3 Ott 2023

Tragedie dimenticate: la situazione in Libia, Marocco e Romagna, nel silenzio dei media – #803

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Che fine fanno le notizie quando smettono di essere notizie? Molto spesso i media si disinteressano anche delle peggiori tragedie, dopo un po’ di tempo, ma le difficoltà per chi le ha vissute continuano. Perciò in questa puntata cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Marocco dopo il terremoto, in Libia dopo il passaggio devastante del ciclone e in Romagna, dopo le alluvioni di maggio scorso. 

Che fine fanno le notizie quando smettono di essere notizie? Sembra una domanda un po’ marzulliana ma è un tema abbastanza centrale nel giornalismo. C’è una teoria nel giornalismo che si chiama Teoria dell’Agenda setting che dice che i media non hanno il potere di dirci cosa pensare delle cose, ma hanno il potere di dirci a cosa pensare, di costruire l’agenda delle cose su cui avere un’opinione. 

Siamo inconsciamente portati a pensare che tutte le cose importanti siano racchiuse nelle prime pagine dei quotidiani, nelle homepage dei giornali web, nei titoli dei Tg, e che se qualcosa non sta lì, significa che non è importante. Ma i giornali seguono anche altre logiche, che non sono solo quelle della rilevanza e interesse pubblico della notizia: seguono regole commerciali, inseguono vendite e click, per cui spesso hanno la memoria corta e le notizie una vita breve. 

Questa cosa è particolarmente evidente nel caso delle tragedie che coinvolgono molte persone. Alluvioni, nubifragi, incendi, terremoti. E lo è ancor di più quando queste tragedie riguardano paesi “sfigati”, che non ci interessano particolarmente perché lontani, o più poveri, o distanti culturalmente. Dopo pochi giorni i riflettori dei media si spengono, nessuno ne parla e noi iniziamo a pensare, irrazionalmente, che le cose siano tornate normali, mentre migliaia, a volte decine o centinaia di migliaia di persone, magari, restano per mesi o anni in sistemazioni di fortuna, o sono costrette ad abbandonare le loro regioni in attesa di ricostruzioni che non arrivano mai, interi paesi vengono smembrati fisicamente ma anche socialmente e così via.

Tutto questo “pippone” per dirvi, dirci, che anche se abbiamo smesso di leggere notizie dai due paesi colpiti da due enormi tragedie nell’ultimo mese, ovvero il terremoto in marocco e le inondazioni in Libia, la situazione è ancora drammatica. E allora vediamo come vanno le cose.

Partiamo dal Marocco. Non ho trovato niente di interessante in Italiano a parte un fotoreportage del Corriere a due settimane dal disastro. Ho invece trovato un articolo molto bello sul giornale web New Arab a firma della corrispondente dal Marocco Basma El Atti. 

Che scrive: “Due settimane dopo che un terremoto ha distrutto centinaia di villaggi marocchini, i marocchini continuano a percorrere le strette strade delle montagne dell’Atlante (l’Atlante è il nome della catena montuosa epicentro del sisma), portando donazioni e speranza per la popolazione devastata.

“Siamo tutti fratelli. Se non venissimo ad aiutarli. Chi lo farebbe? Abbiamo solo l’un l’altro”, ha detto Hassan, un autista marocchino, al New Arab.

Hassan, che è anche un membro di Raja Ultra, ha guidato per dieci ore con i suoi compagni Ultra per raggiungere Doaur Ouirgane, un piccolo villaggio incastonato tra le montagne tra Marrakech e Taroudanet, duramente colpito dal terremoto dell’8 settembre.

A pochi metri dalle macerie, gli abitanti del villaggio fanno a gara per servire il tè ai visitatori, una tradizione che, se saltata, può offendere la comunità indigena che attribuisce grande importanza all’ospitalità. “Vi prego di perdonarci. Avete attraversato questa strada per raggiungerci. Ora ne abbiamo abbastanza. Portate il resto in altri villaggi”, ha insistito un anziano salutando i volontari.

Orgogliosamente addobbato con i colori della bandiera marocchina, il camion ha percorso le strette strade per raggiungere un altro villaggio a Tizi N’test.

Percorrendo le strade tortuose che portano all’epicentro, si incontrano decine di giovani come Hassan e i suoi amici, marocchini di diversa provenienza. Alcuni hanno dovuto lasciare il lavoro per essere i primi soccorritori nei villaggi più remoti del Paese.

