Una base militare in un parco naturale, coi fondi del Pnrr – Io Non Mi Rassegno #503
È stata una Pasqua un po’ strana, quella appena trascorsa, in cui i soliti proclami alla pace alla fratellanza che caratterizzano questa ricorrenza hanno assunto di colpo un sapore diverso, un appello quasi disperato. Almeno per noi, che la guerra l’abbiamo letta soltanto sui libri di scuola. Il Papa nel suo classico messaggio, ha fatto un riferimento molto preciso: “Per favore, non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade!”. Una frase che sarebbe suonata come una banalità fino a qualche settimana fa, e che oggi sembra quasi eretica.
UNA BASE MILITARE IN UN PARCO?
Comunque, a proposito di guerra, parliamo di una notizia che sta facendo molto discutere. Ce lo avete anche segnalato nei commenti, e allora approfittiamo di un articolo uscito su Scomodo per parlare di una questione abbastanza paradossale, quella del progetto di costruire una base militare all’interno di un parco naturale – quello di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli – e farlo con i fondi del Pnrr, in teoria destinati alla transizione ecologica.
La questione è la seguente: siamo nella provincia di Pisa, a Coltano, una frazione agricola che fa parte di un parco naturale. Qui, fino al 2006 sorgeva un centro militare, poi dismesso e oggi in stato fatiscente. E qui oggi il governo progetta di costruire nuovamente una grande base militare, grande 730 mila metri quadrati – ripeto, di area protetta all’interno del parco regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli – che saranno recintati per far spazio al quartier generale del primo reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania” e dei centri cinofili dell’Arma.
Qui sorgeranno, fra le altre cose, 440 mila metri cubi di nuovi edifici costruiti per completare un progetto che prevede, tra le varie strutture, una pista di atterraggio per elicotteri, caserme, magazzini, piscine, palestre, mensa, 2 poligoni di tiro e 18 villette a schiera. In un’area protetta (se non l’ho già detto), e in un paese, l’Italia, in cui ogni secondo – come ci ricorda Scomodo – si perdono circa 2 metri quadrati di terreno a causa della cementificazione.
Gli esperti del parco hanno fin da subito presentato una relazione molto critica, in cui analizzano il rischio idrogeologico di un’operazione del genere, e i vincoli legati al fatto che parliamo di un’area naturale protetta (l’ho detto?) e la gravità del consumo di suolo per un territorio rurale ancor privo dei segni dell’urbanizzazione. I danni che genererebbe questo intervento sono da considerarsi, secondo il responso dell’ente toscano, “irreversibili”, e quindi è da ritenersi parimenti “inammissibile” la costruzione di nuovi edifici in quell’area.
Di fronte a tale parere, arrivato da un ente autorevole il governo ha… fatto finta di nulla. Per un anno. Poi il 23 marzo è stato pubblicato un decreto del presidente del consiglio dei ministri, firmato in data 14 gennaio da Draghi e controfirmato anche dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che toglie al Parco ogni voce in capitolo nel processo decisionale sulla costruzione della base, visto che si tratta di un’opera di difesa nazionale e che quindi è prevista una procedura semplificata.
E poi c’è il fatto che, come anticipavamo, vengono usati i fondi del Pnrr, quindi fondi europei pensati per far ripartire le economie del continente in un’ottica di transizione ecologica. Quindi energie rinnovabili, efficienza energetica, lotta all’inquinamento, riduzione dei rifiuti e costruzione di basi militari nei parchi naturali. Tutto coerente.
Di fronte a questa assurdità il presidente della regione Toscana, Giani, si mostra stupito e dice che ha scoperto tutto a giochi fatti, anche se le carte mostrano il contrario. Il buon Cingolani, che è direttamente responsabile attraverso il MiTe della gestione di 34,9 miliardi di euro destinati nel piano alla transizione ecologica, non perviene nemmeno questa volta, non commenta, non dice niente.
In tutto ciò in tanti si stanno mobilitando per impedire l’opera, anche se la notizia è stata resa pubblica a giochi praticamente fatti e ora è più complicato fare qualcosa. Cinque giorni fa, la docente dell’Università La Sapienza di Roma Rossella Catanese ha lanciato una petizione su Change.org che in appena 24 ore ha raggiunto oltre 30mila firme e ora – nella mattina di martedì 19 aprile – naviga attorno alle 90mila.
