Ieri non ne abbiamo parlato ma martedì c’è stato l’ennesimo caso che ha scosso l’opinione pubblica legata all’invasione israeliana della striscia di Gaza. In pratica l’esercito israeliano ha ucciso in un attacco ben sette operatori della ong World Central Kitchen che stavano distribuendo aiuti umanitari. Un fatto molto grave, che continua a peggiorare la situazione di Israele a livello internazionale.
I sette operatori umanitari – un palestinese, un’australiana, tre britannici, un polacco e un cittadino statunitense e canadese – stavano viaggiando nella città di Deir al Balah, nel centro della Striscia di Gaza, per preparare una consegna di aiuti umanitari da poco arrivati a Gaza via nave, in un’operazione finanziata da vari paesi e coordinata con l’esercito israeliano.
Al momento dell’attacco i sette operatori stavano gestendo i preparativi logistici per la consegna di 400 tonnellate di aiuti umanitari appena arrivati via mare. La nave che li trasportava aveva scaricato le prime 100 tonnellate, ma poi è avvenuto l’attacco israeliano. A quel punto l’ong ha deciso di interrompere immediatamente tutte le operazioni e la nave è ripartita portandosi via gran parte del suo carico di aiuti.
Ovviamente si tratta di un fatto molto grave perché anche nei teatri di guerra gli operatori umanitari sono in genere quelli più protetti, in quanto svolgono un lavoro prezioso di aiuto verso i civili che in genere sono quelli che delle guerre subiscono le conseguenze maggiori. Il che a Gaza vale doppio, considerando che circa la metà della popolazione è composta da minorenni.
Attaccare e uccidere degli operatori umanitari non è solo una tragedia umana per le persone in questione e i loro cari. Perché uno potrebbe anche pensare: perché fa tutto questo scandalo la morte di 7 persone in un contesto dove sono morte oltre 33mila persone negli ultimi mesi, di cui buona parte minorenni?
Il fatto è che l’uccisione di operatori umanitari diventa un enorme problema anche per i civili a Gaza, che da quegli aiuti umanitari dipendono, perché significa creare un contesto in cui fornire aiuti umanitari non è più sicuro, il che vuol dire a sua volta ong che si ritirano, operatori che non se la sentono di rischiare consapevolmente la propria vita e così via. E quindi significa centinaia di migliaia di persone che rischiano ancor più la fame, di morire di malnutrizione, di infezioni, e così via. Quindi insomma, capite che non è una cosa da poco.
Questa volta sia il governo che l’esercito israeliano hanno ammesso la propria responsabilità, sostenendo però che sia stato un incidente causato da una «mancanza di coordinamento» con la ong, o da una errata identificazione.
Ma le prime ricostruzioni, che sono iniziate ad emergere nella giornata di ieri dopo lo shock iniziale, smentiscono parzialmente la versione dell’esercito. Il lavoro più dettagliato viene fatto al momento dal quotidiano israeliano Haaretz, che mi sembra faccia una ricostruzione piuttosto obiettiva dell’accaduto, grazie all’utilizzo di fonti anonime dentro all’esercito e ai servizi di intelligence israeliani.
Quindi vediamola questa ricostruzione. Secondo Haaretz, l’attacco avrebbe avuto come obiettivo un uomo armato che sarebbe stato a bordo di un camion nel convoglio di cui facevano parte anche tre auto su cui si trovavano i sette operatori uccisi. Anche se in realtà l’attacco è avvenuto dopo che il camion si era allontanato dal convoglio e ha preso come bersaglio le auto su cui si trovavano solo gli operatori e nessun uomo armato.
L’attacco sarebbe stato compiuto con un drone che ha colpito una a una le auto, benché avessero tutte chiari segni identificativi della ong WCK. Vi leggo il passaggio dell’articolo di Haaretz, ripreso anche dal Post:
“A un certo punto, mentre il convoglio stava viaggiando lungo il percorso approvato, la centrale di controllo dell’unità responsabile per la sicurezza della strada ha ordinato agli operatori dei droni di attaccare una delle auto con un missile.
Alcuni dei passeggeri sono stati visti mentre lasciavano l’auto dopo che era stata colpita, e sono saliti su un’altra. Hanno continuato a guidare e hanno perfino inviato un messaggio alle persone responsabili per dire che erano stati attaccati, ma secondi dopo un altro missile ha colpito la loro auto.
La terza auto del convoglio si è avvicinata, e i passeggeri hanno cominciato a trasferirci sopra i feriti che erano sopravvissuti al secondo attacco, per portarli fuori pericolo. Ma poi un terzo missile li ha colpiti. Tutti e sette i volontari di World Central Kitchen sono morti”.
