22 Nov 2023

Tregua a Gaza, raggiunto l’accordo Israele-Hamas? – #836

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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A Gaza sembra molto vicino un cessate il fuoco temporaneo fra Israele e Hamas, con un accordo sulla liberazione di ostaggi e prigionieri. Intanto, due giorni dopo la vittoria elettorale, in molti si chiedono che politiche farà Javier Milei, neopresidente argentino che ha promesso cose folli e probabilmente irrealizzabili. La Spagna invece ha un nuovo governo che si prepara a uno scontro frontale con l’opposizione, mentre in Albania sono stati accesi fumogeni dentro il parlamento e nei Paesi Bassi il favorito alle elezioni che si tengono oggi è un candidato che non vuole fare il premier. Parliamo anche di due disastri, di come sta proseguendo terremoto dentro OpenAI e di una lettura interessante sull’omicidio di Giulia Cecchettin.

Ieri sera è arrivato un annuncio abbastanza a sorpresa, su un accordo di tregua temporanea che sarebbe vicino. Lo ha detto prima il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Reuters, ed è stato poi confermato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha convocato per il tardo pomeriggio di ieri una riunione del gabinetto di guerra e in seguito una riunione del governo.

Vi dico le cose che sappiamo fin qui, premesso che ancora non c’è niente di ufficiale: Secondo le fonti di diversi giornali internazionali, comunque, l’accordo dovrebbe prevedere la liberazione di un certo numero di ostaggi da parte di Hamas in cambio del rilascio di palestinesi detenuti in Israele. Il tutto dovrebbe avvenire durante alcuni giorni di tregua dai combattimenti, in cui saranno fatti entrare nella Striscia di Gaza aiuti umanitari.

L’accordo è mediato soprattutto dal Qatar, che ha buoni rapporti con entrambe le parti e nelle ultime settimane aveva lavorato anche per facilitare l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Alle trattative stanno partecipando anche gli Stati Uniti. Ieri sera Joe Biden ha detto: “siamo molto vicini, molto vicini… possiamo riportare a casa alcuni di questi ostaggi molto presto, ma non vogliamo entrare nei dettagli”. Biden ha aggiunto che “quando avremo di più da dire lo faremo, ma al momento le cose sembrano andare bene”.

Andando più nel dettaglio, ci sono alcune indiscrezioni su cosa includerebbe l’accordo. Ad esempio, l’agenzia di stampa AFP ha detto che i termini potrebbero prevedere cinque giorni di tregua, il rilascio di un numero tra 50 e 100 ostaggi da parte di Hamas (solo civili, non soldati) e il rilascio di 300 detenuti palestinesi dalle prigioni israeliane. 

Secondo un giornalista della tv pubblica israeliana Kan, l’accordo invece prevederebbe la liberazione da parte di Hamas di un numero di ostaggi compreso tra 50 e 55, e il rilascio da parte di Israele di 150 detenuti palestinesi – donne e minorenni – durante una tregua di 4 o 5 giorni.

Netanyahu ci ha tenuto comunque a precisare che il cessate il fuoco sarà temporaneo. Ha detto: “Siamo in guerra e continueremo finchè otterremo la distruzione di Hamas, il ritorno degli ostaggi e la rimozione di ogni minaccia da Gaza”.

Nel frattempo, nella giornata di ieri, gli attacchi israeliani sono proseguiti senza sosta. Almeno 17 persone, fra cui alcuni bambini, sono rimaste uccise e diverse altre ferite in un attacco israeliano sul campo profughi di Nuseirat, a sud di Gaza. Inoltre due giornalisti e un civile sono rimasti uccisi in un raid israeliano nel sud del Libano.

Complessivamente – questo dato è impressionante – sono almeno 50 i giornalisti e gli operatori dei media uccisi nel conflitto tra Israele e Hamas scoppiato il 7 ottobre scorso.

Lo ha dichiarato ieri sera il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj). È stato il mese più sanguinoso per i reporter da quando l’ong per la libertà di stampa ha iniziato a monitorare le morti dei giornalisti nel 1992. Quindi almeno degli ultimi 40 anni. Almeno. Pensate che nella guerra fra Russia e Ucraina ne sono stati uccisi 15, in tutto, secondo il Cpj. Ovviamente non è che la vita di un giornalista conti più di quella di un bambino, ma in genere i giornalisti sono fra le categorie più tutelate, anche sul fronte di un conflitto, perché sono quelli che in qualche modo svolgono un ruolo riconosciuto da entrambe le parti. In questo senso la morte di così tanti giornalisti è la cartina di tornasole di un conflitto che sta facendo una strage di civili.  

