15 Set 2023

Superati 6 limiti planetari su 9. Speciale scienza – #792

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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I limiti planetari o planetary boundaries, sono uno dei concetti più interessanti e anche – spesso le due cose vanno insieme – meno conosciuti da un punto di vista ecologico. Per la prima volta sono stati misurati tutti e 9 i limiti planetari e i risultati non sono rassicuranti (ma questo lo sapevamo). Parliamo anche di fisica, con le crepe che stanno emergendo nel modello standard, della missione lunare dell’India, del progetto cinese di scavare un buco profondissimo e infine di LK-99 il superconduttore che superconduttore non è.

Allora, oggi, come avrete intuito, vorrei fare una carrellata di notizie legate a scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, perché è stato un agosto piuttosto bollente (anche) da questo punto di vista.

Partiamo dalla questione dei limiti planetari. Se seguite INMR magari li avete sentiti dire perché io li nomino spesso, altrimenti è probabile che non li conosciate, anche se siete persone attente alle questioni ecologiche. 

Eppure i planetary boundaries sono uno dei concetti più interessanti dal punto di vista ambientale, perché sono un concetto dinamico, che tiene conto della complessità degli ecosistemi terrestri e ci aiuta a vedere la terra come un unico organismo vivente. 

In pratica, con PB si intendono 9 dinamiche interne agli ecosistemi che dovremmo tenere sotto controllo e non alterare troppo se vogliamo continuare ad abitare questo pianeta. Vi dico quali sono:

  • Cambiamento climatico (divisa a sua volta in due sottoindicatori: concentrazione di CO2 + forzante radioattivo, ovvero un indicatore che ci dice il saldo dell’energia che entra ed esce in atmosfera)
  • Le nuove entità, ovvero le nuove sostanze chimiche 
  • Assottigliamento dell’ozono stratosferico (quello che comunemente chiamiamo buco dellìozono)
  • Carico di aerosol atmosferico o particolato (ovvero l’insieme di microparticelle sospese in atmosfera, che possono essere polveri sottili, polvere, fumo, quello che chiamiamo inquinamento e che influenzano la formazione delle nuvole, i modelli di circolazione atmosferica e la quantità di radiazione solare riflessa o assorbita dall’atmosfera)
  • Acidificazione degli oceani
  • Cicli biogeochimici (in particolare di azoto e Fosforo)
  • Ciclo dell’acqua dolce (diviso in acqua blu, ovvero quella visibile, di fiumi e laghi, e acqua verde, quella trattenuta da suoli, alberi, piante, erba).
  • Cambiamenti nel suolo
  • Integrità della biosfera (ovvero, semplificando, lo stato della biodiversità, a sua volta suddivisa in mantenimento di una biodiversità genetica, e di una funzionale)

Per ciascuno di questi elementi il Centro per la resilienza di Stoccolma, che è il centro studi che ha ideato i PB nel 2009 e che continua a produrre materiale a riguardo, ha definito una safe operating zone, una zona di sicurezza delimitata da alcuni valori in cui possiamo muoverci abbastanza comodamente. Se non superiamo certe soglie nel modificare questi flussi, stiamo tranquilli, altrimenti aumenta il rischio che l’intero sistema vada fuori controllo, generando effetti a catena imprevedibili.

All’inizio, nel 2009, Lo SRC aveva pochi dati a disposizione e solo di alcuni di questi 9 limiti planetari avevano una rappresentazione realistica di come eravamo messi. Ad esempio sul clima avevamo fin da subito molti dati, ma sulle nuove entità chimiche molti meno. E cos’ via.

Ieri per la prima volta il centro di ricerca ha comunicato al mondo di avere dati a sufficienza su tutti e 9 gli indicatori. Cosa ne emerge? La risposta breve è “un discreto casino”. nel senso che 6 limiti su 9 risultano abbondantemente superati.

Leggo dal sito dello SRC: “Questo aggiornamento sui confini planetari mostra chiaramente un paziente che non sta bene, poiché la pressione sul pianeta aumenta e i confini vitali vengono violati. Non sappiamo per quanto tempo potremo continuare a trasgredire questi confini fondamentali prima che le pressioni combinate portino a cambiamenti e danni irreversibili”, afferma Johan Rockström, che è di fatto l’ideatore di questo schema. 

Leggo più avanti. “Sebbene il superamento di un confine non equivalga a cambiamenti drastici che avvengono da un giorno all’altro, insieme segnano una soglia critica per l’aumento dei rischi per le persone e gli ecosistemi di cui facciamo parte”. 

