Sono diversi giorni che la questione del sommergibile Titan campeggia sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Se per qualche strana ragione vi informate solo attraverso INMR magari non lo sapete, perché fin qui per scelta non ne abbiamo mai parlato. Non ne abbiamo parlato perché non mi sembrava una notizia particolarmente importante, al di là della tragedia umana. Ma visto l’enorme clamore che ha suscitato, forse qualche domanda possiamo farcela. Come al solito però lasciate che vi riassuma il tutto.
La storia è quella di un gruppo di persone che salgono a bordo del sommergibile Titan per fare una gita al relitto del Titanic. Un biglietto per questa gita domenicale costa la bellezza di 250mila euro, quindi si capisce che le persone a bordo non sono esattamente gente qualsiasi. Sono tendenzialmente multimilionari.
Solo che a un certo punto qualcosa presumibilmente va storto e del sommergibile si perdono le tracce. Partono le ricerche ma non danno i risultati sperati. Anche perché parliamo di una profondità di quasi 4mila metri, un luogo dove l’oceano profondo è completamente buio. È una corsa contro il tempo perché la società che ha prodotto il sommergibile stima che nell’abitacolo ci sia ossigeno sufficiente fino alle 13 di giovedì (ora italiana).
Nella mattinata di mercoledì erano stati captati alcuni rumori sott’acqua che avevano indotto la Guardia Costiera statunitense in collaborazione con quella canadese a estendere e intensificare le ricerche, anche se non è effettivamente possibile stabilire con certezza se quei suoni provenissero effettivamente dal Titan.
Poi ieri sera sul tardi è arrivata la notizia che sono stati trovati i detriti del sommergibile sul fondale dell’oceano, il che conduce all’ipotesi di una implosione, dovuta alla fortissima pressione esterna.
Comunque, in questi giorni ho incontrato approfondimenti di ogni tipo. Da principio molti articoli si sono concentrati sulle tecniche usate per la ricerca, ad esempio delle boe sonar in grado di inviare delle onde sul fondale marino e quindi captare la presenza di eventuali corpi estranei. Oppure di robot, o navi con camere iperbariche, o aeroplani. Un dispiego di forze enorme.
Poi c’è stata la questione della sicurezza, nel senso che a un certo punto sono emerse una serie di criticità legate alla sicurezza del mezzo, già note da tempo. OceanGate, l’azienda che ha prodotto il sottomarino Titan non avrebbe mai sottoposto il mezzo a un processo di certificazione, cosa non obbligatoria ma diciamo fortemente consigliata se devi andare a 4km di profondità.
L’altro tema, come racconta un articolo su Rolling Stone, riguarda un contenzioso legale: OceanGate ha intentato una causa contro David Lochridge, il suo ex direttore delle operazioni marittime, che ha perso il lavoro presso l’azienda nel gennaio del 2018dopo aver presentato un rapporto molto severo e puntuale al board aziendale, lamentando numerosi problemi di sicurezza.
Fra l’altro, parentesi mia, ogni volta che succede un disastro, ma davvero ogni singola volta, emergono dei problemi di sicurezza pregressi. In Italia così come nel resto del mondo. Il che mi fa pensare che ogni singola azienda al mondo o quasi abbia dei problemi di sicurezza. Forse dovremmo farci due domande sugli standard che mettiamo e sulle procedure che abbiamo immaginato per farli rispettare.
Da ultimo, via via che si affievolivano le speranze di ritrovare il sottomarino con persone vive al suo interno il tono dei giornali è cambiato e sono iniziati a circolare racconti più personali, più somiglianti a dei necrologi, su chi erano i passeggeri del veicolo. Nello specifico si tratta del miliardario britannico Hamish Harding, del magnate pakistano Shahzada Dawood e suo figlio Suleman, anch’essi di cittadinanza britannica, dello stesso Ceo dell’azienda OceanGate, Stockton Rush, e dell’operatore francese Paul-Henri Nargeolet, che pilotava il sottomarino scomparso, aveva partecipato all’immersione della scoperta del relitto del Titanic, nel 1987 ed è, o era, considerato uno dei maggiori esperti del relitto al mondo.
Ma ci sono anche racconti paralleli, tipo sliding doors, come ad esempio quello del miliardario Chris Brown, 61 anni, che aveva pagato il deposito per intraprendere il viaggio ma alla fine ha deciso di non partire.