Allora, sono successe un po’ di cose politiche nel mondo. L’Argentina ha un nuovo presidente, lo abbiamo visto, ha fatto cose folli per festeggiare, ma non sappiamo ancora come vorrà governare. La Spagna ha un nuovo governo, molto combattivo. In Albania c’è stata una enorme protesta in parlamento con fumogeni e fiamme, mentre in Olanda il principale candidato premier pare che non voglia veramente diventare premier. Ma andiamo con ordine.

Javier Milei, neo presidente dell’Argentina, si è dato ai festeggiamenti folli, d’altronde è noto come el loco, il matto, quando ha scoperto che sarebbe stato il nuovo Presidente del paese. Ha iniziato a saltare sul palco e a mimare gesti da rockstar facendo ondeggiare i capelli, poi si è messo a urlare “libertad, libertad”. Trovate diversi filmati online.

Tuttavia, in molti si iniziano a chiedere che tipo di politica farà. Perché nel cosrso della sua campagna elettorale ha detto di tutto, ma molte delle sue promesse sembrano praticamente irrealizzabili. 

In modo molto vteatrale ha promesso la dollarizzazione dell’economia, la distruzione della Banca centrale e la soppressione di 12 ministeri, al grido di “afuera!” I ministeri che scompariranno perché non importanti, secondo le sue promesse, sono quello di Cultura, Ambiente, Donne e diversità, Lavori Pubblici, Educazione, Lavoro e sicurezza sociale, Trasporti, Salute, Scienze e Tecnologia, Sviluppo sociale. 

Sempre in campagna elettorale, prima del primo turno, si è detto contrario all’aborto, ma favorevole alla vendita di organi e alla creazione «un mercato delle adozioni» e alla liberalizzazione della vendita di armi; altri punti del suo programma sono la privatizzazione della sanità e dell’istruzione e la lotta contro «l’ideologia di genere». Si è presentato in mezzo alla folla con una motosega accesa, a simboleggiare il taglio alla spesa pubblica e allo stato sociale, ha poi definito «sporco uomo di sinistra» Papa Francesco e bollato il cambiamento climatico come «bufala socialista».

Poi, tra il primo e il secondo turno, come riportano alcuni giornali fra cui Open e il Post, le sue posizioni si sono un po’ ammorbidite, probabilmente per convincere l’elettorato di destra più moderato che non l oaveva votato al primo turno. 

L’unico appiglio che abbiamo per interpretare la sua figura, che è anomala persino rispetto ai vari Trump e Bolsonaro, che di sicuro sono i leader che gli si avvicinano di più, è utile avere qualche nozione di quello che viene definito libertarismo radicale, una filosofia sociale nata negli usa che potrebbe apparire una contraddizione in termini. Come fa la libertà ad essere radicale? Be’, può esserlo in realtà. La libertà individuale ha sempre come contraltare la responsabilità e il rispetto di norme sociali condivise. 

Ogni società nella storia ha dovuto trovare un equilibrio fra questi due estremi. Da un lato una perfetta organizzazione sociale a scapito della libertà individuale (come i regimi totalitari), dall’altro la completa libertà individuale, a scapito del rispetto di regole condivise. 

Ecco, Milei è esattamente quest’ultimo estremo, perlomeno per come si dipinge e difende una libertà individuale totale rispetto al potere dello stato. In passato ha riassunto così la sua posizione: “Tra la mafia e lo stato preferisco la mafia, perché almeno ha dei codici e rispetta gli impegni presi, non mente ed è competitiva”. Il paradosso è che il nemico numero uno dello Stato adesso è il rappresentante numero uno dello stato. Quando si dice sconfiggere il nemico dall’interno. Sullo sfondo, c’è un’Argentina stremata da una crisi economica ormai endemica, da un’inflazione galoppante, da un debito pubblico alle stelle. La sua popolazione, sfinita, sembra essersi voluta affidare, un po’ per provocazione un po’ per esasperazione, a una figura che è un po’ un Joker, sembra uscita da un film o una serie tv distopica alla Black Mirror.

Lunedì Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo appena nominato, ha presentato il suo nuovo governo, che sarà composto da 10 ministri e 12 ministre, quasi tutte persone a lui fedeli e quasi tutti politici di professione: di fatto, nel nuovo governo spagnolo non ci sono ministri tecnici. 

Spiega un articolo del Post che “Questa composizione di persone fedeli e politicamente esperte, secondo i media spagnoli, è stata pensata per affrontare quella che per il Mundo, quotidiano di centrodestra, sarà una «guerra totale» con l’opposizione”.

