricchezza naturale concreta a parziale discapito di una ricchezza monetaria astratta, il governo italiano si barrica a difendere la seconda; come se questa potesse essere del tutto indipendente dalla prima. Può sembrare una semplificazione capziosa, ma a ben guardare è esattamente quello che sta succedendo in questi giorni con una misura cruciale nell’ottica di una transizione ecologica effettiva e da cui il nostro Paese trarrebbe enormi benefici”.

Martedì 20 giugno, a Lussemburgo, il Consiglio Affari Energia dell’UE ha suggellato il primo, fondamentale accordo per il varo della Nature Restoration Law, una legge che punta ad avviare un progressivo ripristino degli habitat degradati sul territorio europeo. L’accordo è stato raggiunto grazie al voto favorevole di 21 stati; altri 7 invece hanno votato contro: Austria, Belgio, Finlandia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e, appunto, l’Italia.

Il nostro paese è uno dei più ricchi, in termini di biodiversità (ospita metà di tutte le specie vegetali europee e un terzo quelle animali), ma è anche uno dei più fragili e degradati. Basti pensare che, stando all’ultimo report WWF, l’89% degli habitat italiani versa oggi in un cattivo stato di conservazione, il 68% degli ecosistemi si trova in pericolo e il 35% in una condizione di rischio ormai critica.

La proposta di legge che a luglio verrà presa in esame dal Parlamento Europeo stabilisce entro il 2030 un ripristino degli habitat naturali per un’estensione che corrisponda al 20% delle terre emerse e al 20% degli ambienti acquatici. Questo obiettivo è corredato da una serie di indicazioni su come questo ripristino dovrebbe avvenire: si parla, ad esempio, di limitare la perdita di aree verdi a favore dell’espansione urbana, di ripristino dei prati erbosi e delle torbiere (fondamentali per il sequestro di anidride carbonica), di inversione del declino nel numero di insetti impollinatori, di ripristino della biodiversità vegetale oggi assediata dall’agricoltura intensiva, etc.

Il voto contrario italiano è stato giustificato così nelle parole del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: “La proposta di regolamento per il ripristino della natura non assicura un adeguato bilanciamento tra obiettivi, fattibilità e rischi: non possiamo permetterci che non sia applicabile, efficace e sostenibile da tutte le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca.”.

In altre parole se l’UE vuole il voto italiano su un provvedimento simile, dovrà assicurare che specifici settori produttivi non vengano troppo intaccati. E il nostro paese non è da solo. Tutta la destra europea si è schierata in maniera abbastanza compatta contro questo provvedimento, senza però riuscire a bloccarlo. 

Vado alla fine dell’articolo: “Il fatto stesso che su un provvedimento così importante ci sia un’opposizione di questo tipo è però una spia preoccupante, soprattutto in vista del voto al Parlamento UE previsto per luglio. Il punto è che sul tavolo non c’è solamente una proposta di legge: a essere messo in discussione è un intero paradigma di sviluppo che per decenni è rimasto sostanzialmente immutato. Se l’obbiettivo a breve termine della Nature Restoration Law è il ripristino del 20% degli habitat totali, sul medio termine (2040) si richiede che ogni stato membro adotti misure per riportare in buone condizioni il 60% di ogni singolo habitat compromesso, mentre sul lungo termine si arriva al 90%. Perché ciò sia possibile è necessario rinnovare, e in alcuni casi ripensare, intere filiere; in sostanza: bisogna andare a dar noia a chi finora ha macinato profitti a discapito degli habitat naturali senza troppe limitazioni.

L’idea che il ripristino degli habitat naturali possa interferire anche solo marginalmente con il sistema economico e produttivo per alcuni equivale a una blasfemia. E poco conta che senza misure di questo tipo quello stesso sistema economico sia destinato al collasso; poco conta che la legge vada a creare benefici sia per la sostenibilità ambientale che per quella economica del sistema-Europa; poco conta che il ripristino delle aree degradate, oltre a tutelare la biodiversità, renderà più semplice il processo di decarbonizzazione che per forza di cose l’UE deve perseguire; ancora una volta, la destra europea (e quella italiana in primis), sembra intenzionata a puntellare lo status quo, a costo di vederselo crollare addosso”.

