5 Ott 2023

La tragedia del pullman a Mestre e il ruolo dei media – #805

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Cosa sappiamo del tremendo incidente di un autobus precipitato da un cavalcavia a Mestre? Quali sono le responsabilità? Come si stanno comportando i giornali? Parliamone. parliamo anche della strana storia del ricercatore minacciato di licenziamento perché non ha voluto prendere l’aereo, del governo che liberalizza la caccia negli stagni, dello speaker della camera Usa destituito per la prima volta nella storia, del nuovo e potenzialmente rivoluzionario sinodo della chiesa cattolica e infine della interessante iniziativa che si sta diffondendo in Belgio e Paesi Bassi di rimuovere il cemento per piantare alberi in città. 

Da ieri, quella dell’autobus caduto da un cavalcavia a Mestre è la notizia principale su praticamente tutti i giornali generalisti italiani. Si tratta di un fatto tragico in cui sono morte 21 persone e diverse altre sono rimaste ferite. Come spesso accade in questi casi, mi sono chiesto cos’è che fa notizia?

Mi spiego meglio. Da un punto di vista umano le tragedie sono tutte in qualche modo simili, nel senso che attivano le stesse parti del nostro cervello, attivano in noi determinate emozioni e sensazioni di paura, tristezza, empatia. Ma da un punto di vista giornalistico esistono due tipi di tragedie: quelle che sono solo il frutto di una serie sfortunata di eventi, e allora sì, ha senso raccontarle comunque, ma hanno un valore soprattutto emotivo e/o di attivare reti di solidarietà, oppure quelle da cui possiamo imparare qualcosa, perché magari nascondono negligenze, responsabilità precise, cose che potevano essere fatte diversamente e che possiamo apprendere per imparare nel futuro. 

Ad esempio, vi riporto un esempio citato da Taleb in antifragile, gli incidenti aerei, compresi gli attentati, hanno fatto sì che la sicurezza nei voli sia aumentata progressivamente di anno in anno, rendendo gli aeroplani uno dei mezzi più sicuri per viaggiare (qui non consideriamo il tema dell’impatto climatico, ovviamente). E quindi, ecco, mi sono chiesto: a quale tipo di tragedia appartiene questo evento? Cerchiamo di capirlo, partendo come al solito dai fatti.

Martedì sera a Mestre un autobus è caduto da un cavalcavia per una decina di metri: sono morte 21 persone, di cui tre minori fra i quali un neonato, e 15 sono rimaste ferite, di cui 8 in terapia intensiva e due in condizioni molto critiche. È un bilancio definitivo, dopo che i soccorritori hanno lavorato tutta la notte e anche buona parte della mattinata di ieri per estrarre i passeggeri dai rottami, quando tutti i corpi e i feriti sono stati recuperati e l’autobus è stato portato via.

La dinamica dell’incidente non è molto chiara. C’è un video, diffuso dalla Smart Control Room del Comune di Venezia e ripreso da molti giornali, in cui però l’autobus in questione si vede lontano e coperto da altri veicoli. Quello che sappiamo è che un autobus turistico che trasportava gli ospiti di un campeggio di Marghera stava percorrendo una rampa a due corsie di un cavalcavia, poco prima delle 20. Dal video sembra che il mezzo stesse andando molto piano, fosse quasi fermo quando ha sfondato il guardrail, precipitando per una decina di metri e finendo a terra su una strada vicino ai binari della linea ferroviaria che collega Mestre a Venezia, dove poi ha preso fuoco. 

Cosa abbia causato l’incidente non si sa ancora con certezza: la Procura di Venezia ha aperto un’inchiesta per capire cosa sia successo, e nelle prossime ore verranno analizzate le immagini delle telecamere di sorveglianza puntate sul cavalcavia. Nel frattempo la procura ha acquisito la scatola nera dell’autobus, che registra la velocità e i percorsi del mezzo. Nell’inchiesta, in cui per ora non ci sono indagati, si stanno verificando anche le condizioni dell’asfalto e del guardrail sfondato dall’autobus.

