14 Mag 2024

Toti, i vaccini, le mascherine e la gestione “farsesca” della pandemia – #930

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Col passare dei giorni emergono nuovi dettagli sull’inchiesta che ha portato all’arresto del Presidente della Liguria Toti e di parte del suo entourage. L’ultimo caso è quello che riguarda una gestione piuttosto creativa della pandemia, con dati sui contagi gonfiati per ottenere più vaccini, mazzette ricevute in cambio di agevolazioni a strutture sanitarie private e – forse – uno strano giro legato a una partita da oltre 1 milione di mascherine. Parliamo anche del Parlamento del Belgio che ha inserito la tutela degli animali in costituzione, della storica vittoria dei socialisti in Catalogna e dello struggente addio del Venezuela al suo ultimo ghiacciaio. 

Passano i giorni e continuano a emergere nuove accuse legate all’arresto del Presidente della regione Liguria Giovanni Toti e di personaggi a lui vicini. Non ve le sto a raccontare tutte, ma ce ne sono due, uscite ieri sulla stampa, che mi sembrano interessanti perché ci danno uno spaccato di una gestione della pandemia fatta di un mix di pressappocaggine, cialtroneria, speculazioni e interessi personali. 

Ma vediamo prima i fatti. Toti, vi ricordo, è agli arresti domiciliari da martedì scorso accusato di aver preso tangenti in cambio di favori ad alcuni imprenditori. Ecco, le novità è che 1) sarebbe accusato anche di aver manipolato i dati della sorveglianza epidemiologica della pandemia di Covid per ottenere più vaccini e 2) ci sarebbe anche un’accusa di frode per un tentativo di vendere una partita gigantesca di mascherine.

Partiamo dalla questione vaccini. La procura ha intercettato alcune telefonate e conversazioni fra Toti e il suo capo di gabinetto, Matteo Cozzani, anche lui agli arresti domiciliari.

Siamo nel 2021 e in Liguria, come in altre regioni, c’erano state proteste per le lunghe code ai centri vaccinali. Leggo sul Post che “da poche settimane la campagna vaccinale era stata estesa da alcune categorie a tutta la popolazione, e in pochi giorni decine di migliaia di persone si erano presentate per ricevere la prima dose”. C’erano tre tipi di vaccino in circolazione ai tempi – Astrazeneca, Pfizer e Moderna – ma le regioni ricevevano quantità limitate di vaccini, inferiori rispetto alle richieste.

E allora dalla regione decidono di falsificare i dati dei contagi, per avere i vaccini più in fretta. Al di là di questo fatto, è la modalità che mi ha colpito: in pratica c’è un’intercettazione in cui Cozzani, capo di gabinetto, racconta del casino che avevano combinato lui e Toti. Una roba alla Totò e Peppino. Cozzani dice. In pratica Cozzani prende i dati dei contagi, li gonfia e li manda a Toti. Che a sua volta li alza e li invia al commissario per l’invio dei vaccini. E solo dopo si accorgono che li hanno truccati entrambi senza dirselo e c’è questa conversazione in cui si dicono “ma cazzo li avevo già truccati io”, “ma dimmelo prima no, che li ho truccati anche io”.

In un’altra conversazione sempre Cozzani discuteva con Filippo Ansaldi, all’epoca dirigente dell’azienda sanitaria ligure (ALISA), che poi sarebbe diventato direttore generale, e Barbara Rebesco, dirigente dell’azienda sanitaria. Anche qui c’è un passaggio in cui Ansaldi chiede ironicamente a Cozzani di inviargli i dati delle coperture vaccinali «stimati con tanta sagacia e precisione». E Cozzani rispone che i dati erano stati calcolati «con un sistema statistico abbastanza – diciamo – definito. Perché Toti li ha voluti in dieci minuti. Se vuoi te lo enuncia anche qual è il modello: a c…».