Il governo di Sánchez è nato con alcune grosse debolezze. È un governo di minoranza (sostenuto dall’esterno da una serie di partiti regionali) ed è un governo di coalizione, composto dal Partito Socialista di Sánchez e da Sumar, una coalizione di piccoli partiti della sinistra radicale. Può godere di una maggioranza di appena tre deputati, ed è stato nominato tra enormi proteste dell’opposizione, soprattutto dopo la decisione di presentare una legge sull’amnistia per gli attivisti indipendentisti catalani.

Tutti questi fattori fanno sì che la legislatura appena cominciata possa essere estremamente turbolenta: Sánchez rischia di avere problemi sia da un’opposizione estremamente agguerrita sia dagli alleati esterni (come i partiti indipendentisti catalani), ciascuno dei quali ha ampie possibilità di ricatto vista la maggioranza molto ristretta in parlamento.

Per questo, Sánchez ha scelto di nominare un governo molto compatto (anche se ampio, 22 ministri sono tanti per gli standard spagnoli), in cui tutti i ministri hanno esperienza politica e gli sono personalmente fedeli.

Il governo è composto da quattro vice prime ministre tutte donne, tra cui ci sono Nadia Calviño, che è anche ministra dell’Economia, e Yolanda Díaz, la leader di Sumar che è anche ministra del Lavoro. Il ministero della Giustizia, che sarà molto contestato perché sarà quello che dovrà portare avanti e applicare la legge sull’amnistia per gli indipendentisti, è stato dato a Félix Bolaños, che è forse il politico più fedele a Sánchez e che è sempre stato messo in posizioni molto vicine al primo ministro.

A differenza di quanto avviene abitualmente in Spagna, con govenro e opposizione che pur nello scontro dialogano costantemente, questa volta, come ha scritto il Mundo, Pedro Sánchez e Alberto Núñez Feijóo, il leader del Partito Popolare che è la principale forza di centrodestra, non si parlano, e lo stesso vale per i rispettivi collaboratori. Né pubblicamente né in privato. 

Questa spaccatura sembra rispecchiare una spaccatura sociale che si sta acutizzando anche in Spagna, basti pensare che lo scorso fine settimana circa 170mila persone sono scese in piazza per protestare contro l’amnistia per i politici indipendentisti prevista dall’accordo di governo. 

Personalmente, mi viene anche da chiedermi quanta legittimazione abbia un governo con un’identità politica così chiara e definita, in una situazione di assenza di maggioranza. Nel senso che, se vogliamo restare alle regole della democrazia rappresentativa, questo governo non rappresenta la maggioranza delle persone che hanno votato. 

Inoltre, come nota sempre il Post, “Questo clima di contrapposizione totale è rischioso soprattutto per il governo, che potrebbe facilmente essere danneggiato dai ricatti dei suoi alleati, soprattutto indipendentisti. Durante il dibattito per l’investitura di Sánchez, Alberto Núñez Feijóo, il leader del centrodestra, ha detto al primo ministro: «Quando sarà tradito dall’indipendentismo, non mi venga a cercare». Staremo a vedere.

Restiamo sul Post per altre due interessanti vicende politiche. La prima arriva dall’Albania, dove lunedì alcuni membri del Partito Democratico, il principale partito dell’opposizione, di centrodestra, hanno acceso dei fumogeni, da cui si sono persino sviluppate delle fiamme, all’interno del parlamento. 

Il motivo di questo gesto inusuale e molto forte è un po’ complicato da ricostruire. L’obiettivo specifico era bloccare la votazione della legge di bilancio per il 2024, ma si trattava soprattutto di bloccare l’operato del governo per protestare contro il primo ministro Edi Rama e altri importanti membri del suo governo, accusati di atteggiamento autoritario, di corruzione e di voler reprimere l’opposizione nel paese. 

Nei Paesi Bassi invece oggi, mercoledì 22 novembre, si vota per le elezioni anticipate dopo la caduta del governo guidato da Mark Rutte, che era primo ministro da 13 anni e che a luglio aveva detto di voler lasciare la politica. Con il suo ritiro e un panorama politico molto frammentato, fare ipotesi sul governo che si formerà è molto difficile, ma fra i leader emersi in queste settimane ce n’è uno che sempre più commentatori indicano come possibile successore di Rutte: l’ex deputato Pieter Omtzigt. Il suo partito personale Nuovo Contratto Sociale (NSC) è stato fondato solo tre mesi fa ma al momento è primo nei sondaggi.