Comunque, tutto questo per dirvi che di questa storia si è parlato e si sta parlando tantissimo, e soprattutto in tutto il mondo. Letteralmente tutto il mondo, più del conflitto in Ucraina. Ora la mia domanda è: perché? E vi dico, la prima cosa che mi è venuta in mente è un’altra immagine,anzi più di una, di altre tragedie in mare, con protagonisti molto diversi. Mi riferisco ad esempio alla recente strage a lago del Peloponneso in cui hanno perso la vita non 5, ma realisticamente circa 700 persone. Non che non se ne sia parlato, intendiamoci, ma sicuramente molto meno, e in maniera confinata ai paesi più direttamente interessati.
Come mai una disparità di trattamento così evidente di fronte a due tragedie che, almeno a livello di numeri di persone morte lo sono nel senso opposto? la prima risposta, più immediata, che mi è arrivata, un po’ di pancia e quasi rabbiosa è stata: “certo, quelli sono miliardari mentre gli altri morti di fame”
Ma visto che in genere cerchiamo di andare oltre le risposte facili e di pancia, mi sono sforzato di pensare a tutte le possibili motivazioni che giustificano questo trattamento differente. Provo a farvi un elenco, poi mi dite se secondo voi mi sono scordato qualcosa:
- Innanzitutto c’è una questione non so come dire del mistero. Un sottomarino con cinque miliardari a bordo che scompare mentre sta andando ad esplorare il Titanic sembra la trama di un romanzo, più che una storia vera, e questo contribuisce a rendere questa storia in qualche forma affascinante, al netto del dramma;
- Poi c’è la questione del Titanic, che già di per sé è un argomento che da sempre affascina e fa notizia, a maggior ragione se si lega a una faccenda che assume un valore quasi simbolico, quasi metanarrativo. Un naufragio nel naufragio.
- C’è la questione della ricerca: il fatto che ci sia una ricerca in corso, raccontata minuto per minuto, da un senso di tensione, di volersi aggiornare per scoprire come va a finire, di nuovo come in un romanzo
- Poi c’è la questione del fatto che queste persone sono miliardarie, che ovviamente sì, credo che faccia molta differenza, ma in due direzioni opposte. Da un lato c’è il fatto che sono persone dalle cui scelte e dalla cui vita dipendono molte altre persone. Sono in cima alla piramide sociale della nostra società verticistica, il che può non piacerci ma è così, almeno al momento. Dall’altro c’è anche un sottile e inconfessabile piacere, che la stampa solletica, nel raccontare le sventure di persone così ricche, che (nel luogo comune) hanno tutto dalla vita e che in qualche modo pagano il conto della loro ricchezza. Concetto terribile, ma che credo sia presente un po’ nel mix di ingredienti che stanno facendo il successo di questa storia.
- Infine sì, credo che ci sia anche un elemento di ingiustizia sociale. Viviamo in una società in cui la vita di una persona molto ricca vale più di 700 vite di poveracci. E questo non lo vediamo solo dalla presenza sulla stampa, ma anche dalle enormi risorse economiche impiegate per il salvataggio, mentre quelle 750 persone che viaggiavano sul peschereccio greco sono state ignorate, forse persino strattonate e fatte ribaltare, da chi avrebbe dovuto soccorrerle.
Insomma, credo che ci siano tutti questi elementi all’interno di questa storia. Scrivetemi nei commenti cosa ne pensate.
Sul Guardian Tzeporah Berman scrive delle parole che in un altro contesto potremmo definire incendiarie, in questo forse è un po’ fuori luogo. Perché parliamo di incendi, incendi in Canada. Ve ne leggo alcuni estratti. “Il Canada – scrive – è in fiamme da costa a costa. Migliaia di persone sono state evacuate, milioni di persone sono esposte all’inquinamento atmosferico, New York è arancione e persino i titani di Wall Street stanno soffocando.
Le inondazioni catastrofiche in Pakistan, i cicloni che si sono susseguiti nelle isole del Pacifico e la siccità in Africa non sono stati sufficienti a creare un punto di svolta per l’azione. Ora che gli impatti climatici hanno colpito la capitale economica del potere occidentale, spronerà i governi del Nord globale a fare sul serio?
La mancanza di conoscenze scientifiche sul cambiamento climatico non è un ostacolo. E nemmeno la mancanza di alternative energetiche più pulite, sicure ed economiche. L’IPCC lo ha detto l’anno scorso: l’ostacolo è costituito dagli interessi delle aziende del fossile che antepongono i loro profitti alla nostra sicurezza.