Insomma, leggendo la dinamica sembrerebbe un attacco deliberato, che – vi dirò di più – mi ricorda molto quello compiuto dai soldati americani in Iraq e reso noto dal video collateral murder rilasciato da Wikileaks. Ma come è potuta accadere una cosa del genere?
Sempre secondo Haaretz il contesto in cui è avvenuta questa operazione è quello di una certa anarchia che regna nell’esercito israeliano – mista, ci aggiungo io, a una buona dose di estremismo ideologico – con «tutti i comandanti decidono da soli le regole» da seguire. Per esempio, per colpire un «obiettivo sensibile» come potrebbe essere il convoglio di una ong, un’unità dell’esercito avrebbe bisogno di un permesso specifico da ufficiali alti in grado, mentre in questo caso non è ancora chiaro se questo permesso sia arrivato, o perfino se mai sia stato richiesto. L’esercito ha detto di aver avviato un’indagine interna su quanto accaduto, anche se sappiamo che le indagini interne agli eserciti lasciano il tempo che trovano.
Tutto ciò sta suscitando reazioni di sdegno e rabbia crescente a livello internazionale. Anche perché si va a sommare a una situazione in cui Israele continua a bloccare l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) dal portare cibo e altri aiuti nel nord di Gaza, quindi continua nella sua politica di ostruzionismo alle ong e agli aiuti umanitari. Molti leader mondiali – fra cui lo stesso Biden – hanno accusato il governo israeliano di non prestare sufficiente attenzione agli aiuti umanitari né ai civili, mentre si moltiplicano le campagne di boicottaggio di prodotti israeliano in tutto il mondo. Vediamo se questa pressione crescente, assieme al malcontento interno, sortiranno qualche effetto.
Intanto, a proposito di conflitti vi segnalo un’intervista interessante che abbiamo pubblicato martedì su ICC, intervista fatta da Fabrizio Corgnati a Natalia Re, Presidente del Movimento italiano per la gentilezza.
Il movimento in questione è un movimento in realtà globale, che professa l’utilizzo della gentilezza come strumento di risoluzione dei conflitti e di convivenza pacifica. Ed è interessante perché ammetto che ero un po’ scettico perché la mia idea di gentilezza è di qualcosa di un po’ superficiale che magari ignora i conflitti profondi nel nome della forma. E invece l’idea di gentilezza che emerge dall’intervista è molto simile a quella di nonviolenza.
Ve ne leggo un estratto: «Sgombriamo il campo dalle confusioni», precisa Re. «Gentilezza non significa cortesia, educazione, buone maniere, non è ascetismo né misticismo. È un atto molto più profondo, di responsabilità individuale e collettiva. Parte dalla costruzione del nostro equilibrio, per poi diventare allenamento all’armonia e al rispetto. Io mi sento molto ottimista al riguardo: nonostante questo sia un momento storico di grandi derive, credo fermamente che la nostra società possa ritrovare nella gentilezza sia la bellezza che lo stimolo al cambiamento. Perché essere gentili può abbattere barriere, stereotipi, tabù, falsi miti più della forza fisica».
E ancora: È un antidoto a tutti i conflitti – da quelli enormi della geopolitica a quelli microscopici della vita di ogni giorno, quando ci scontriamo con chi la pensa diversamente da noi per strada o dietro a uno schermo – senza volersi imporre sugli altri, ma aprendosi a loro. «Non si tratta di vocazione al martirio, cioè di rinuncia alle proprie idee o necessità, ma di accettazione della differenza, comprensione che essa può nutrire anche la nostra identità individuale».
Ieri mattina c’è stato un terremoto potentissimo a largo di Taiwan, il più potente degli ultimi 25 anni nell’isola, di magnitudo 7,4. Taiwan, per darvi un minimo di contesto, è uno stato insulare che si trova nell’oceano Pacifico a circa 180 chilometri di distanza dalle coste della Cina. È una nazione autonoma, ma sulla quale la Cina per questioni di tipo sotrico rivendica la sovranità. Ed è uno dei punti caldi a livello globale, perché Tasiwan è anche il principale produttore mondiale di microchip e quindi anche gli Stati Uniti sono particolarmente interessati a difendere la libertà e democrazia di Taiwan. Che per carità, è una roba giusta e sacrosanta, però lì è più giusta e sacrosanta che altrove.