Qui mi tocca di nuovo ripetere l’ovvio. So che lo sapete ma non trovo un’altra maniera per commentare questa notizia. Non c’è nessuna opposizione fra economia e natura. Fra tutela degli ecosistemi e tutela di interessi specifici di certi settori. È il bias del falso dilemma. L’illusione di questa contrapposizione è data dai ritardi nel sistema. Ovvero dal fatto che le azioni di distruzione degli ecosistemi terrestri causati da attività intensive come ad esempio pesca, industria, agricoltura, allevamenti, ha un ritardo di qualche anno. Non ci accorgiamo subito di quanto è grave il danno che facciamo perché ci vogliono anni prima che ad esempio l’indebolimento di un sistema forestale superi un certo punto critico di non ritorno, così come ci vogliono anni prima che la CO2 che buttiamo in atmosfera causi un innalzamento delle temperature. 

Ma se superiamo questi ritardi, l’illusione si ricompone e ogni danno ambientale diventa anche un danno economico. Non ci sarà più nessuna pesca senza pesci nel mare, né nessuna agricoltura con terreni resi sterili dalla chimica e riarsi dalla desertificazione. Non c’è spazio per l’economia in un Pianeta inabitabile, questo spero che sia chiaro. 

Il problema è che, per come funziona il nostro sistema democratico, la politica vive di consenso immediato molto più che di progettazione a lungo termine, e anche un banale ritardo del sistema si può trasformare in un micidiale strumento di propaganda. Però in questo abbiamo la responsabilità di non alimentare questo meccanismo e fare richieste chiare ai nostri politici. 

Visto che rimane poco tempo, andiamo con qualche segnalazione. 

  • In Francia lo Stato è stato condannato per la prima volta a indennizzare vittime di smog a causa del superamento della soglia di inquinamento nella regione di Parigi con due sentenze ‘inedite e importanti’ come le hanno definite i legali francesi che hanno seguito la vicenda riguardanti due bimbi vittime di bronchioliti e otiti a ripetizione nei primi due anni di vita. Anche in Italia è in corso la causa ‘Aria Pulita’ condotta dal team legale di Consulcesi – prosegue la nota – che estende la possibilità a tutti, anche a chi non riporta danni dimostrabili alla salute, a reclamare il diritto a respirare aria salubre. (La Svolta)
  • Negli Usa il gigante chimico e manifatturiero 3M ha raggiunto un accordo da 10,3 miliardi di dollari per le accuse di aver contaminato l’acqua potabile con i cosiddetti prodotti “chimici eterni” (Pfas) utilizzati in tutto, dalla schiuma antincendio ai rivestimenti antiaderenti. In base all’accordo, 3M pagherà la somma in 13 anni a tutte le città, contee e villaggi per testare e ripulire le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche nelle forniture idriche pubbliche. La società, che sta affrontando circa 4.000 azioni legali da parte di Stati e ed enti locali per la contaminazione da Pfas, non ha ammesso alcuna responsabilità. 3M ha affermato che l’accordo riguarda la bonifica per i fornitori di acqua che hanno rilevato le sostanze chimiche in questione “a qualsiasi livello o potrebbero farlo in futuro”.  (Ansa)
  • La direzione del quotidiano tedesco Bild, che è il giornale più venduto in Europa ed è celebre per il suo sensazionalismo aggressivo e spesso retrogrado paragonabile a quello dei più famosi tabloid inglesi, ha annunciato tramite una mail diretta ai dipendenti che in futuro parte del lavoro della redazione verrà sostituito dall’impiego di software che sfruttano l’intelligenza artificiale. La mail fa riferimento ad alcune mansioni ora affidate alle persone e sostiene che queste “in futuro non esisteranno più come esistono oggi”, ma non ha annunciato licenziamenti direttamente collegati a questa motivazione. Lo scorso marzo, però, aveva presentato un piano molto ampio con l’ambizione di aumentare i profitti di 100milioni di euro nei successivi tre anni, anche riducendo i costi: i tagli comprendono la chiusura di 6 delle 18 redazioni locali della Bild e il licenziamento di circa 200 dipendenti.

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