E così via. Poi c’è un’altra parte dell’inchiesta, sempre legata alla sanità, che invece riguarda i finanziamenti di alcune strutture sanitarie private ai comitati elettorali di Toti. Anche qui gli investigatori ipotizzano una dinamica simile a quella che sarebbe avvenuta con gli altri imprenditori dell’area portuale e dei supermercati: la giunta regionale elargisce favori a queste strutture, che in cambio fanno generose donazioni al comitato elettorale di Toti. 

E poi, appunto, c’è la questione delle mascherine. Gli investigatori hanno scoperto una presunta frode da un milione e 200mila euro sulle forniture sanitarie, in particolare le mascherine, anch’esse molto difficili da trovare nei primi mesi dell’epidemia. 

In pratica nell’agosto 2020, in piena pandemia, due soggetti monitorati e intercettati per un’altra questione, quella del voto di scambio mafioso da parte della comunità riesina di Genova, dove figurano diversi membri della criminaità organizzata del paese sociliano, a un certo punto parlano della possibilità di agganciare il consigliere regionale Cianci (indagato) per arrivare a Toti e cercare di piazzare la vendita di mascherine pediatriche: «..con Cianci se si arrivasse a Toti, per le mascherine, visto che abbiamo anche le mascherine da bimbo, adesso… sarebbe… sarebbe un bel colpo, eh?”, “perche ora le stanno cercando da fare paura, quelle da bimbo, guarda, mi stanno chiamando tutte le farmaci…. se agganciamo la Regione abbiamo fatto briscola e 21″».

In questo caso non è ancora chiaro se l’obiettivo sia stato raggiunto o se invece si sia trattato solo di un tentativo. Al momento Cianci risulta indagato solo nel filone del voto di scambio.

Comunque, il quadro che emerge da queste chiacchierate è un quadro a tinte davvero fosche. È shock economy applicata dalla politica. Approfittare dei disastri per portare avanti interessi personali. 

Devo dire che mi colpisce questa notizia, perché è vero che forse non il reato più grave fra quelli contenuti nel fascicolo su Toti e colleghi, ma riguarda un momento della nostra storia recente davvero molto difficile, in cui a ciascuno è stato chiesto di fare la sua parte, di rinunciare anche a un pezzetto di libertà per riuscire a uscire dalla pandemia. E vedere con quanta cialtroneria e malafede veniva gestito il tutto mi lascia abbastanza amareggiato.

Ora, non voglio cadere nel discorso qualunquista su “ah, i politici cattivi”. Qui parliamo di una serie di soggetti specifici con nomi e cognomi e non ho nessun indizio per dire che queste pratiche fossero diffuse anche altrove. Però mi viene da pensare che avremmo bisogno almeno di meccanismi di controllo più stringenti sulla nostra classe dirigente, e soprattutto in tempo reale. Perché la giustizia fra un gran lavoro quando tira fuori queste magagne, ma lo fa sempre a posteriori. Possiamo inventarci dei meccanismi di feedback più immediati che magari ci permettono di intervenire a danno in corso, e non a danno fatto e finito? Soprattutto quando è in gioco la salute delle persone, e quando le persone che speculano dal punto di vista economico sono le stesse che possono fare leggi per avvantaggiare i loro affari e non il bene comune. 

Il tutto ovviamente, mentre lavoriamo per cambiare modelli di governance.

Cambiamo argomento, parliamo di altri animali, perché c’è una notizia molto interessante che arriva dal Belgio. La da GreenMe, con Germana Carillo che racconta di come da pochi giorni “Il Belgio abbia compiuto un passo significativo nel garantire la tutela del benessere degli animali includendola nella propria Costituzione”. 

Un nuovo emendamento che modifica l’articolo 7 della Costituzione, approvato dal Parlamento federale belga con un ampio consenso, stabilisce che si debba assicurare la protezione e il benessere degli animali come esseri senzienti capaci di provare dolore e sofferenza.

In pratica alla fine dell’articolo 7 bis viene aggiunta la frase:

Nell’esercizio delle rispettive competenze, lo Stato federale, le Comunità e le Regioni assicurano la protezione e il benessere degli animali in quanto esseri senzienti.