Dai primi rilievi non sono state trovate tracce di frenata sull’asfalto. Questo farebbe ipotizzare che l’autista dell’autobus possa aver avuto un malore e che sia stato questo il motivo dell’incidente. Al tempo stesso altri filmati riportati dalla polizia mostrerebbero le luci degli stop accendersi, quindi sembrerebbe aver frenato. Non è chiaro nemmeno perché l’autobus abbia preso fuoco al momento dell’incidente: forse ha urtato i cavi dell’alta tensione cadendo dal cavalcavia. ma anche qui alcuni filmati non pubblici sembrerebbero mostrare che ci siano state delle fiamme, ma non che l’autobus abbia preso fuoco. Anche perché l’autobus aveva una doppia alimentazione, elettrica e a metano, e se avesse preso fuoco le conseguenze sarebbero state probabilmente peggiori, avremmo assistito a un’esplosione.

Insomma, non c’è ancora quasi niente di chiaro sulle dinamiche, l’unico altro indizio fornito dai giornali riguarda lo stato del guardrail travolto dal mezzo: a quella velocità, molto bassa, un guardrail dovrebbe essere facilmente in grado di contenere un mezzo. Invece questo non l’ha fatto. Alcuni giornali parlando di guardrail arrugginito mentre Massimo Fiorese, ad de La Linea, l’azienda di trasporto che svolgeva il servizio per i turisti tra il camping di Marghera e Venezia, ha detto che sembrava una ringhiera.

Quindi potrebbe delinearsi, come concausa, anche uno scenario di incuria e mancato rispetto delle norme di sicurezza da parte dell’infrastruttura in questione. Ma è ancora presto per giungere a conclusioni. Non è invece presto per fare il solito bilancio su come i giornali stanno trattando la notizia. Ci sono decine e decine di articoli che raccontano il dolore straziante dei sopravvissuti che hanno perso i loro cari. Tante singole storie, in cui ho scelto di immergermi solo parzialmente, perché trasmettono un dolore atroce, genitori che cercano i figli tra le macerie e cose di questo genere. 

E allora di nuovo, forse, conviene fare una piccola riflessione sulle modalità con cui raccontiamo le tragedie, come giornalisti. Raccontare una singola storia ci fa inevitabilmente identificare con i protagonisti, apre i canali della nostra empatia, ci fa chiedere: cosa farei io al loro posto? Come starei? E può essere straziante. Le singole storie, nei casi delle tragedie di massa, vanno dosate con molta cura e attenzione, ed è sempre importante chiedersi: perché sto raccontando qualcosa? In alcuni casi l’empatia può essere un viatico per, ad esempio, gli aiuti umanitari, le donazioni, e allora può avere un senso (anche se la domanda su “fin dove possiamo/dobbiamo spingerci” resta valida). In altri, come questo, non ha un fine. Noi al momento non possiamo fare niente, e alle sfortunate vittime sarebbe servito magari un guardrail in buone condizioni più della nostra empatia. 

Ecco, credo che far troppo leva sui canali emotivi, soprattutto in mancanza di uno scopo sociale per tutto ciò, diventi facilmente speculazione. 

Sta facendo molto discutere – ad esempio il Guardian gli dedica un lungo articolo – la storia di un ricercatore sul clima italiano minacciato di licenziamento per essersi rifiutato di prendere l’aereo, per questioni, diciamo, di coerenza.

Come raccontano Damien Gayle ed Ajit Niranjan sul Guardian, Gianluca Grimalda, ricercatore sul clima e attivista ambientale che si rifiuta di volare per principio, è stato minacciato di licenziamento dall’Istituto tedesco di Kiel per l’economia mondiale, per cui lavora, per essersi rifiutato di tornare in Germania con poco preavviso dopo aver terminato il lavoro sul campo a Bougainville, nell’arcipelago delle Isole Salomone.

In pratica venerdì scorso a Grimalda è stato comunicato che se non fosse stato alla sua scrivania lunedì non avrebbe più avuto un lavoro a cui tornare. Grimalda invece era ancora in attesa a Buka Town, nell’isola di Bougainville, di imbarcarsi su una nave cargo per iniziare il suo viaggio di ritorno in Europa, dopo sei mesi di studi sull’impatto del cambiamento climatico e della globalizzazione sulle comunità della Papua Nuova Guinea.