Omtzigt è un politico abbastanza sui generis, ha concentrato la sua campagna elettorale su una retorica anti establishment e sulla volontà di non farsi troppo coinvolgere in polemiche e litigi. È sostenitore di politiche di sinistra in economica, e di destra sull’immigrazione e sull’interruzione volontaria di gravidanza. E ha detto di non avere molta voglia di fare il premier e che in caso di vittoria del suo partito potrebbe appoggiare un’altra persona per l’incarico di primo ministro. Domani ne riparliamo.

Ci sono stati due disastri, uno naturale, l’altro generato direttamente dall’uomo in due paesi che bazzicano poco la nostra agenda setting, e quindi a maggior ragione penso sia importante parlarne. 

La prima notizia viene dal Congo, e ve la leggo su Internazionale. Lunedì notte almeno 37 persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite a Brazzaville schiacciate dalla folla in uno stadio durante un evento per il reclutamento nell’esercito. La settimana scorsa in tutto il paese erano stati aperti dei centri in cui era possibile registrarsi per avere la possibilità di arruolarsi. A un certo punto la calca sarebbe iniziata perché molte persone avrebbero iniziato a spingere le altri presenti, poiché temevano di non riuscire a registrarsi prima della chiusura delle iscrizioni.

L’esercito infatti in Congo (da non confondersi con la adiacente Repubblica democratica del Congo, sono due paesi distinti) è una delle poche istituzioni che assumono. I posti disponibili erano 1.500, ma più di 5mila persone avevano presentato la propria candidatura. La disoccupazione nel paese è infatti molto elevata, e molte persone non hanno un contratto regolare, svolgono lavoratori autonomi e a basso reddito. Quindi l’esercito è considerato un ottimo lavoro. Da qui, le origini di questo disastro.

Su GreenMe invece, Francesca Capozzi racconta l’alluvione in Repubblica Dominicana dove le piogge torrenziali dei giorni scorsi e le forti raffiche di vento hanno causato decessi e pesanti danni ad abitazioni e infrastrutture. Sarebbero almeno 24 le vittime per le inondazioni secondo l’ultimo bollettino rilasciato mentre in migliaia avrebbero abbandonato le proprie case.

Da venerdì le intense precipitazioni della perturbazione tropicale che sta attraversando i Caraibi non si sono placate provocando allagamenti, crolli di muri e ponti con fiumi e torrenti esondati. Le immagini condivise sui social sono impressionati. Il Presidente della Repubblica Dominicana, Luis Abinader, ha convocato le principali organizzazioni di soccorso per monitorare la situazione di quello che lui stesso ha definito “il più grande evento di pioggia mai registrato” localmente.

Due aggiornamenti veloci prima di chiudere. Il primo è che sta proseguendo il terremoto dentro OpenAI, la società che gestisce il sistema di intelligenza artificiale ChatGPT,. Dopo la notizia del siluramento del Ceo e cofondatore Sam Altman, lunedì è arrivata la notizia che lo stesso Altman sarebbe stato comunque assunto da Microsoft, che di OpenAI è il principale finanziatore. Ieri poi è arrivata la notizia che circa 700 dipendenti dell’azienda (ovvero quasi tutti, perché in totale sono 770) hanno firmato una lettera aperta indirizzata al consiglio di amministrazione in cui minacciano di dimettersi e trasferirsi a Microsoft se Sam Altman non verrà richiamato come amministratore delegato.

Infine torniamo sulla tragica notizia della morte, dell’uccisione, del femminicidio di Giulia Cecchettin. Ci torno perché su l’Essenziale è uscito un articolo della giornalista Annalisa Camilli che mi pare spieghi molto bene i tanti elementi che sono presenti in questa vicenda. L’articolo, dal titolo “Che c’è di diverso nel femminicidio di Giulia Cecchettin” si fa la stessa domanda che ci siamo fatti anche noi qualche giorno fa ma mi pare che dia delle risposte più approfondite ed elavorate. È molto lungo, quindi qui ve ne leggerò solo un pezzetto iniziale, ma se avete seguito la vicenda, finora è il contributo più interessante che ho letto. Lo trovate sotto FONTI E ARTICOLI.

“È stata Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, a sorprendere tutti. Al termine di una fiaccolata, la ragazza di 24 anni, studente universitaria, ha preso la parola e ha fatto una cosa molto complicata: ha trasformato un dolore privato in una questione politica. Si è smarcata dal ruolo della vittima e ha assunto su di sé la responsabilità di un futuro cambiamento.

“Filippo non è un mostro, un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece qui la responsabilità c’è”, ha detto con consapevolezza, lasciando tutti senza fiato.

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