C’è una notizia che sta circolando parecchio e che è abbastanza preoccupante riguardo al futuro delle foreste italiane. La notizia è che nel convertire in legge il decreto Asset, il governo ha inserito un emendamento, una modifica, che toglie il vincolo paesaggistico alle foreste e nei fatti rende molto più semplice disboscare.
Ma che c’entra questa cosa col decreto asset, direte voi? Un decreto che dovrebbe regolare gli asset dello Stato? Non molto, in effetti, a meno che non vogliamo considerare le foreste come asset dello stato. Il fatto è che spesso i decreti nascono con un obiettivo e poi diventano delle specie di calderoni in cui ognuno ci butta dentro quello che gli passa per la testa al momento, un po’ come quando da piccoli i genitori ci dicevano di rimettere a posto la stanza e buttavamo tutto alla rinfusa nelle scatole e nella scatola con scritto, che ne so, lego, ci trovavi le micromachines (tiè, beccatevi questi 30 secondi di revival anni 90).
Comunque, al di là di questo meccanismo, il punto qui è un altro. Il punto è che un nuovo decreto sembra mettere a rischio il patrimonio forestale italiano. Vediamo come lo descrive Ludovica Jona sul Fatto Quotidiano:
“Centinaia di boschi italiani situati in aree definite come di “notevole interesse pubblico” – ovvero zone dove vi siano, tra l’altro, “bellezze naturali e panoramiche”, “memoria storica” e “singolarità geologica” – potranno essere tagliati senza più l’autorizzazione paesaggistica della sovrintendenza. L’emendamento al Decreto Asset presentato dal senatore e presidente della IX Commissione ( quella su Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) Luca De Carlo, approvato il 27 settembre, ha modificato l’art.149 comma 1 lettera c del codice dei Beni culturali (dlgs 42/2004) con l’obiettivo di “rilanciare l’industria del legno”. Quindi l’obiettivo è dichiarato.
In pratica, come spiega più sotto l’articolo, prima il taglio di alcuni boschi sottoposti a vincolo paesaggistico doveva passare sotto l’esame del sovrintendente, così come accade per gli edifici. Da adesso non sarà più così e saranno le regioni gli unici soggetti politici a decidere sul destino dei boschi.
Diverse sigle associative legate all’economia forestale (l’articolo non le cita, usa questa formula vaga) hanno festeggiato l’emendamento come un alleggerimento del carico burocratico. Mentre quasi tutte le organizzazioni ambientaliste lo hanno subito affossato e attaccato. Ad esempio Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde, sostiene che “distrugge i pilastri della tutela della biodiversità”. Bonelli accusa Fdi di “violare l’articolo 9 della Costituzione, che pone in capo allo Stato la tutela della biodiversità”.
Una delle organizzaizoni che più si sta muovendo in contrasto a questo emendamento è l’associazione Gufi (Gruppo Unitario per le foreste italiane). Ecco cosa dichiara Per Valentina Venturi, portavoce del Gufi: “È stata modificata la Legge Galasso che considerava i boschi come parte integrante del paesaggio mentre il paesaggio boschivo non sarà più tutelato, ne beneficerà una filiera del legno di scarso valore, quello destinato alla combustione”.
E aggiunge: “Si vogliono tagliare più alberi in Italia per evitare l’importazione di pellet e biomassa legnosa da altri Paesi, ma il problema è che nel nostro Paese se ne brucia troppa”. Come conseguenza di ingenti incentivi che sono stati dati negli anni alle stufe a legna e pellet, il nostro Paese è infatti il maggior consumatore di pellet in Europa con 3-4 milioni di tonnellate all’anno bruciate nelle case degli italiani, ma circa il 90% di questo è importato.
Fra l’altro permettetemi un piccolo inciso, anche bruciare il pellet e la legna non è sostenibile, genera un sacco di polveri sottili e comunque emette CO2, quindi sono sistemi che non dovrebbero essere incentivati. Molto meglio una pompa di calore, per riscaldare.
Inoltre – sottolinea il Gufi – circa l’85% del legname estratto in Italia è destinato alla combustione, principalmente come legna da ardere. E proprio a causa dei frequenti tagli boschivi le nostre foreste sono giovani e per questo inadatte all’uso nella filiera di maggior valore aggiunto, come quella del mobile. Insomma, bruciamo già un sacco di legname, e togliere ulteriori vincoli sembra una strategia sciagurata.