Il ricercatore intende fare il viaggio di ritorno in Europa per 22.000 km interamente senza volare, viaggiando su navi cargo, traghetti, treni e pullman – un viaggio che, secondo le sue stime, richiederà due mesi, ma che farà risparmiare 3,6 tonnellate di emissioni di carbonio.

L’articolo è molto lungo e racconta delle ricerche di Grimalda nell’isola di Bouganville (che fra l’altro ha una storia incredibile, è la sede della cosiddetta rivoluzione delle noci di cocco, vi lascio sotto fonti e articoli un articolo che ho scritto anni fa su questo argomento), di come la PNG sia uno degli hotspot climatici globali, degli accordi fra il ricercatore e l’istituto, del fatto che avrebbe dovuto concludere prima le sue ricerche ma che ha fatto ritardo per via di un rapimento e del furto delle sue strumentazioni. E anche del fatto che secondo alcuni il diktat del suo posto di lavoro sarebbe parte di una ritorsione contro Grimaldo per aver preso parte alle proteste di scientist rebellion.

Comunque, qui non vorrei soffermarmi nemmeno troppo su chi ha ragione in questa storia, se il ricercatore o il datore di lavoro, ma vorrei farvi soffermare su un fatto. Fino a, che ne so, 5,6 anni fa una storia del genere non sarebbe nemmeno stata raccontata dai giornali, il ricercatore in questione sarebbe stato bollato come un pazzo o un esaltato e nessuno si sarebbe meravigliato di un suo licenziamento. Adesso, ne parla il Guardian, e buona parte dell’opinione pubblica si schiera al suo fianco, ritenendo che in piena crisi climatica un’azienda non possa costringere un suo dipendente a compiere un’azione dal grande impatto ecologico come prendere un volo intercontinentale. È un cambiamento culturale di cui forse non ci rendiamo pienamente conto, ma che è impressionante, anche come progressione.

Torniamo in Italia per una nuova puntata della rubrica “il governo odia il Pianeta”, rubrica che ci sta appassionando molto ultimamente perché devo dire che ogni giorno ce n’è una nuova. Ieri parlavamo del vincolo paesaggistico tolto alle foreste che potrebbe facilitare il disboscamento, oggi vi racconto di un altro emendamento al decreto Asset che allarga la possibilità di caccia negli stagni.

Vi leggo cosa scrive Alessandra Arachi sul Corriere della Sera: “I cacciatori potranno sparare di più, con meno vincoli e con un maggiore raggio di azione. Questo dice un articolo del cosiddetto decreto «Asset» approvato martedì in commissione al Senato che andrà in aula mercoledì per la sua approvazione. Una norma vivacemente contestata dagli animalisti e ambientalisti, una vasta gamma di sigle: Enpa, Federazione nazionale pro natura, Lac, Lav, Leidaa, Legambiente, Lipu-Birdlife Italia, Lndc animal protection, Oipa e Wwf Italia . Gli ambientalisti hanno spiegato con chiarezza: «Questa norma porta alla cancellazione della scienza e del parere dell’Ispra sui calendari venatori, la potestà delle regioni di decidere sui tempi di caccia ed ampliare le specie cacciabili, il raggiro del divieto europeo di usare le munizioni al piombo nelle zone umide».

Come ha riassunto il leader dei Verdi Angelo Bonelli si tratta di «un golpe» contro la natura che non si limita a favorire la caccia. «L’ emendamento prevede infatti di tagliare alberi senza autorizzazione, nei boschi, nei parchi, nei giardini e non risparmiando nemmeno gli alberi monumentali» (questa è la notizia di cui parlavamo ieri). I due emendamenti del decreto che favoriscono i quasi 500 mila cacciatori sono stati presentati dal senatore De Carlo, Fdi. «Questo Governo sta portando avanti un golpe contro la natura e gli animali, l’ennesimo favore alla lobby dei cacciatori. Ricorreremo in Europa», ha concluso il leader dei Verdi.

