8 Ago 2024

Sopprusi e violenze su donne: da migranti a consigliere comunali

Scritto da: Emanuela Sabidussi
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Donne maltrattate e frustate da un camionista. Le immagini di un video che ha ripreso questa scena a Ventimiglia ha fatto il giro tra tutti i media. Ma si tratta di un caso isolato? Cerchiamo di capire l’entità del fenomeno di donne migranti e delle loro condizioni.

Donna, in questo caso una, zittita ed espulsa dall’aula del Consiglio Comunale di Genova per aver espresso il proprio parere. Ma parliamo anche del Mar Ligure che è sempre più caldo e che sta cambiando i suoi abitanti. E di Toti, delle sue dimissioni e dell’era del totismo appena terminata.

Violenze su donne. Centinaia di donne cercano di raggiungere altri paesi europei, passando dal confine tra Ventimiglia e la Francia. La Ong WeWord solo nell’ultimo anno ha registrato quasi 400 richieste da parte di donne migranti, di cui 14 incinte. Questi solo i numeri delle donne che si sono rivolte a WeWord: parliamo dunque di un fenomeno molto più ampio, considerando le altre ong, ma soprattutto le persone che non si rivolgono ai servizi di supporto.

Con la sospensione unilaterale del Trattato di Schengen da parte della Francia, ogni anno infatti decine di migliaia di migranti vengono respinti e costretti a tornare nella città ligure: solo nel 2022, ci sono stati 33.000 respingimenti, anche di donne e minori stranieri non accompagnati.

E il numero di donne è in aumento: a parlarne è un rapporto dal titolo “INTER-ROTTE. Storie di donne e famiglie al confine di Ventimiglia” che analizza il fenomeno della tratta di persone in un’ottica di genere, intergenerazionale e intersezionale, ovvero che include storie di persone di età, identità sociali, e provenienze differenti, per ridare una fotografia completa della situazione attuale: lo scopo, come si legge nell’introduzione del rapporto appena pubblicato, è richiamare l’attenzione sulla violazione dei diritti umani che da troppi anni, ormai, caratterizza la situazione di donne, famiglie e bambine/i a Ventimiglia. E chiarisce che “questa non è più un’emergenza, ma una vera e propria crisi umanitaria”.

Da un articolo di Repubblica che ne presenta gli aspetti essenziali leggo: “Già dall’anno scorso, si era riscontrata una femminilizzazione dei flussi migratori sul territorio, con numeri altissimi di donne, spesso in viaggio da sole, costrette a interrompere il percorso e a stazionare a Ventimiglia in cerca di un riparo o di un passaggio sicuro, rischiando però di cadere vittime di reti criminali che organizzano attraversamenti irregolari della frontiera e tratta di esseri umani a fini di sfruttamento, ingannate con la promessa di un riscatto della propria condizione una volta superato il confine italo-francese e soggette a innumerevoli rischi e soprusi”.

È di qualche giorno fa la notizia di alcune ragazze eritree sono state prese a frustate da un camionista, che le ha sorprese a bordo del suo camion, dove si erano nascoste per provare a passare la frontiera di Ventimiglia e ad arrivare in Francia. Nel video, diventato virale in poco tempo, lo si vede gridare contro di loro e colpirle sulla schiena con una cinghia dall’estremità di metallo. Tanti i commenti di denuncia, ma cosa ne è stato del signore alla guida? Per ora non sono state diffuse informazioni su attività giudiziarie mosse verso di lui, né sullo stato di salute delle donne vittime.

Questo report sembra essere un campanello di allarme suonato a gran volume e l’episodio (l’ultimo dei tanti gesti di razzismo e violenza verso queste persone) la conferma che tale allarme sia da ascoltare, oggi più che mai. E proprio oggi, nel leggere queste notizie, questi dati, nel guardare queste donne maltrattate, umiliate, mi tornano alla mente le parole di Primo Levi: “Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza per ricordare. Vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.”

Non necessitiamo solo di più compassione e meno odio, a queste è necessario e indispensabile la mobilitazione politica nazionale ed internazionale. E nel frattempo che ciò avverrà, supportiamo in tutti i modi queste persone, ed in particolare queste donne. Se non lo volete fare per loro, come scrive Levi, considerate che sono esseri umani e fatelo per voi stessi.

Ci fermiamo a parlare di donne protagoniste di soprusi, ma cambiamo città e situazione. Correva l’anno 2024 (sembra impossibile che avvengano ancora cose di questo genere), è fine mese di luglio. ci troviamo nell’aula del Consiglio Comunale di Genova, dove la consigliera Francesca Ghio, insieme ad altri tre consiglieri, viene zittita, espulsa e scortata fuori dall’aula da sette agenti delle forze dell’ordine. Il motivo? Ghio è stata accusata, nello spazio di tempo che le era stato concesso, di parlare delle modifiche al regolamento sull’Arte di strada, esprimendo la sua opinione.