Su questo emendamento vi faccio ascoltare anche il parere di un esperto, Roberto Sallustri, fondatore di riforestiamo Italia, di cui abbiamo parlato più volte su ICC.
Visto che comunque l’argomento è complesso e necessita di un approfondimento maggiore di quello che possiamo fare qui in questo format, vi annuncio già che stiamo curando un articolo di approfondimento, che uscirà nei prossimi giorni.
A proposito di foreste e di protezione delle foreste, ricordiamoci sempre che aldilà delle leggi, che ovviamente possono indirizzare in una direzione o un’altra l’inerzia del sistema, resta comunque la possibilità per ciascuno/a di noi di attivarsi per tutelarle. Su questo tema, non so se ricordate, tempo fa proprio qui su INMR vi raccontai di un’iniziativa molto bella chiamata Un bosco per Agostino. Ve la riassumo: lo scorso anno a settembre un bosco di circa 12 ettari appena fuori dal parco protetto delle Foreste Casentinesi, nel comune di Santa Sofia, in provincia di Forlì-Cesena, stava per essere venduto da privati a una azienda che voleva abbatterlo per ottenere legna.
Ma un gruppo di cittadini e cittadine hanno deciso di fare una controfferta ai proprietari: avrebbero acquistato loro il bosco per donarlo a un fondo che si impegnasse a proteggerlo e lasciarlo così com’è. L’iniziativa ha avuto molto successo: in poche settimane, tramite raccolta fondi, è stata raccolta la cifra necessaria per acquistare il bosco e in qualche altro giorno tale cifra è stata raddoppiata fino a giungere a 38mila euro, donati da 200 persone. Così è stato possibile acquistare altri 12 ettari, giungendo a 24 totali da proteggere. Il bosco, poi, è stato dedicato alla memoria di Agostino Barbieri, giovane forestale scomparso prematuramente.
Ve ne parlo di nuovo perché c’è un aggiornamento. L’aggiornamento è che a un anno dall’iniziativa, è stata organizzata una passeggiata nel bosco per le persone che hanno partecipato alla raccolta fondi. Ho contattato Anna Zonari, ideatrice dell’iniziativa, per farmi raccontare com’è andata e approfittarne per farci aggiornare su tutta l’iniziativa. A te Anna.
AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST
Spostiamoci ad Haiti, paese da molti anni tormentato dalla micro-criminalità, dalla gang o maras, come si chiamano lì. Internazionale riporta un articolo dell’agenzia francese AFP, che racconta che “Il 2 ottobre, dopo un anno di discussioni, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha dato il via libera all’invio di una missione internazionale ad Haiti. L’obiettivo della missione, che sarà guidata dal Kenya, è di aiutare le forze di sicurezza a contrastare le gang criminali che hanno fatto precipitare il paese nel caos”.
Una decisione accolta con entusiasmo dal governo locale. Il ministro degli esteri haitiano, Jean Victor Généus, ha dichiarato: “La decisione dell’Onu è un raggio di speranza per il popolo haitiano, che da troppo tempo soffre le conseguenze della situazione politica, socioeconomica, di sicurezza e umanitaria”.
Ma qual è la situazione ad Haiti? È così grave da necessitare l’interventi dell’Onu? Sì, a quanto riporta lo stesso articolo: “Stupri usati come strumento di terrore, cecchini sui tetti, persone bruciate vive, rapimenti: mentre le violenze compiute dalle gang che controllano la maggior parte della capitale Port-au-Prince continuano ad aggravarsi, il primo ministro haitiano Ariel Henry e il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres chiedevano da quasi un anno l’invio di una forza internazionale.
Ma la comunità internazionale, rimasta scottata dalle esperienze passate nel paese, ha avuto difficoltà a trovare uno stato volontario che prendesse il comando. Alla fine di luglio il Kenya ha finalmente annunciato di essere disponibile a guidare la missione, oltre a inviare mille soldati nel paese caraibico.