Continuiamo a parlare di politica ma cambiamo paese. parliamo di politica americana, perché negli Usa è successa una cosa senza precedenti. Come scrive il Post: “Martedì la Camera degli Stati Uniti ha approvato una mozione di sfiducia per rimuovere dal suo incarico lo speaker Kevin McCarthy, del partito Repubblicano. La mozione, che ha ricevuto 216 voti favorevoli e 210 voti contrari, era stata presentata da Matt Gaetz, che appartiene all’ala più radicale dei Repubblicani, quella che negli ultimi giorni aveva accusato McCarthy di avere collaborato con i Democratici per evitare il cosiddetto shutdown, la parziale chiusura delle attività del governo federale statunitense.

Se vi ricordate, ne abbiamo parlato, il governo usa ha rischiato di finire in shutdown, ovvero di chiudere i rubinetti della spesa pubblica, qualsiasi tipo di spesa, anche le matite della scrivania del Presidente, perché democratici e repubblicani non trovavano un accordo su quella che è una specie di legge di bilancio, per farvela semplice. Alla fine, proprio in extremis, si è trovato un accordo grazie alla mediazione di McCarthy (perché in questi casi è lo speaker della Camera che ha questo ruolo), accordo che fra l’altro taglia fuori gli aiuti all’Ucraina, ma tale accordo ha lasciato scontenti i repubblicani più oltranzisti, i trumpiani per intenderci. Che quindi hanno prima proposto e poi votato una mozione di rimozione per lo speaker.

Leggo: “McCarthy ha 58 anni, è deputato dal 2007 ed era stato eletto speaker, cioè di fatto presidente della Camera, nove mesi fa al termine di un lunghissimo stallo dovuto alle tensioni interne ai Repubblicani”.

A favore della rimozione di McCarthy hanno votato tutti i deputati Democratici e otto Repubblicani. Non è chiaro cosa succederà ora e c’è qualche disaccordo sulla procedura da seguire: McCarthy sarà sostituito da uno speaker temporaneo, che però non si sa quanti poteri avrà, fino a che non verrà eletto un nuovo speaker, con dei tempi da definire.

La rimozione di McCarthy è importante dal punto di vista politico, perché mostra come nel corso degli ultimi anni l’ala radicale dei Repubblicani abbia guadagnato sempre più potere, fino a diventare decisiva per la rimozione di uno speaker del proprio partito, ma non solo: è significativa in generale, perché è la prima volta negli Stati Uniti che i deputati alla Camera votano la rimozione del proprio speaker. 

Restiamo sul Post e continuiamo a parlare in un certo senso di politica, ma della politica di uno stato particolare, lo stato pontificio, o meglio della politica della religione cattolica. I momenti più importanti, in cui si discutono le politiche della chiesa, sono i Sinodi, assemblee di cardinali e vescovi presiedute dal Papa. I sinodi sono stati ufficialmente istituiti nel 1965, vengono convocati regolarmente ogni 3-4 anni e sono una specie di organo consultivo non vincolante di cui dispone il Papa.

Ecco. C’è una gorssa novità: come scrive il Post: “Tutte le riunioni dei capi della Chiesa cattolica, dall’embrionale Concilio di Gerusalemme del 50 d.C. fino al Sinodo sull’Amazzonia del 2019, hanno finora avuto una caratteristica comune. I partecipanti con diritto di voto sono stati invariabilmente uomini. Il Sinodo che inizierà la sua fase finale mercoledì 4 ottobre (ieri) sarà il primo a cui parteciperanno attivamente delle donne: per la precisione 54, su 365 membri totali dell’assemblea. Non sarà l’unica novità di questo Sinodo, definito da molti il più importante fra quelli convocati da papa Francesco, eletto nel 2013.

In realtà non è ancora chiaro se il Sinodo porterà a cambiamenti concreti nelle pratiche della Chiesa cattolica: ma è la prima volta che si discuterà esplicitamente di tutte le questioni che negli ultimi anni hanno diviso l’ala conservatrice da quella progressista (papa Francesco è vicino a quest’ultima). Il documento preparatorio dell’incontro, elaborato nel corso di due anni, si chiede in maniera molto esplicita come includere nella vita della Chiesa alcune persone che finora sono state tenute ai margini, come i divorziati e le persone LGBTQ+. 