Le strade sono ancora pericolose; ogni scossa di assestamento provoca la fuoriuscita di rocce appuntite dalle montagne, fermando il tempo. Gli autisti lasciano i loro veicoli per incoraggiare i camion bloccati lungo la strada mortale con canti e preghiere. Fede, solidarietà e “Tamaghrabit” hanno trasformato uno dei giorni più bui del Marocco in una testimonianza di solidarietà.

Tuttavia, per molti marocchini, le metafore poetiche della solidarietà sono un tragico promemoria delle carenze dello Stato nel gestire una crisi nazionale. E qui l’articolo, che è molto lungo e bello, passa a raccontare l’altro lato della medaglia, ovvero come questa enorme e bellissima solidarietà stia colmando delle enormi lacune del governo. 

Su ordine del re, l’esercito marocchino è stato dispiegato il giorno successivo nelle zone montane devastate. Ma nonostante le vaste risorse dell’esercito, la natura del terreno ha sabotato tutte le missioni di soccorso. Il terremoto ha danneggiato molte strade, altre sono state bloccate da enormi massi e frane. 

La mancanza di buone infrastrutture ha peggiorato la situazione e la gente del posto ha tirato fuori i corpi a mani nude, mentre altri sono stati lasciati a decomporsi sotto le rovine. I volontari e gli abitanti dei villaggi vicini sono arrivati giorni prima delle autorità.

La lentezza della risposta dello Stato ha suscitato ampie critiche contro la mancanza di comunicazione del governo nei momenti di crisi e anche per la scelta del governo di non accettare molti aiuti proposti dalle nazioni straniere, se ricordate son ostati accettati solo le squadre di ricerca e soccorso di Regno Unito (UK), Qatar, Spagna ed Emirati Arabi Uniti (UAE), mentre le altre no, inclusa la Francia, storica alleata del Marocco. Le autorità marocchine hanno detto che la geopolitica non c’entra e che un aiuto mal coordinato avrebbe fatto più danni che altro. Un po’ il dubbio rimane. 

La domanda, ovviamente è: “Cosa succederà ora?” Gli abitanti delle zone terremotate dicono di aver sentito solo dei piani, ma di non aver visto nessuno dal governo nelle loro zone, né alcuna azione concreta. Si sentono abbandonati. E temono ovviamente l’inverno. Leggo: “Neve e pioggia ci sommergeranno presto”, ha detto Fadma, un’abitante del villaggio di Asni, a The New Arab.

Dopo questo racconto che ci ha calato nell’intimità della tragedia, vi do anche un po’ di freddi numeri, a quasi un mese di distanza. Leggo dall’ultimo report dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari: “Il terremoto dell’8 settembre 2023 in Marocco ha provocato 2.946 vittime e danni pari a circa l’8% del PIL nazionale. Le discrepanze tra le stime governative e quelle internazionali indicano che sono state colpite tra 3,8 e 2,8 milioni di persone, con un’area più ampia che ospita 6,6 milioni di residenti”.

“Si stima che lo sfollamento interno abbia raggiunto le 500.000 persone. I soccorsi hanno liberato vie di comunicazione vitali, tra cui l’area di Ighil nella provincia di Al Haouz, ma permangono problemi di accessibilità alle strade, soprattutto nelle aree più remote, ulteriormente aggravati dal deterioramento delle condizioni stradali e da potenziali problemi meteorologici. A fine settembre, mentre le strade principali di Al Haouz sono state riaperte, problemi come la congestione dei veicoli e le restrizioni ai voli hanno continuato a ostacolare gli sforzi di soccorso”.

Ultimo aggiornamento su questo: due giorni fa il FMI ha stanziato 1,3 miliardi di aiuti al Marocco per rafforzare le capacità di preparazione alle catastrofi naturali e stimolare il finanziamento dello sviluppo sostenibile in diverse città. 

Se del Marocco si parla poco, della Libia, in cui il passaggio del ciclone Daniel ha causato una tragedia ancora peggiore, direi che si parla niente, se non per questioni che riguardano altro, ovvero i migranti. 

Provo quindi a prendere informazioni un po’ qua e là per vedere se ricostruiamo un quadro un po’ più completo. La tempesta Daniel, ricordo, ha colpito la Libia orientale il 10 settembre e ha lasciato dietro di sé inondazioni e distruzioni diffuse soprattutto a Derna, città libica di quasi 100mila abitanti distrutta per almeno un terzo, dove le piogge torrenziali e il crollo di due dighe hanno inondato la città costiera, trascinando interi quartieri nel Mar Mediterraneo. Ma anche in una decina di altri centri i danni sono stati importanti.