La risoluzione, approvata con tredici voti a favore e 2 astensioni (Cina e Russia), prevede la creazione di una “missione multinazionale di sostegno alla sicurezza”, che nominalmente non sarà delle Nazioni Unite, per “un periodo iniziale di dodici mesi”.
L’obiettivo è di “fornire un supporto operativo alla polizia haitiana” nella lotta contro le gang, rafforzando la sicurezza in modo da permettere di organizzare le elezioni, che non si tengono dal 2016. In un rapporto recente, Guterres ha sottolineato che la crisi economica, politica e di sicurezza ad Haiti si è aggravata nell’ultimo anno. I membri delle gang sono molti di più dei circa 14mila agenti di polizia attivi nel paese, oltre che meglio armati. In totale, tra ottobre 2022 e giugno 2023 sono stati registrati quasi 2.800 omicidi.
Ma c’è anche chi ha delle perplessità su questa iniziativa. In particolare il governo cinese. La Cina, che ha potere di veto al Consiglio di sicurezza, ma ha deciso di astenersi, esprimendo alcuni dubbi sulla missione. “Senza un governo legittimo, qualsiasi sostegno esterno difficilmente potrà avere effetti duraturi”, ha avvertito l’ambasciatore Zhang Jun.
Pechino sostiene che una missione di questo tipo non abbia molto senso senza contrastare il traffico di armi in ingresso ad Haiti, soprattutto dagli Stati Uniti. Il rappresentante americano ha detto che gli Usa prendono molto sul seerio la questione delle armi e che Washington fornirà supporto logistico e finanziario alla missione, ma senza inviare soldati.
Altre perplessità sono dovute al fallimento della precedente missione Onu. I caschi blu della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti infatti, presenti dal 2004 al 2017, hanno portato sull’isola il colera, innescando un’epidemia che ha ucciso più di diecimila persone. L’episodio spiega in parte perché la nuova missione non opererà sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
Visto che qualche giorno fa in un comento mi avete ricordato l’esistenza della rubrica “iononmirassocial” ho pensato che fosse il caso di rispolverarla. Se siete nuove/i da queste parti, si tratta di una rubrica in cui ogni tanto, con una cadenza direi semestrale, leggo i post più interessanti in cui mi imbatto sui social network. Devo dire quasi sempre Facebook, perché sono anziano dentro. Il post di oggi è di Giuseppe Barbiero, ospite spesso su ICC e INMR, che affronta un tema spinosissimo. Ma ciancio alle bande, ve lo leggo:
Il post si chiama “La sovversione ideologica della biologia”.
In un articolo molto lucido e ben documentato i biologi evoluzionisti Jerry A. Coyne e Luana S. Maroja osservano quanto i dogmi del “politically correct” stiano delimitando aree tabù nelle scienze biologiche. Ci sono argomenti di biologia che si fa fatica a studiare, a insegnare agli studenti, a comunicare al grande pubblico perché contrastano con la giusta esigenza sociale di una società egualitaria.
Gli argomenti tabù di biologia che Coyne e Maroja esaminano sono sei:
1. Il sesso in Natura è binario: maschi e femmine.
2. Le differenze comportamentali tra uomini e donne hanno una matrice biologica.
3. Il comportamento umano può essere spiegato da un punto di vista evoluzionistico.
4. Esistono differenze genetiche fra individui.
5. Le etnie hanno una matrice biologica.
6. I “modi di conoscenza” indigeni non equivalgono alla scienza moderna.
Nel 1963 il grande biologo evoluzionista Ernst Mayr scriveva che sostenere “l’uguaglianza nonostante la variabilità è un concetto alquanto sofisticato e richiede una statura morale di cui molti individui sembrano incapaci. Essi negano piuttosto la variabilità umana ed equiparano l’uguaglianza all’uniformità. Oppure affermano che la specie umana è eccezionale nel mondo vivente in quanto solo i caratteri morfologici sono controllati dai geni e tutti gli altri tratti della mente o del carattere sono dovuti al “condizionamento” sociale o ad altri fattori non genetici. Un’ideologia basata su premesse così palesemente sbagliate può solo portare al disastro. La promozione di uguaglianza umana si basa su una rivendicazione di uniformità. Non appena si dimostra che l’uniformità non esiste, viene meno anche il sostegno dell’uguaglianza”.