Comunque, torniamo al terremoto. Scrive il Post che “L’epicentro del terremoto è stato rilevato circa 18 chilometri a sud della città di Hualien ed è avvenuto alle 7:58 locali. Per quel che sappiamo fin qui, alcuni edifici sono crollati, almeno nove persone sono morte e ci sono più di 800 feriti.
In tutto, secondo le prime informazioni, sono crollati almeno 26 edifici, più della metà dei quali a Hualien, e decine di persone sono ancora intrappolate sotto le macerie.
Racconta il Corriere che “Delle 120 persone intrappolate, quasi 80 sono bloccate nei tunnel. Poi ci sarebbero 70 operai intrappolati in due cave nella contea di Hualien. Solo che 70+80 fa 150, quindi i conti non tornano ma vabbé. Oltre a loro, ci sarebbero altre 50 persone disperse in quattro minibus che viaggiavano dal centro di Hualien al vicino parco nazionale Taroko. Al momento più di 87.000 persone sono senza elettricità.
In tutto ciò, è arrivata pronta l’offerta di aiuto da parte del governo cinese. Una portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo centrale ha espresso la vicinanza del paese e detto che «presteremo molta attenzione al disastro e alle situazioni successive e saremo disposti a fornire assistenza in caso di catastrofe». Chissà se per spirito di solidarietà o per iniziare ad allungare la propria sfera d’influenza? Perché abbiamo visto con la pandemia che questi due aspetti possono essere pericolosamente intrecciati.
Altro caso caldo di questi giorni, è il cosiddetto Pfizergate che coinvolge nientemeno che la Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Come racconta fra gli altri il Sole 24 Ore, riprendendo un’indagine di Politico (magazine americano) la Procura europea “sta indagando su accuse di presunti illeciti penali in relazione ai negoziati sui vaccini tra la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer” Politico.Eu.
L’indagine era stata originariamente aperta dalle autorità giudiziarie belghe nella città di Liegi all’inizio del 2023 dopo una denuncia presentata da Frédéric Baldan, che il Sole definisce un “lobbista locale”. In seguito si sono uniti nella denuncia i governi ungherese e polacco.
Vi ricapitolo brevemente la vicenda. Siamo nel 2021 e Von der Leyen annuncia un accordo fra Commissione e la casa farmaceutica Pfizer per l’acquisto di un quantitativo massiccio di vaccini in un accordo dal valore di 20 miliardi di euro. Accordo che viene inizialmente presentato come un grande successo negoziale, perché era il periodo in cui non si trovavano i vaccini e quindi il fatto che l’Europa se ne fosse accaparrati molti era stato annunciato come appunto un successo della stessa Presidente. Ma col passare del tempo l’enorme quantità di vaccini acquistati a partire da allora ha sollevato perplessità, con Politico che ha rivelato alla fine dello scorso anno che c’erano almeno 4 miliardi di euro di dosi non utilizzate.
Già nel 2022, l’Eppo ha annunciato che stava esaminando più in generale l’approvvigionamento di vaccini da parte dell’Ue. Poi l’anno successivo arriva la denuncia di Balden, che il Sole definisce “un lobbista belga di 36 anni con legami con il gruppo no vax Bon Sens”, che appunto presenta una denuncia in Belgio in relazione al ruolo avuto da von der Leyen nelle trattative sui vaccini con Pfizer per quelli che sostiene fossero atti di «interferenza in funzioni pubbliche, distruzione di Sms, corruzione e conflitto di interessi». Insomma secondo Balden Von der Leyen avrebbe fatto accordi poco chiari e non nell’interesse pubblico, e per di più avrebbe distrutto gli sms che avrebbero testinmoniato questi accordi.
Gli sms in questione erano quelli di un presunto scambio di messaggi di testo tra von der Leyen e il capo della Pfizer Albert Bourla, rivelato dal NYT nel periodo precedente al più grande accordo sui vaccini dell’UE al culmine della pandemia di Covid-19. Questa vicenda assume presto il nome di Pfizergate.
Presto si uniscono alle denunce alcuni governi nazionali. L’Ungheria, guidata da Viktor Orbán, fermo oppositore di von der Leyen, presenta una denuncia simile, e lo stesso fa la Polonia, lo scorso novembre, denuncia che tuttavia sembrerebbe essere stata ritirata dopo l’elezione dell’europeista Tusk a dicembre. Ovviamente quando si tratta di governi è difficile distinguere l’aspetto politico da quello giuridico.