L’autrice principale Katherine Richardson, docente di oceanografia biologica e leader del Sustainability Science Centre dell’Università di Copenaghen, spiega ulteriormente:

“Possiamo pensare alla Terra come a un corpo umano e ai confini planetari come alla pressione sanguigna. Un valore superiore a 120/80 non indica un infarto certo, ma aumenta il rischio e, quindi, lavoriamo per ridurre la pressione sanguigna. Il limite per l’assottigliamento dell’ozono è stato superato negli anni ’90, ma grazie alle iniziative globali, catalizzate dal Protocollo di Montreal, questo limite non viene più superato”. 

Gli aspetti di più recente quantificazione sono l’aerosol atmosferico e le nuove entità chimiche. Nel caso del carico di aerosol atmosferico, il confine non è ancora stato superato, ma l’aumento della pressione è evidente in vaste regioni dove l’inquinamento da particelle atmosferiche ha un impatto sui sistemi monsonici. 

Invece il confine delle nuove entità chimiche è stato superato. Esso comprende l’introduzione e l’accumulo di tutti i nuovi composti chimici creati dall’uomo, come le microplastiche, i pesticidi e le scorie nucleari. 

Anche il confine dell’acqua dolce è stato aggiornato e ora riguarda sia l’acqua verde (acqua invisibile, trattenuta dal suolo e dalle piante nelle fattorie, nelle foreste, ecc.) sia l’acqua blu (acqua visibile nei fiumi, nei laghi, ecc.) – con entrambi i confini che sono violati. 

Complessivamente gli unici indicatori che sono all’interno della zona di sicurezza sono quelli relativi all’inquinamento o aerosol atmosferico, al buco dell’ozono e all’acidificazione degli oceani. Il fatto che stiamo dentro ai limiti non vuol dire che possiamo fare come ci pare eh. Sennò è un attimo che superiamo anche quei limiti lì. Semplicemente quei valori lì possiamo considerarli normali. Così come il fatto che altri siano fuori controllo non significa che non possano rientrare. 

In questo senso il caso dell’ozono è utile da ricordare. Il limite per l’impoverimento dell’ozono è stato superato negli anni ’90, ma grazie alle iniziative globali, catalizzate dal Protocollo di Montreal, questo limite non viene più superato.

Comunque basta che googlate planetary boundaries e mettete Immagini per capire meglio il quadro.

Complessivamente, osservare il quadro dei limiti planetari ci da una visione molto più complessa della crisi ecologica in atto, che va ben oltre il cambiamento climatico. Come afferma la ricercatrice Sarah Cornell, “Il quadro dei confini planetari aiuta gli scienziati a tracciare e comunicare come queste crescenti pressioni stiano destabilizzando il nostro pianeta. La Terra è un pianeta vivente, quindi le conseguenze sono impossibili da prevedere. Per questo motivo stiamo lavorando sempre di più con i politici, le imprese e la società in generale per cercare di mitigare le pressioni su tutti i confini”.

Da un modello che si completa a uno che sembrava completo e forse invece non lo è.

Sapete che cos’è il modello standard? Probabilmente il nome vi dice qualcosa, ma da qui a darne una definizione, eh? In realtà il modello standard è uno dei concetti più importanti della fisica, perché è, diciamo, l’elenco di tutte le particelle elementari conosciute e delle forze conosciute nell’universo. È come se fosse l’alfabeto e la grammatica del nostro universo, con il quale si costruisce qualsiasi cosa. Mica una roba da niente. 

Perciò capite che quando si scoprono delle novità che vanno a modificare, ad integrare oppure a mostrare delle crepe nel modello standard, in fisica questa notizia è super interessante. L’ultima volta che questa cosa è successa è stata con la scoperta del Bosone di Higgs, la particella che abilita le altre particelle ad avere una massa.

Perché questo preambolo? Perché ci sono dei segnali interessanti che sembrano mostrare delle incongruenze nel modello standard. Non siamo ancora nella situazione di annunciare nuove scoperte, ma in genere quando i fisici osservano qualcosa che si disallinea dalle previsioni è un preludio a probabili nuove scoperte. Quindi parliamone.

In pratica, come racconta Andrea Aparo von Flüe Fisico, docente universitario a Roma, sul Fatto Quotidiano, le novità arrivano da un esperimento del FermiLab di Chicago, laboratorio in cui una serie di esperimenti successivi hanno mostrato una cosa inaspettata. Provo a spiegarvi.