Leggo sempre dal sito delle Nazioni Unite: La situazione del nord-est della Libia continua a essere fragile dopo le disastrose inondazioni del 10 settembre, con un bilancio di oltre 4200 morti (ma ci sarebbero anche oltre 9000 dispersi, su cui le speranze iniziano a essere quasi nulle), secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e oltre 40.000 sfollati, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Permane il bisogno di cibo, acqua, alloggi, assistenza sanitaria e supporto logistico per i sopravvissuti alle alluvioni, i senzatetto e gli sfollati.

Desta particolare preoccupazione la situazione dei bambini. Giovedì l’UNICEF, l’organizzazione per l’infanzia delle nazioni unite, ha avvertito che più di 16.000 bambini sono sfollati nella Libia orientale e c’è urgente necessità di assistenza psicosociale. E molti altri bambini sono colpiti a causa della mancanza di servizi essenziali, come la sanità, la scuola e l’approvvigionamento di acqua sicura.

Come ha dichiarato Adele Khodr, Direttrice regionale dell’UNICEF: “Il ricordo di ciò che è accaduto continua a perseguitare i loro sogni e i loro pensieri. Ora è il momento di concentrarsi sulla ripresa, anche sostenendo la riapertura delle scuole, fornendo supporto psicosociale, riabilitando le strutture sanitarie primarie e ripristinando i sistemi idrici. La tragedia non è finita e non dobbiamo dimenticare i bambini di Derna e Al Bayda”.

Il problema è che molte infrastrutture chiave hanno subito danni o sono state distrutte. Ad esempio Solo a Derna si stima che il 50% dei sistemi idrici sia stato danneggiato, incluse le reti fognarie. il che significa rischio altissimo che le persone bevano acqua non sicura o contaminata e quindi contraggano malattie trasmesse dall’acqua. E anche gli ospedali, come immaginerete, sono danneggiati o al collasso, quindi anche farsi curare non è semplice. 

Preoccupano anche le scuole: nella regione colpita, su 117 scuole, quattro sono state distrutte e 80 parzialmente danneggiate. Mentre molte delle scuole ancora in piedi vengono usate come rifugio per gli sfollati. 

Anche se su questo leggo un’Ansa di ieri che dice che “Pochi giorni fa il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibeh ha emesso un’ordinanza che stanzia circa 20 milioni di euro per ripristinare gli istituti scolastici danneggiati dalle inondazioni nella Libia orientale”, e anche che “Le scuole – ma non si specifica quali e quante – sono state riaperte nella città orientale libica di Derna”. leggo ancora: “ll Ministero dell’Istruzione libico ha affermato che gli studenti le cui scuole sono state danneggiate o distrutte dalle inondazioni saranno ospitati in altri istituti”, prevedendo anche “un programma di sostegno psicologico per gli studenti colpiti dalla tragedia e chiedendo che le scuole private di Derna accolgano gratuitamente tali alunni”.

In tutto ciò, a complicare ulteriormente le cose in Libia c’è il fatto del doppio governo, che rende più difficile coordinare aiuti e soccorsi, compresi quelli a livello internazionale. 

Se per caso volete dare una mano, potete fare una donazione alla mezzaluna rossa, che sarebbe il nome della Croce Rossa sia in Libia che marocco, oppure a InterSos, che opera in Libia. 

Chiudiamo con alcuni aggiornamenti su un fatto che ci riguarda più da vicino, ovvero le alluvioni in Emilia Romagna. Se per caso avete ascoltato la puntata speciale di INMR sul mese di agosto, quella solo per iscritti alla newsletter in cui io e il direttore Daniel Tarozzi commentiamo alcune notizie del mese appena trascorso, parlavamo di un video diventato virale in cui alcuni abitanti dell’appennino tosco romagnolo lamentavano la chiusura di un tratto della strada provinciale 33, una strada per loro vitale, soprattutto perché molti di loro sono agricoltori e devono portare i prodotti ai mercati o ai punti di distribuzione. Chiedevano, sostanzialmente, nemmeno che lo Stato gli risistemasse la strada, ma che almeno permettesse a loro di farlo.

Ecco, sembrerebbero esserci delle novità. Leggo sul Post che “Alla fine della settimana è prevista la riapertura della strada provinciale 33 a Fontanelice, che collega le province di Bologna e di Ravenna attraverso l’Appennino tosco romagnolo. Strada che era stata distrutta da una frana durante l’alluvione di metà maggio che ha interessato l’Emilia-Romagna, e che causato danni per miliardi di euro. Negli ultimi mesi gli abitanti del paese avevano diffuso diversi appelli per sollecitare l’inizio dei lavori di ripristino.