A livello internazionale, le grandi compagnie petrolifere hanno invaso i negoziati sul clima per decenni. Il risultato? L’accordo di Parigi non contiene nemmeno le parole combustibili fossili, petrolio, gas o carbone. E oggi siamo sulla buona strada per produrre entro il 2030 il 110% in più di petrolio, gas e carbone di quanto il mondo potrà mai bruciare, o brucerà noi. Se vogliamo gestire il declino della produzione di combustibili fossili in modo equo e corretto, è necessario che i nostri governi si oppongano alle grandi compagnie petrolifere e inizino a negoziare un nuovo accordo internazionale sui combustibili fossili che integri l’accordo di Parigi.
In patria, mentre il fumo si avvicinava, il primo ministro Justin Trudeau ha promesso di fare tutto il necessario per mantenere le persone al sicuro. Ma Ottawa ha appena sostenuto un’altra garanzia di prestito per il gasdotto Trans Mountain. “Qualsiasi cosa”, tranne che affrontare le industrie che alimentano le fiamme. Lo stesso atteggiamento – “dobbiamo agire sul cambiamento climatico, ma la mia espansione dei combustibili fossili va bene” – è vivo e vegeto a sud del nostro confine, dove Biden ha recentemente approvato il progetto Willow e altri ancora.
Per oltre cinque decenni, le compagnie petrolifere e del gas hanno confuso la verità e bloccato il progresso. Hanno speso milioni in campagne di pubbliche relazioni per convincere il pubblico che l’espansione dei combustibili fossili è sicura, ragionevole e inevitabile e che le alternative sono problematiche e inaffidabili. Sta funzionando. I canadesi sono allarmati per il cambiamento climatico, ma sono in gran parte inconsapevoli del fatto che la maggior parte dei combustibili fossili canadesi sono stati utilizzati per la produzione di energia.
Questi messaggi e coloro che li diffondono hanno un impatto sulla politica. Il Canada sovvenziona il petrolio e il gas più di qualsiasi altra nazione del G20, con una media di 14 miliardi di dollari all’anno tra il 2018 e il 2020. Ma gli impegni a zero delle compagnie dei combustibili fossili non hanno senso e dobbiamo smettere di fingere di poter negoziare con loro. Dobbiamo iniziare a regolamentarle.
I governi devono rappresentare noi, non i profittatori dei combustibili fossili. Abbiamo bisogno di piani per eliminare gradualmente la produzione e le emissioni di combustibili fossili. Piani che includano protezioni e sostegno per le comunità e i lavoratori che dipendono da petrolio, gas e carbone.
Ma questo non basta. I ricchi Paesi produttori di combustibili fossili come il Canada devono sostenere i Paesi del Sud del mondo a partecipare alla transizione verso l’energia pulita, in modo che questa possa avvenire in modo rapido ed equo. Petrolio, gas e carbone ci stanno bruciando. Politicamente e ora letteralmente. Ecco perché 101 premi Nobel e oltre 3.000 scienziati chiedono un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. Sei Paesi e 84 governi subnazionali lo hanno già approvato. È ora che anche il vostro salga a bordo”.
Scusate se mi sono soffermato un po’ a lungo nella lettura, ma ho trovato questo articolo molto diro ma anche stimolante. In genere storco sempre il naso quando vedo additare un unico colpevole, e so che il cambiamento climatico è un problema di tutto il sistema. Al tempo stesso, è vero che l’unica trattativa possibile con le aziende del petrolio e dei fossili è quella in cui loro smettono di estrarre e lavorare petrolio, gas e carbone. Non possiamo più ragionare in termini di compromessi, riduzioni, passi graduali, e intanto continuare a finanziarle. Certo, dobbiamo preoccuparci sicuramente di non lasciare persone senza un lavoro o meglio senza un reddito o l’accesso ai servizi essenziali, ma quello è un altro problema. per quanto riguarda le aziende del fossile, così come molte altre aziende inquinanti, dovremo accettare il fatto che non possiamo più permettercele, e chiuderle.
Sono passati un po’ di giorni ma credo sia comunque interessante parlarne. Lunedì è andata in onda una puntata di Report con un lungo servizio sull’attività imprenditoriale di Daniela Santanchè, politica di lunga data e attuale ministra del Turismo.
L’inchiesta, firmata da Giorgio Mottola, riporta una serie di testimonianze di dipendenti delle aziende di Santanchè che la accusano di essere stata in sostanza una pessima amministratice, di aver imposto la cassa integrazione a un’impiegata senza avvisarla e facendola comunque lavorare, e in generale di una gestione poco accorta che ha portato in crisi le aziende in suo possesso.