Diversa da quello della maggioranza del Consiglio comunale e soprattutto da quella del suo presidente Carmelo Cassibba, della lista di destra (Vince Genova) a sostegno del sindaco Marco Bucci, che ricordiamo essere stato già al centro di varie polemiche per i suoi modi di fare poco amichevoli e democratici verso chi non la pensa uguale. Il vicepresidente del consiglio comunale di Genova, Alberto Pandolfo, con altri consiglieri d’opposizione hanno scritto anche una lettera, lo scorso 2 agosto, per chiedere le dimissioni di Cassibba.

Ma facciamo un passo indietro e per farlo mi rifaccio a ciò che è stato dichiarato direttamente dalla principale persona coinvolta, ovvero la consigliera Francesca Ghio: “Martedì in aula è arrivata la delibera di Giunta con le modifiche al Regolamento per l’Arte di Strada.
Documento arrivato con urgenza in aula, dopo tante richieste negate di affrontare questo tema con il tempo e rispetto dovuti, ascoltando tutte le parti coinvolte.

Ma l’assessora al commercio ha negato la volontà di un percorso partecipato: non ha voluto ascoltare e neanche spiegare il motivo di questa urgenza. La consigliera poi spiega come dal suo punto di vista sarebbe stato bello e opportuno poter progettare l’arte di strada, attraverso un percorso partecipato con la cittadinanza e con i diretti interessati, gli artisti e le artiste, riuniti per condividere, immaginare e progettare. Ma l’urgenza non lo permetta. Il tempo dato all’aula per discutere nella seduta conclusiva di questo non-percorso, è stato deciso dal presidente del consiglio, che a fronte di più di 3000 documenti, ha attribuito 5 minuti a consigliere/a.

E qui Francesca Ghio inizia il suo intervento parlando del non ascolto della politica, partendo dal progetto funivia (di cui abbiamo parlato anche qui, per farne emergere le complessità e le tante non risposte date ai cittadini che le stanno chiedendo da mesi). Appena però viene menzionare la funivia e il presidente del consiglio l’ha interrotta, parlandole sopra, arrivando poi a spegnere addirittura il microfono della consigliera. Non è la prima che ciò accadeva e sempre con i consiglieri di minoranza. Ed è a quel punto che Ghio, con il microfono staccato, continua a parlare, ma questa volta alzando il tono di voce e urlando per farsi sentire.

Le conseguenze sono state quelle citate prima: espulsa e scortata dalla polizia. Vi segnalo il link della sua dichiarazione rilasciata a freddo qualche giorno dopo, attraverso i social, in cui conclude così:

“Cosa ci faccio ancora là dentro? Presiedo. Difendo quel posto con il mio dissenso e provo a costruire altri posti vicino a me, uso il ruolo come un canale per far arrivare più voci possibili. E di voci ne abbiamo così tante.
Continueranno a non ascoltare, e a silenziare il microfono finché non servirà più un microfono perché le voci saranno così forti da farsi sentire da fuori da quelle aule. Presiedo, pur essendo sempre più convinta che non ci sia alcuna soluzione dentro le istituzioni, ma nutro la speranza di potermi sbagliare. E intanto presiedo perché sento la responsabilità di continuare a portare la voce del dissenso vicinissima alle loro orecchie.”

E speriamo anche noi che si sbagli, che la speranza dentro le istituzioni ci sia ancora e sia sempre maggiore. Nel frattempo prendiamo, ognuno al nostro posto, facendo sentire le nostre voci, per quanto scomode siano.

Il Mar Ligure è sempre meno accogliente: in questi giorni sono state infatti registrate delle temperature record per il nostro mare. Parliamo di temperature che in superficie arrivano (e superano, anche) i 29 gradi. I dati di rilevazione sono quelli della boa di Capo Mele, con strumentazione e monitoraggio di Arpal, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure. Nell’articolo pubblicato qualche giorno fa dal Secolo XIX, alcune specie come le acciughe sarebbero a rischio migrazione, e nuove specie starebbero riabitando il mar Ligure essendo più a loro agio con temperature sempre più calde, tra queste il barracuda del Mediterraneo e il pesce flauto.

Nell’articolo a spiegare bene cosa sta avvenendo è Antonio Di Natale, segretario generale della Fondazione Acquario di Genova, è un biologo marino di grandissima esperienza, autore di più di 300 lavori scientifici e di diversi libri. Vi leggo un estratto della sua intervista:
«Quello che preoccupa non è solo l’aumento delle temperature che, di fatto, prosegue senza sosta dal 1982, ma anche l’uniformità delle temperature nell’intero Mar Mediterraneo.