Questa novità del Belgio segue l’esempio di altri paesi europei come Germania, Slovenia, Lussemburgo, la stessa Italia e l’Austria, che hanno già introdotto disposizioni costituzionali per la protezione degli animali. Ed è un segnale importante del crescente riconoscimento dell’importanza del benessere animale e della sensibilità nei confronti degli animali nella società contemporanea.

Certo, come possiamo osservare da noi, non basta un articolo in Costituzione per garantire la tutela dei diritti animali, ma inserirlo è comunque segnale di una consapevolezza culturale maturata negli anni non indifferente. 

Nel caso del Belgio, anche al momento dell’approvazione non sono mancate polemiche e controversie. Alcuni partiti politici si sono mostrati riluttanti ad approvarlo, temendo – o forse banalmente millantando, a fini elettorali – che potesse portare a restrizioni eccessive, come un divieto di consumare carne o uccidere insetti oppure ancora dare via a limitazioni per i cacciatori e gli agricoltori.

C’è stata anche una certa resistenza da parte delle aziende agricole, preoccupate per possibili implicazioni sul settore come il fatto che, in presenza di danni causati dagli animali selvatici alle coltivazioni agricole, l’incolumità degli animali potrebbe essere trattata prioritariamente rispetto alla tutela delle attività economiche.

Le sigle ambientaliste belghe invece hanno accolto con favore questa mossa, parlando di un passo storico per quel che riguarda la protezione degli animali, delle loro esigenze e dei loro diritti e la promozione di comportamenti più rispettosi nei loro confronti.

Comunque, in Belgio pare che sia molto vivo il dibattito sui diritti delle altre specie animali, e l’inserimento del benessere degli animali nella Costituzione è solo l’ultimo sviluppo di questo dibattito. Ad esempio nel 2020, il paese ha modificato il proprio codice civile per riconoscere gli animali come “esseri senzienti” anziché oggetti, segnando un cambiamento significativo nel modo in cui la legge considera e protegge gli animali. Seguiamo.

Domenica si è votato per rinnovare il parlamento in Catalogna, comunità autonoma della Spagna, e il risultato è stato abbastanza sorprendente. Il partito più votato infatti è stato il Partito Socialista Catalano (Che è una emanazione del Partito Socialista nazionale), ma soprattutto il dato più importante è che per la prima volta dal 2003 i partiti che chiedono l’indipendenza della Catalogna non hanno raggiunto la maggioranza, nemmeno sommando tutti assieme i propri voti.

Come spiega il Post, “Questo ha fatto parlare molti analisti e politici della fine, o quanto meno della crisi, del procés, parola che significa processo e che è il modo con cui, nel gergo politico spagnolo, si indicano i ripetuti tentativi da parte dei partiti secessionisti catalani di ottenere l’indipendenza, che culminarono nel referendum illegale del 2017”. 

In realtà i partiti indipendentisti sono ancora molto forti in Catalogna, e rappresentano una parte consistente ma non maggioritaria della popolazione catalana che vuole l’indipendenza dalla Spagna: di indipendenza, in Catalogna, si continuerà a parlare a lungo, ma è probabile che cambieranno i modi e gli argomenti.

Secondo diverse analisi uno dei vincitori di queste elezioni – oltre a Salvador Illa, il candidato Socialista – è stato Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo, che è stato il principale sostenitore di una politica del governo nei confronti della Catalogna basata sulla convivenza e non sullo scontro.

Sanchez ha anche di recente approvato la grazia ai leader indipendentisti che erano stati incarcerati a seguito del referendum del 2017 e l’amnistia a tutte le persone che hanno avuto problemi con la giustizia spagnola a causa del loro attivismo nel movimento per l’indipendenza. 

Nel frattempo ha adottato varie misure economiche e politiche per garantire una migliore convivenza tra Catalogna e Spagna, e fatto alcune concessioni alle richieste dei nazionalisti catalani.