Se vogliamo davvero promuovere l’uguaglianza dobbiamo imparare ad accettare e ad apprezzare la variabilità e le differenze tra esseri umani. La Natura è diversità”.
Ecco, credo che Barbiero tocchi un tema centrale di questa epoca. Non voglio fare il classico discorso reazionario della dittatura del politicamente corretto, signora mia non possiamo dire niente ai giorni nostri. Credo che alla base di tutto questo discorso ci sia una giusta rivendicazione di diritti da parte di minoranze o categorie storicamente marginalizzate, a una uguaglianza sostanziale, a un trattamento paritario.
Ma la natura è diversità. Fingere di essere tutti e tutte uguali, negare ogni evidenza di diversità, è la cosa più innaturale, forse l’unica cosa realmente innaturale, che possiamo fare. Credo sia frutto di una cultura della superficie, delle connessioni, che pensa (o spera) che basti bandire qualche parola per cancellare fenomeni che non ci piacciono, come il sessismo, il razzismo e tante altre cose orribili.
Una cultura che però, forse, nasconde la nostra profonda incapacità di accettare la diversità. Se accettassimo, realmente, di essere tutti e tutte diversi, culturalmente, biologicamente, geneticamente, e che non c’è niente di male nell’esserlo, forse troveremmo una sorta di unità, a un livello superiore.
In chiusura, qualche segnalazione da ICC. Oggi esce la nuova puntata di A tu per tu, che parla dei pesticidi in agricoltura, per descrivere la situazione reale nel nostro paese e per rispondere alla domanda che ci facciamo o ci siamo fatti tutti e tutte almeno una volta. ma quindi cosa posso fare per non mangiare veleni?
La seconda segnalazione è che abbiamo aperto un nuovo filone di approfondimenti, in collaborazione con l’azienda Lush, dedicato agli animali. O meglio agli altri animali, come specifica giustamente Daniel Tarozzi nell’editoriale che apre questo filone, visto che animali siamo anche noi, anche se spesso ce ne dimentichiamo.
Di altri animali abbiamo parlato in questi anni, ma non così spesso. Scrive Daniel: “Se è vero che di allevamenti intensivi parliamo spesso, in correlazione col cambiamento climatico, è anche vero che del dolore di questi animali e delle loro condizioni terribili parliamo troppo raramente e troppo raramente proponiamo denunce e alternative concrete. E così vale per il tema dei farmaci sperimentati sugli animali, dei cani tenuti alla catena, delle balene cacciate e uccise, della pesca a strascico, dei pulcini triturati vivi eccetera eccetera eccetera.
Allo stesso modo, non abbiamo parlato abbastanza di chi queste cose le “combatte”, producendo campagne, vincendo fondamentali battaglie, cambiando le leggi, salvando qua singoli animali, là intere specie. E allora ho deciso di rifocalizzare i nostri radar e riportare una parte importante del mio sguardo e del nostro lavoro là, dove tutto era iniziato, dalla parte degli altri animali. Quelli che vivono con noi o quelli che vivono lontano da noi. Quelli che amiamo e quelli che “odiamo”, schifiamo, schiacciamo o combattiamo”.
Buona lettura, trovate tutto sotto fonti e articoli, come al solito.
#foreste
Il Fatto Quotidiano – Fdi toglie i vincoli ai tagli boschivi con un emendamento. L’accusa: “Regalo alla filiera del legno”. Bonelli: “Golpe contro la natura”
Gufi italia – IL GOVERNO HA CANCELLATO IL VINCOLO PAESAGGISTICO A TUTELA DEI BOSCHI
Economia Circolare – Il “bosco di Agostino”, circolare per volontà di popolo
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Internazionale – Una forza internazionale guidata dal Kenya sarà inviata ad Haiti
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Italia che Cambia – Si parla troppo poco di animali: al via la rubrica che tratta di loro
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Italia che Cambia – Pesticidi, qual è la situazione reale? E come fare a mangiare senza avvelenarsi? – A tu per tu + #10
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Valori – Mercato immobiliare nel metaverso, la bolla appena nata e già esplosa
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Altreconomia – Il carcere sedato: più di due milioni di euro all’anno spesi in psicofarmaci
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