Prima il Mar Adriatico, l’alto Tirreno avevano acque più fredde. Oggi non è più così : il delta del Po, per fare un esempio su tutti, ha già superato i 30 gradi. Mancano le acque dei grandi fiumi che, un tempo, permettevano anche un certo rimescolamento delle acque. Non c’è più tempo, i più sottovalutano quello che sta accadendo, come le conseguenze che le temperature alte hanno sullo scioglimento della calotta glaciale Artica. Una delle conseguenze di questo scioglimento è il rallentamento delle corrente del Golfo, con conseguenze a catena per tutto il pianeta. La carta dei diritti ha iniziato il proprio percorso: l’obiettivo è vederla pienamente attuata entro il 2030, l’anno di riferimento per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile».

La carta dei diritti di cui Di Natale parla è la “Carta dei diritti fondamentali degli Oceani”, nata a Genova durante The Ocean Race e consegnata all’Onu a settembre 2023. Pensateci quando nei prossimi giorni entrerete in acqua e vi lamenterete del caldo. C’è chi sta peggio di voi, e sta cercando nuove case (che non trova facilmente probabilmente). Pensateci!

Sono state chiuse all’Università di Genova le iscrizioni al primo corso per mediatori esperti di patrimonio culturale. Le richieste arrivate sono state più del doppio dei posti disponibili.

Arrivano infatti da tutta Italia, e non solo, i primi 26 studenti che, a Genova, sono stati selezionati per la prima Accademia di divulgazione scientifica del patrimonio artistico e culturale. L’Obiettivo dell’Accademia è quello di (leggo dalla loro presentazione) «formare professionisti che, partendo dalle fonti, dalla ricerca scientifica siano efficaci mediatori per il grande pubblico senza cadere nelle semplificazioni ma sapendo distillare al meglio i contenuti».

E nell’articolo Giacomo Montanari, storico dell’arte, professore universitario, coordinatore del Tavolo della cultura del Comune di Genova, dichiara: «L’obiettivo è fare di Genova la città pioniera, la prima firmataria di un documento che impegni tutti coloro che organizzano eventi culturali a retribuire quelli che oggi vengono inquadrati come “semplici” volontari».

Insomma felice di sapere che la cultura attrae ancora così tanto e che possa trasformarsi sempre più in una professione, Come a dire cultura sì, e sempre più preparata e di qualità! Quindi buon corso ai primi studenti selezionati!

Avrete letto tutti immagino, ma io ve lo riporto lo stesso, vista l’entità della notizia: la giudice del tribunale Paola Faggioni ha accolto la richiesta della Procura e disposto il processo immediato per Giovanni Toti, Aldo Spinelli e Paolo Emilio Signorini. La prima udienza è stata fissata al 5 novembre. Giovanni Toti sarà imputato per corruzione e finanziamento illecito, mentre Spinelli e Signorini per corruzione.

La giudice Paola Faggioni nel decreto che dispone il giudizio immediato per Toti, Signorini e Spinelli ha già identificato le parti offese nel procedimento penale aperto per corruzione e finanziamento illecito. Secondo la magistrata ad essere stati danneggiati dalla condotta degli imputati sono state la Regione Liguria di cui Toti è stato presidente fino allo scorso 26 luglio e l’Autorità Portuale del Mar Ligure Occidentale.

La Regione Liguria sarebbe quindi stata danneggiata, se verrà confermato dal processo, dalla condotta di Toti. Questi i fatti. Tra i tanti articoli letti in questi giorni che forniscono più o meno dettagli sul processo, uno in particolare ha attirato la mia attenzione ( e che vi riporto sotto fonti e articoli nella pagina dedicata alla rassegna) ed è a firma di Marco Menduni sul Secolo XIX. Il giornalista definisce gli anni in cui Toti è stato presidente di Regione come “l’era del totismo e del gigantismo dei record”, e ne presenta un’analisi lucida sulle caratteristiche e peculiarità, tanto da rendere questa “era” unica.

“Il totismo è stata una categoria parallela al centrodestra tradizionale, con una sua autonoma espressione. Non è solo questo, certo, ma anche. In maniera non secondaria ma preponderante, considerato quanto il politico venuto dal giornalismo Giovanni Toti ha investito sulla divulgazione (gli avversari l’hanno sempre definita propaganda) delle iniziative e dei risultati della sua amministrazione. Con uno staff magniloquente di comunicatori alla quale ha affidato la narrazione del sistema Liguria che poi è stato dal 2015 il sistema Toti. Così la cifra impiegata è diventata sempre più importante”.

