LE CALCIATRICI DELLA SERIE A DIVENTANO PROFESSIONISTE
La prima è che martedì la Federazione calcistica italiana (FIGC), all’interno del suo consiglio Federale ha completato il passaggio al professionismo del movimento femminile. Ne parla il Post. Dal primo luglio la Serie A — il massimo campionato nazionale — diventerà un torneo professionistico a tutti gli effetti e si verrà a creare una vera e propria professione a norma di legge, quella di calciatrice.
E la novità non riguarda solo il calcio. È una novità assoluta: per la prima volta nella storia dello sport italiano, ci saranno delle atlete professioniste.
Il che mi ha lasciato abbastanza basito (F4). E allora ho approfondito un po’ scoprendo che in Italia solo 5 Federazioni prevedono la presenza di professionisti: oltre, ovviamente, al Calcio, ci sono il Basket, il Ciclismo, il Golf, più il pugilato, in cui il professionismo ha un inquadramento particolare. Tutte e cinque sono federazioni maschili, nessuna fin qui femminile.
Ora è vero che la distinzione fra professionismo e dilettantismo è un po’ obsoleta. Faccio una parentesi “curiosità”: a quanto pare, l’ho scoperto leggendo un articolo su ilposticipo.it (pensate che letture colte) il famosissimo motto olimpico del Barone de Coubertin “l’importante non è vincere ma partecipare” non ha il significato che tutti gli attribuiamo di “l’importante è divertirsi” ma era un messaggio molto elitario.
Alle origini dello sport moderno, fra la fine 800 e gli inizi 900, l’atleta dilettante era quindi il nobile o il ricco borghese che si dedicava allo sport per diletto, potendosi permettere di non lavorare o di sottrarre tempo al lavoro (ed energie) per svolgere una attività considerata inutile. L’importante è partecipare significava quindi che bastava il solo fatto di fare sport per sfoggiare il proprio status quo, non c’era bisogno di vincere.
E lo sport professionistico nacque proprio per garantire un’indipendenza economica agli atleti al di là del loro lignaggio. Tuttavia oggi anche molti dilettanti percepiscono uno stipendio e molte delle distinzioni originali sono saltate, tant’è che in molti chiedono una riforma dello Sport.
Detto ciò, resta assurdo che finora tutto lo sport femminile italiano operasse fuori dal professionismo e il calcio fosse inquadrato come dilettantistico. Di conseguenza i compensi di giocatrici e dipendenti delle squadre venivano elargiti sotto forma di rimborsi e accordi privati. Inoltre, pur svolgendo di fatto un lavoro a tempo pieno, l’assenza di veri e propri contratti di lavoro non garantiva compensi previdenziali, tutele assicurative e contrattazioni collettive.
Il passaggio al professionismo, spiega il Post, è consentito e agevolato dalla legge di bilancio votata due anni fa, ma è stato rallentato dagli effetti della pandemia. Ora comunque, tutele e compensi verranno ampliati a tutte le tesserate.
BILANCIO DI GENERE A PARMA
La seconda notizia è che il Comune di Parma, qualche giorno fa, ha presentato il suo primo Bilancio di Genere. Ne parla Pressenza. Si tratta di un documento che analizza e valuta le scelte politiche e gli impegni economico-finanziari di un’amministrazione nell’ottica del cosiddetto gender mainstreaming, ovvero l’applicazione delle tematiche di genere alle scelte politiche e istituzionali.
Il bilancio da documento contabile e specchio delle scelte politiche di un’amministrazione arriva a ricomprendere nei diversi momenti della programmazione, attuazione e valutazione dell’impatto se le scelte organizzative operate dall’ente agiscano su bisogni differenziati, in sintesi che tutti – donne e uomini – ne traggano beneficio.
“Dotarsi di un bilancio di genere – spiega Pressenza -, applicarlo nella vita e negli iter amministrativi vuol dire muoversi verso una società maggiormente paritaria, impegnarsi affinche’ le differenze non si trasformino in diseguaglianze. Proprio l’analisi del bilancio può contribuire a ridurre o a rimodulare le disparità tra i sessi in termini di risorse economiche: che sono la condizione precipua per attuare servizi, realizzare iniziative, aumentarne l’offerta o la platea di coinvolgimento”.
Devo ammettere la mia totale ignoranza: non conoscevo questo strumento. E allora ho chiesto lumi a Giulia Rosoni, amica, psicologa, socia storica di Italia che Cambia e soprattutto grande esperta di tematiche di genere (tant’è che aveva curato l’omonimo tavolo tematico per Italia che Cambia nel 2015).
E dalla sua risposta ho capito che in realtà, e questa invece è una bella notizia, è uno strumento molto diffuso in Italia. Il governo stesso ne redige uno, così come diverse decine di comuni, alcune regioni, molte istituzioni, università e così via.
È ovvio che non è uno strumento che da solo può risolvere i problemi, e come mi fa notare la stessa Giulia, dipende poi che utilizzo facciamo dei dati che emergono dal bilancio stesso. Come dire, io posso farmi le analisi del sangue, vedere che sto da schifo, e continuare a mangiare al fast food tutti i giorni. Ma comunque il fatto che mi sia fatto le analisi è un passetto in avanti.
COGNOME DEL PADRE O DELLA MADRE?
Terza notizia, due giorni fa la Corte costituzionale ha detto che le donne possono dare ai figli il proprio cognome. Un diritto fin qui negato dall’articolo 262 del codice civile.
Il Caso, riporta la Repubblica, è nato da una coppia lucana che inizialmente si è rivolta ai magistrati del tribunale di Lagonegro chiedendo che fosse consentita la possibilità di attribuire al terzo figlio il solo cognome materno, lo stesso dei due fratelli nati quando la coppia stessa non era ancora sposata.
Il tribunale aveva respinto la richiesta e la decisione era stata impugnata davanti alla Corte di Appello di Potenza che il 12 novembre 2021 l’aveva a sua volta inviata alla Consulta, per verificarne la costituzionalità. Consulta che stava riflettendo già sul tema da tempo, visto che sul tavolo aveva anche un altro caso, quello di una copia di Bolzano che voleva dare al figlio, nato fuori dal matrimonio, il cognome materno perché, in tedesco, suonava molto meglio di quello del padre. E due giorni fa la Consulta ha infine deciso: si può fare.
La Corte ha anche spiegato che d’ora in avanti “la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”. Quindi se ben interpreto, prima quello del padre e poi quello della madre.
Sono quindi incostituzionali tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi”. Inoltre specifica la Corte, sarà “compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione assunta”.
Un altro tabù che cade.
FONTI E ARTICOLI
#calciatrici
il Post – Fare la calciatrice in Italia sarà una professione
#bilancio di genere
Pressenza – Il Comune di Parma ha adottato il suo primo Bilancio di genere
Il Sole 24 ore – Bilancio di genere, fallita la prova della parità ripartiamo dal Pnrr
Ladynomics – Il lungo cammino del Bilancio di Genere in Italia
#cognomi
la Repubblica – Ai figli anche il cognome della madre, la svolta della Corte costituzionale
#Twitter
il Post – Cosa vuole fare Musk con Twitter
Everyeye – L’UE FRENA ELON MUSK SULLA LIBERTÀ DI PAROLA SU TWITTER: “SI, MA CI SONO DELLE REGOLE”
#ambasciata somala
la Repubblica – Colpo di Stato all’ambasciata della Somalia nel cuore di Roma: il nuovo diplomatico asserragliato da 20 giorni nella sede