L’inchiesta di Report si concentra in particolare sulla gestione di due società, Ki Group e Visibilia. La prima tra il 2018 e il 2019 avrebbe accumulato debiti con i fornitori che a un certo punto sarebbero arrivati fino a 8 milioni di euro. La situazione economica sarebbe stata così precaria che Ki Group aveva difficoltà a farsi approvare i bilanci annuali, per cui venne creata una nuova società – Ki Group srl – per incorporare i rami in attivo e lasciare i debiti alla società originaria, Ki Group spa. I mancati pagamenti ai fornitori mandarono in crisi un’azienda fornitrice in particolare, AT&B, che produce tra gli altri il marchio Verde Bio: secondo Report Ki Group avrebbe approfittato di questa crisi e AT&B sarebbe stata costretta a cedergli in affitto il ramo d’azienda di Verde Bio per una cifra molto vantaggiosa.
Nei vari passaggi societari ci furono licenziamenti e alcuni dipendenti dicono che stanno aspettando ancora il trattamento di fine rapporto (tfr), quella somma che spetta in qualsiasi caso a un lavoratore quando cessa un rapporto di lavoro. Le testimonianze raccolte da Report parlano di debiti nei confronti dei dipendenti di decine di migliaia di euro ciascuno.
Inoltre Santanché e Canio Mazzaro avrebbero gestito il patrimonio di Ki Group in maniera poco trasparente, pagando per esempio a Mazzaro un appartamento a Milano dal costo di 100mila euro all’anno registrato come «ufficio di rappresentanza».
La situazione di Visibilia non sarebbe molto diversa. Un ex dipendente dell’azienda ha raccontato in forma anonima che un’altra dipendente sarebbe stata messa in cassa integrazione “a zero ore”, quindi senza obbligo di lavorare, ma nonostante questo nessuno l’aveva avvertita e la dipendente ha continuato a farlo. Se la testimonianza trovasse ulteriori riscontri sarebbe un reato, per la precisione truffa ai danni dello Stato.
La concessionaria pubblicitaria fa parte di un gruppo in cui c’è anche Visibilia Editore, che pubblica settimanali e mensili tra cui Visto e Novella 2000, e Visibilia srl a cui sarebbero state pagate diverse consulenze tecniche da Visibilia Editore; l’inchiesta di Report sostiene che la concessionaria pubblicitaria abbia incassato i soldi delle inserzioni dei giornali dell’editore e poi non li abbia versati all’editore stesso, accumulando un debito di 2,1 milioni di euro. Tutti i giornalisti impiegati nelle riviste del gruppo nel frattempo erano stati licenziati nel 2017.
Santanchè non è più la principale azionista del gruppo dall’inizio del 2022, ma i fatti raccontati risalgono agli anni precedenti. Inoltre la cosa che ha sollevato un certo scandalo è che durante la pandemia Santanchè aveva si era vantata, nell’attaccare il governo, di essere vicina ai suoi dipendenti: una volta disse di aver anticipato la cassa integrazione nelle sue aziende con i suoi soldi, circostanza smentita dalle ex dipendenti di Ki Group sentite da Report.
Non è che ci sia molto da commentare, eh. Però mi fa riflettere leggere notizie di questo genere, e mi fa riflettere ancora di più da quando con Italia che Cambia abbiamo aperto una cooperativa diventando, di fatto, degli imprenditori. Mi fa riflettere come sia più semplice, spesso, aggirare le regole, fare magheggi finanziari, aprire e chiudere aziende come se fossero barattoli, con alle spalle magari un’influenza politica, giocando con la vita delle persone. Di quanto sia più facile ma anche più squallido, e alla fine spesso non paghi.
E di quanto invece sia incredibilmente più ricco e stimolante provare a fare le cose in un modo in cui tutto abbia un senso, in cui le persone non siano un banale mezzo. Che è difficilissimo, pieno di ostacoli, pieno di sfide impegnative e a volte scelte dolorose, e ce ne stiamo rendendo conto settimana dopo settimana. È facile cadere negli errori, negli automatismi. È un percorso. Però è anche molto bello.
Voi ricordatevi che se volete far parte in modo un po’ più strutturato di questo percorso, di questa sorta di famiglia a geometrie variabili che è ICC, potete abbonarvi, e accedere così non solo ai contenuti premium ma anche alla possibilità di fare riunioni online in cui confrontarvi con noi su qualsiasi cosa. Se non vi abbonate dopo questo discorso non avete un cuore, ve lo dico.
#Titan
Rolling Stone – I problemi di sicurezza del sottomarino Titan erano noti da anni
il Messaggero – Sottomarino disperso, il miliardario che si è ritirato pochi giorni prima di partire: «Controlli di sicurezza in stile Playstation, c’erano troppi rischi»
#incendi
The Guardian – Canada is on fire, and big oil is the arsonist
#Santanché
il Post – L’inchiesta sull’attività imprenditoriale di Daniela Santanchè