E attraverso numeri, simboli e fatti di questi anni ripropone un’immagine di Toti di un politico anomalo, e (cito l’articolo) “sicuramente il simbolo di un’epoca, nata il 31 maggio 2015, il giorno in cui un candidato che nemmeno pensava di afferrare la vittoria inizia a costruire non solo un’amministrazione ma anche un sistema che prende nome da lui: il totismo, appunto”.

E proprio nel finire di leggere quest’analisi mi torna in mente il film Loro di Sorrentino, in cui viene fotografato il contesto intorno a Silvio Berlusconi (il quale anch’esso in modo molto differente ha creato un’epoca tutta sua). E la domanda mi sorge spontaneamente: e se Toti fosse solo l’espressione di una parte di Liguria, o almeno di un contesto in cui alcuni liguri vivono e si muovono? E se tale contesto avesse “creato” Toti e il totismo?

Forse con le sue dimissioni e la chiusura di questa epoca, fossimo pronti per fare un passo avanti e provare a cambiare questo contesto, a cambiare questa politica, forse partendo proprio da noi, perché come disse il grande Giorgio Gaber. “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me” e forse c’è anche un po’ di totismo in tutti noi. Che sia giunto il momento di guarirlo dentro e intorno a voi, per fare passi avanti come singoli cittadini e come comunità più allargata? Io mi auguro proprio di sì!

Vi segnalo qualche articolo pubblicato su Liguria che cambia questo mese, oltre a quelli già nominati, che ritengo particolarmente interessanti e che vi consiglio di leggere, qualore non l’aveste ancora fatto!

Il primo è a firma della nostra responsabile ligure, Valentina D’Amora che ci parla di crisi idrica. Sì, lo sappiamo che ora non c’è, ma è pur vero che il tema dell’acqua è il grande tema attuale e il rischio è sempre dietro alla porta. Quindi? Onde evitare di ritrovarci a gestire crisi in emergenza, è meglio lavorare con anticipo e progettare strategie e azioni da adottare per non ritrovarsi di nuovo in carenza di risorse idriche. La collega Valentina ne ha parlato con Federico Borromeo di Legambiente Liguria e Giovanni Minuto del Centro di Sperimentazione e Assistenza Agricola di Albenga. Tante le sfaccettature e i temi e ambiti toccati: dal settore agricolo e floricolo all’acqua piovana, alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Dalla teoria alla pratica: altro articolo che vi segnalo, stesso macrotema: l’acqua e la sua gestione consapevole. Sempre a firma di Valentina D’Amora l’articolo uscito qualche settimana fa sull’esempio concreto sulla gestione dell’acqua sostenibile, attraverso l’esperienza concreta del progetto La Tabacca: la meravigliosa azienda agroecologica, che si trova sulle alture di Genova. Per chi non la conoscesse vi consiglio di leggere la sua storia e di andare a trovarle, perchè ne vale la pena: si tratta di un progetto all’avanguardia molto interessante! Attraverso la voce di Giorgia, una delle sue abitanti, parliamo di fitodepurazione, compost toilet, recupero dell’acqua piovana e di come queste soluzioni siano state adottate e dei risultati ottenuti.

Cambiamo città e ci spostiamo a San Bartolomeo al Mare, dove c’è la sede di MeWE un progetto nato da qualche anno che parla di cohousing, spazi condivisi, esigenze personali e collettive, ma non solo: edilizia sociale, costi contenuti per le case, impatto ambientale e di ricerca di senso. Come? Il tutto nasce quando Natalia e Lucio, due architetti liguri, decidono di unire l’opportunità di abitare in cohousing, alla facilitazione di gruppi (di famiglie, piccole comunità già esistenti o nascenti), permettendo loro di vivere con più sicurezza, meno solitudine e in modo più sano e consapevole. Vi inserisco anche questo link, dove trovate l’articolo e la video storia di questo progetto unico nel suo genere per la completezza e coerenza.

Ultimo articolo che vi segnalo dal nostro archivio ligure: l’inaugurazione della bibliocabina a Busalla. Si tratta di una vecchia cabina telefonica abbandonata che è stata trasformata in un’allegra biblioteca a disposizione della comunità. Sui social dà proprie notizie sotto il nome di Favole al Telefono, perché sembra proprio una favola di Rodari che, a cavallo tra realtà e fantasia, racconta di come l’intraprendenza e la voglia di fare riescano a trasformare un luogo dimenticato di una cittadina di cinquemila abitanti in un armadio magico pieno di storie.
Unendo quindi riuso, cultura, arte questa bibliocabina sembra proprio essere un simbolo: della valorizzazione di ciò che viene considerato vecchio ed è inutilizzato, del riuso, della cultura diffusa, del senso di comunità e soprattutto di come anche in piccoli territori da single piccole azioni, possano nascere grandi cose.

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