Anche il New York Times, che per primo aveva rivelato la vicenda, avvia a sua volta una causa parallela contro la Commissione dopo che questa si era rifiutata di rivelare il contenuto dei messaggi in seguito ad una richiesta di accesso ai documenti.
Ecco. Adesso la questione sale ulteriormente di livello perché a prendere in mano le indagini sono stati appunto gli investigatori della Procura europea, il che significa sottoporre a ulteriore esame il ruolo del presidente della Commissione nel mega accordo sui vaccini.
Al momento la Commissione si è sempre rifiutata di rivelare il contenuto degli Sms e persino di confermarne l’esistenza. Alcuni oppositori politici hanno cercato di fare pressione sulla Commissione affinché discutesse il caso, ma von der Leyen ha sempre evitato di affrontarlo. Vedremo adesso cosa emergerà dall’indagine.
Il 31 marzo si sono svolte le elezioni locali in Turchia e in Kurdistan, come vi abbiamo raccontato pochi giorni fa. Molti giornali si sono soffermati sulla vittoria del partito repubblicano in molti comuni e sulla sconfitta di Erdogan, soprattutto a Istanbul e Ankara. C’è però un altro dato, forse meno significativo a livello macroscopico e internazionale ma comunque molto importante. Ovvero che il Partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli, che è un partito di sinistra turco e curdo e che è al momento il principale punti di riferimento per i curdi in Turchia ha eletto 81 sindaci, ed è di fatto la terza forza politica del paese.
Che è un risultato importantissimo, salutato come straordinario da vari esponenti curdi, ma che non è esente da rischi, adesso. Infatti, come riporta un appello di Yilmaz Orkan, Direttore dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia su Pressenza, “ad appena due giorni dalle elezioni il sindaco eletto di Van, città in cui il partito DEM ha vinto in tutti i distretti, è stato dichiarato ineleggibile da parte del governo turco e al suo posto è stato dichiarato vincitore il candidato del Partito AKP di Erdogan.
Questa manovra è un chiaro segnale della volontà da parte del governo turco di calpestare i diritti e le volontà del popolo curdo.
Racconta ancora l’articolo che “Il governo turco non è nuovo a queste pratiche: 48 dei 65 sindaci dell’Partito Democratico dei Popoli HDP eletti nel 2019 sono stati sostituiti con dei fiduciari legati a Erdogan”.
L’articolo si conclude con un appello vero e proprio: “In questo momento è importante sostenere il popolo curdo che sta manifestando in tutto il Kurdistan a difesa dei propri diritti democratici. Per questo motivo facciamo appello a tutti perché contattino nei propri territori i rappresentanti dei Comuni e di tutte le istituzioni locali, chiedendo loro di prendere posizione su questa vicenda inaccettabile”.
Prima di chiudere, vi segnalo, a voi che siete arrivati fin qui e che quindi siete fra gli ascoltatori o ascoltatrici più motivati di INMR, un evento che si terrà questo sabato a Milano, per discutere di clima in maniera aperta e in ascolto profondo dell’altro, accogliendo tutti i punti di vista.
Sotto fonti e articoli trovate una mia intervista a due degli organizzatori, si tratta davvero di un evento super interessante, sarà probabilmente il primo open forum dedicato al clima in Italia, basato sui concetti del process work, insomma una roba seria. Se volete andare, mi raccomando registratevi prima.
In chiusura passo la parola a Emanuela Sabidussi, perché ieri è uscita la puntata mensile di INMR Liguria, con il commento delle notizie liguri più interessanti del mese di marzo a cura della nostra Emanuela Sabidussi. Quindi a te la parola Emanuela, di cosa ci hai parlato?
Audio disponibile nel video / podcast
#Gaza
il Post – Le prime ricostruzioni sull’attacco israeliano contro gli operatori della ong WCK
#gentilezza
Italia che Cambia – Gentilezza, il segreto (inaspettato) per aumentare la produttività ed evitare le guerre
#terremoto #taiwan
il Post – A Taiwan c’è stato il terremoto più forte degli ultimi 25 anni
Corriere della Sera – Taiwan, terremoto di magnitudo 7.4: «Almeno 9 morti e 946 feriti». Cento edifici danneggiati, 127 persone intrappolate
#pfizergate
Il Sole 24 Ore – Pfizergate, la Procura europea indaga su Ursula von der Leyen per gli sms spariti
#clima
Italia che Cambia – Cosa pensi (e provi) sul clima? A Milano un open forum per parlarsi e ascoltarsi a fondo
#liguria
Italia che Cambia – Rigassificatore di Vado Ligure ancora al centro di polemiche – INMR Liguria #5