Per questa sera è indetta anche un’assemblea pubblica a Coltano, in cui i cittadini si confronteranno sulla questione. Cittadini che sono stati tenuti all’oscuro di tutto per oltre un anno e che ora cercano di fare qualcosa in fretta e furia, a giochi decisi.
Per quel che vale, potete firmare la petizione, ve la lascio al solito posto.
POSSIBILE DISASTRO AMBIENTALE IN TUNISIA
Va bene, cambiamo argomento, parliamo di disastri ambientali. La petroliera Xelo è affondata con il suo carico di diesel a largo delle coste del Golfo di Gabes, in Tunisia. Lo scorso venerdì sera la nave stava trasportando oltre 750 tonnellate di carburante (corrispondenti a circa un milione di litri) dall’Egitto all’isola di Malta quando un peggioramento delle condizioni metereologiche ha bloccato la sua navigazione. Ne parla, fra gli altri, GreenMe.
Il maltempo ha provocato danni all’imbarcazione, che ha iniziato ad imbarcare acqua a circa 4 miglia di distanza dal porto: secondo la testimonianza di chi era a bordo, la sala macchine è stata completamente invasa dall’acqua. Questo non ha permesso alla nave di attraccare, anzi ha dato avvio al processo di affondamento che si è concluso nelle prime ore di ieri. Il punto adesso è capire cosa succederà al carburante che contiene. Perché si temono perdite.
Per ora, almeno a detta della ministra dell’ambiente Leila Chikhaoui, che si è recata al porto di Gabes sabato per supervisionare l’ispezione dei sommozzatori, la situazione era “sotto controllo”. “Pensiamo che lo scafo sia ancora a tenuta stagna e che non ci siano perdite per il momento”, ha detto all’Afp. Ovviamente continueremo a monitorare la situazione, sperando che non ci siano fuoriuscite.
PERU’, STRANE TECNICHE DI “BONIFICA”
Anche perché, laddove ci sono state, non è che le soluzioni messe in atto funzionino così tanto. Vi ricordate della marea nera causata in Perù da un incidente avvenuto il 15 gennaio durante un’operazione di scarico di greggio nel quale fu coinvolta la petroliera italiana Mare Doricum? Ebbene, la cosa non è stata ancora risolta e in questi giorni L’OEFA, che sarebbe un organismo di controllo ambientale che dipende dal Ministero dell’Ambiente peruviano, si è accorta che la Repsol, che la Raffineria La Pampilla, di proprietà della multinazionale spagnola Repsol, che è incaricata della bonifica, sta usando un sistema… curioso! In pratica per ripulire una spiaggia non sta facendo altro che miscelare la sabbia impregnata di petrolio greggio con sabbia pulita.
L’OEFA ha chiesto a Repsol di smettere immediatamente e anche di spiegare su quali basi questa tecnica dovrebbe bonificare le spiagge. E ha anche rivelato che «Ad oggi, Repsol non ha rispettato 5 dei 16 provvedimenti amministrativi emanati, motivo per cui l’organizzazione ha imposto alla multinazionale sanzioni per circa 560mila dollari.
FONTI E ARTICOLI
#Ucraina
il Post – Ci sono scontri in tutto l’est dell’Ucraina
il Post – La guerra in Ucraina sta facendo molto male alla Tunisia
Euronews – Il Papa nel giorno di Pasqua: “Pace per la martoriata Ucraina e tutte le guerre”
#basi militari
Scomodo – I soldi del PNRR per una base militare in un parco a Pisa
Change.org – https://www.change.org/p/diciamo-no-alla-nuova-base-militare-nel-parco-di-san-rossore-migliarino-pisa
#petroliera #Tunisia
Euronews – Petroliera affondata davanti alla Tunisia, per ora il disastro è evitato
#bonifiche
Greenreport – Perù: per bonificare la marea nera Repsol mischia sabbia impregnata di petrolio con sabbia pulita
#Tonga
il Post – Tonga, tre mesi dopo
#presidenziali francesi
Euronews – Macron e Le Pen pronti al duello finale