Misure che in realtà sono state molto contestate in Spagna, con enormi manifestazioni supportate non solo da destra ma anche da parte dell’elettorato di sinistra. Ma alla fine sembra che la tattica di Sanchez abbia pagato. Che poi – a essere onesti – non credo si sia trattato di una tattica precisa, visto che Sanchez si è trovato a dover metter su un governo con l’appoggio esterno dei partiti indipendentisti, per poter governare. Ma tant’è.

Sembra che questa apertura alle istanze indipendentiste abbia in realtà disinnescato le frange e le richieste più estreme e abbia un po’ normalizzato e depotenziato tutto il movimento, che viveva fin qui proprio di contrapposizione verso la politica nazionale. 

Ora quello che succederà in Catalogna (ma non solo) dipende da quali forze riusciranno a formare un governo. Il primo indiziato è appunto Salvador Illa,leader dei Socialisti catalani. ma non sarà facile. Per ottenere la maggioranza nel parlamento regionale catalano sono necessari 68 seggi, e i Socialisti ne hanno 42. Potrebbero allearsi con ERC (partito indipendentista di centrosinistra) e con i Comuns, formazione non indipendentista di sinistra, e arrivare giusto a 68 seggi. Ma ERC ha appena subìto una grave sconfitta (è passato da 33 seggi a 20) e il suo leader, il governatore uscente Pere Aragonès, ha detto che il partito trascorrerà questa legislatura all’opposizione.

I Socialisti potrebbero anche fare un governo di minoranza con i Comuns, e cercare di provvedimento in provvedimento il sostegno degli altri partiti. Se invecei socialisti non riusciranno a formare un governo, si tornerà probabilmente al voto nei prossimi mesi, perché le destre, pur in crescita, non hanno possibilità di formare un governo.

Comunque, se Illa e i Comuns governeranno assieme, allora è probabile che il procés entrerà in una fase più moderata, e che la politica catalana si concentrerà sulla convivenza piuttosto che sull’indipendenza. Staremo a vedere. 

Chiudiamo con un addio, quello del Venezuela ai suoi ghiacciai. C’erano sei ghiacciai una volta in Venezuela, ma ad uno ad uno li ha persi tutti. Da pochi giorni la maestosa catena montuosa della Sierra Nevada de Mérida è stata testimone dell’ultima scomparsa: il ghiacciaio Humboldt, noto anche come La Corona è stato l’ultimo a soccombere alle temperature da record.

Siamo di nuovo su GreenMe ed è sempre Germana Carillo a raccontare come “Il Paese sudamericano abbia detto così definitivamente addio ai ghiacci”.

Come immaginerete, gli esperti attribuiscono questo rapido declino alle temperature record alimentate dal recente evento El Niño e lo declassano da ghiacciaio a campo di ghiaccio. Come ha affermato il climatologo Maximiliano Herrera “Altri Paesi hanno perso i loro ghiacciai diversi decenni fa, dopo la fine della piccola era glaciale, ma il Venezuela è probabilmente il primo a perderli nei tempi moderni”.

A niente sono serviti gli sforzi del governo, che in un disperato tentativo di salvare il ghiacciaio, aveva installato una coperta termica per prevenire un ulteriore scioglimento, esercizio che si è rivelato inutile.

E il Venezuela, ahinoi, è uno specchio di ciò che continuerà ad accadere da nord a sud. Secondo i climatologi la stessa sorte toccherà infatti abbastanza a breve anche a Indonesia, Messico e Slovenia, e per restare in Sudamerica a Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. 

Come sempre, però, ci sono dei risvolti non dico positivi, ma perlomeno utili da questa vicenda. Uno è che si tratta di un evento dalla portata simbolica importante, che può diventare un modo molto visibile e lampante di comunicare l’urgenza della crisi climatica in corso. Un altro è che può diventare un laboratorio in cui studiare come la vita si può adattare ai cambiamenti che il nuovo clima apporta agli ecosistemi di alta montagna.

Perché la perdita di La Corona segna la perdita di molto di più del ghiaccio stesso, segna anche la perdita dei numerosi servizi ecosistemici forniti dai ghiacciai, l’apporto idrico, gli habitat microbici unici e tante altre cose.

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