Nel documento si ipotizza anche l’ammissione delle donne a una forma di sacerdozio, e la possibilità che i sacerdoti siano sposati, come già avviene in altre Chiese cristiane. L’ala progressista è a favore di tutti questi cambiamenti, mentre l’ala conservatrice è tendenzialmente contraria.

Non è ancora chiaro come sia possibile trovare una sintesi fra posizioni così diverse. Comunque, questo documento, frutto di due anni di lavoro, verrà discusso una prima volta dal 4 al 29 ottobre, poi i vescovi si esprimeranno a riguardo e le loro conclusioni saranno di nuovo discusse a tutti i livelli della Chiesa. Il documento finale con le conclusioni del Sinodo verrà compilato soltanto nell’ottobre del 2024, dopo una nuova assemblea finale di vescovi e laici.

Anche la presenza dei laici è una novità molto importante. Saranno 70, metà uomini e metà donne, e sono stati selezionati personalmente da papa Francesco. 

Ultimo elemento rilevante è che, continua l’articolo “Il grande non detto di questo Sinodo è che potrebbe essere l’ultimo organizzato da papa Francesco, quello cioè in cui potrà costruire la sua eredità politica e dottrinale. Avendo 86 anni, si trova in condizioni di salute sempre più precarie e a gennaio in un’intervista con Associated Press si è detto “aperto a considerare la possibilità di dimettersi, in futuro”.

Insomma, c’è tanto che bolle in pentola, e anche qui sembra che una forte ondata di cambiamento possa investire una delle istituzioni tradizionalmente più restie al cambiamento. È davvero molto interessante osservare cosa succederà.

Ultima notizia di giornata, la prendo da GreenMe, dove Rebecca Manzi racconta come “nei Paesi Bassi, da 4 anni, è in corso una campagna per la rimozione dei sampietrini e delle lastre di cemento, per far rifiorire il terreno e che da quest’anno l’idea è stata seguita dal Belgio.

Tutto è nato, mi pare di capire, perché l’articolo onestamente non è chiarissimo da una azione di protesta da parte di gruppi di cittadini a Rotterdam e ad Amsterdam, che hanno iniziato a rimuovere i sanpietrini, ovvero quelle piccoli cubi di pietra di cui sono tappezzate molte città, per far respirare e rifiorire il terreno sottostante.  

Questa azione, invece di essere ostacolata dalle autorità locali è stata incoraggiata e si è trasformata in una specie di gara – anzi innuna gara vera e propeia – Fra le due città a chi liberava più terreno da adibire a verde pubblico. Nella prima edizione, quasi 100.000 pietre di pavimentazione sono state strappate per essere sostituite da piante, alberi o arbusti”.

Dalle stime riportate dall’articolo, questa azione non ha un altissimo impatto nella lotta al cambiamento climatico, ma ha un impatto non indifferente sull’effetto isola di calore tipico delle città e soprattutto crea molta consapevolezza tra la gente. Attraverso piccole azioni intraprese collettivamente, i cittadini sono riusciti a ispirare decine di migliaia di persone ad agire.

Adesso, da qualche mese l’iniziativa di rimozione dei marciapiedi ha preso piede anche in Belgio, nelle Fiandre. Dal 21 marzo 2023 al 31 ottobre, la prima edizione è in pieno svolgimento nei 123 comuni delle Fiandre che hanno risposto all’appello, tra cui Bruges, Gand, Anversa e Lovanio. Sul sito web dell’evento è possibile seguire in diretta il numero di sampietrini rimossi, che ha toccato quota 1,2 milioni di sampietrini rimossi, che lasciano spazio a piante e alberi. Anche qui, sottolineo, fil rouge dell’intera puntata, come un’azione che fino a poco fa sarebbe stata condannata e ostracizzata, improvvisamente diventi motivo di vanto e di incoraggiamento per le istituzioni. Tutto cambia, molto velocemente. 

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