All’inizio di agosto, anche per via della notevole risonanza mediatica ottenuta dai video, il commissario per la ricostruzione Francesco Figliuolo aveva fatto un sopralluogo nella zona e sono arrivati i primi fondi per l’inizio dei lavori. 

Bene quindi. Peccato che, in ossequio alla legge dei media, seguita pedissequamente dalla politica, si intervenga laddove per qualche motivo si accendono i riflettori, e ci si scordi del resto. Molti altri paesi e territori infatti sono stati meno fortunati: secondo l’ultima ricognizione della regione ci sono ancora oltre 300 strade chiuse e moltissime altre in cui la circolazione è limitata.

Alla fine di maggio, una decina di giorni dopo l’alluvione, l’ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna aveva contato oltre mille frane in 54 comuni, 305 delle quali “significative”. A queste vanno aggiunti i piccoli smottamenti e i danni più lievi che avevano comunque reso più complicato il transito.

Dopo aver messo in sicurezza i ponti e le strade principali, le più trafficate ed essenziali per i collegamenti, durante l’estate le cose sono andate a rilento. La regione e i comuni hanno messo i primi soldi per i progetti di ricostruzione, ma da parte del governo ci sono stati diversi tentennamenti e ritardi sui fondi più consistenti destinati al ripristino delle infrastrutture.

Il governo ha approvato due decreti dedicati alle alluvioni in Emilia-Romagna: uno a inizio giugno, da circa 2,2 miliardi di euro – cifra che alcune analisi giornalistiche hanno ricostruito essere in realtà solo 1,6 miliardi – e uno a inizio luglio, da 2,7 miliardi di euro. Ai decreti, tuttavia, sono seguiti pochi provvedimenti concreti immediati per vari motivi, fra cui i ritardi nella nomina del commissario straordinario Francesco Figliuolo. 

Alcuni comuni hanno anticipato i soldi per i lavori più urgenti e molti privati sono già intervenuti per riparare i danni ad abitazioni, aziende o proprietà personali, anticipando i cantieri a proprie spese. 

L’impegno degli enti locali è stato essenziale anche per la sistemazione delle strade. Finora sono state riaperte 754 strade, il 51% delle 1.481 danneggiate in totale, di cui la maggior parte si trova in zone montuose o collinari. Le strade ancora chiuse sono 322.

Fra l’altro, oltre alle conseguenze causate dalla chiusura delle strade diverse persone devono fare i conti con la chiusura del tratto romagnolo della ferrovia faentina. Il tratto tra Faenza e Marradi, in Toscana, è stato sostituito da autobus, ma dall’inizio della scuola i mezzi sono quasi sempre pieni ed è complicato rispettare le coincidenze. E la riapertura della ferrovia non sembra alle porte: dai sopralluoghi più recenti risulta che ci siano 170 frane che rischiano di danneggiare i binari nel tratto da San Martino in Gattara a Fognano, nel comune di Brisighella. I disagi sono soprattutto per gli studenti delle scuole superiori sia del versante romagnolo che della zona dell’Alto Mugello.

Insomma, anche qui, finito l’interesse immediato, molte persone si ritrovano da sole a far fronte alle tante difficoltà della situazione. Abbandonate dalle istituzioni, ma anche dalla nostra solidarietà, che segue un po’ le luci dei riflettori mediatici. 

Quindi ecco, lo so che siamo tutti più propensi a fare qualcosa, ad attivarci, sull’onda delle emozioni del momento, ma cerchiamo di ricordarci che quando le nostre emozioni passano, quando le luci si spengono, le difficoltà per molte persone proseguono, e rischiano di sentirsi abbandonate.

In chiusura, e con il classico ritardo che mi contraddistingue, vi ricordo che venerdì scorso, come ogni venerdì, è uscita la terza puntata della nostra inchiesta del mese ligure sul rigassificatore di Vado Ligure. Questa volta Emanuela Sabidussi, dove averci spiegato cos’è un rigassificatore e a cose serve, ci introduce nel mondo oscuro e tenebroso del mercato del gas, per capire come si forma il prezzo del gas, in base a quali logiche – un tema di cui non si sente più parlare come prima, ma che è sempre sottotraccia – e qual è la situazione al momento. Davvero interessante.

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