Gli esperimenti sono realizzati sul Muone, una particella elementare (ovvero non divisibile in altre sottoparticelle) carica, scoperta 87 anni fa. Il muone ha alcune caratteristiche peculiari: ha vita breve, solo 2,2 microsecondi ed è circa 207 volte più pesante dell’elettrone di cui è cugino, visto che hanno entrambi carica elettrica negativa. Inoltre, come gli elettroni, i muoni hanno un minuscolo magnete interno che, in presenza di un campo magnetico, precede o oscilla come l’asse di una trottola.

Per via di queste caratteristiche – non vi sto a spiegare nel dettaglio il motivo – il muone viene utilizzato spesso negli esperimenti per studiare altre particelle più difficili da osservare direttamente, che vengono osservate indirettamente attraverso le loro interazioni con il muone. 

Ecco questo esperimento in pratica ha fatto interagire il muone con quella che viene chiamata schiuma quantistica, ovvero, in altre parole, sostanzialmente tutto quello che si esiste a livello di particelle microscopiche e forze fondamentali. Non so come si possa fare una cosa del genere in laboratorio ma evidentemente si può fare. Fatto sta che i risultati sono diversi da quelli che ci si aspettava.

Cioè: considerando tutte le forze e le particelle che conosciamo, ci si sarebbe aspettati una certa risposta del muone, un certo comportamento. E invece i muoni osservati hanno avuto un comportamento leggermente diverso. Quanto diverso? Non tanto, ma abbastanza da far pensare che esista una particella o una forza che noi non conosciamo e che non abbiamo mai osservato, oltre a quelle note. 

Come conclude l’autore dell’articolo, “cresce la convinzione che il modello standard abbia delle crepe. Gli specialisti sono pronti a disegnare idee di nuove forze, o nuove particelle, capaci di agitare l’ago della bussola muonica. Potrebbero tracciare la rotta per il futuro della ricerca fisica nei decenni a venire. Se la natura avesse fino ad ora nascosto nuove particelle e nuove forze, sarebbe così divertente andarle a cercare. Il che, almeno per un fisico, è veramente eccitante…”

Trovo molto bello l’approccio della fisica alla ricerca, perché nella fisica qualsiasi cosa che smentisce le nostre convinzioni pregresse è la notizia più bella che possa arrivare, perché ci permettere di scoprire qualcosa di nuovo. Sarebbe bello riuscire a prendere un pezzetto di questo spirito e portarlo nel mondo dell’informazione e nella nostra vita di tutti i giorni.

Da una possibile scoperta futura, passiamo a una serie di cose che stanno già succedendo. Partendo dalla prima missione lunare indiana. L’india infatti ha fatto atterrare il suo modulo sul suolo lunare il 23 agosto, diventando il 4o paese al mondo dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina a riuscire nell’impresa.

Come scrive Michela Rovelli sul Corriere della Sera, “La missione Chandrayaan-3 è uno storico successo, che è stato accolto con gli applausi di tutta la sala di controllo della Indian Space Research Organisation (Isro) e in generale con una festa che attraversa tutta la nazione: alla diretta streaming su YouTube (la trovate qui sotto) si sono collegate oltre 7 milioni di persone. 

Il modulo lunare ha effettuato correttamente l’allunaggio in una zona vicino al Polo Sud lunare, una zona dove nessuno, finora, era sbarcato. Si è trattato del secondo tentativo della Isro di sbarcare sul nostro satellite: il primo, nel 2019, era fallito: l’agenzia spaziale aveva perso il contatto con il razzo appena prima del contatto con il suolo. Da allora sono state fatte diverse correzioni soprattutto sulla delicata operazione di atterraggio e gli scienziati erano ottimisti.

Adesso l’obiettivo di Chandrayaan-3 sarà quello di esplorare il polo Sud lunare grazie ad un rover lunare a 6 ruote munito di tutte le attrezzature utili a fornire dati sulle proprietà del suolo e delle rocce lunari. Un contributo «molto, molto importante» alla conoscenza scientifica, secondo K Sivan, l’ex capo della Indian Space Research Organization. Si tratta in effetti di un’area ancora poco conosciuta e studiata. 

Ovviamente oltre alla motivazione scientifica ce n’è anche una politica, ovvero quello di rivendicare un ruolo indiano nella corsa allo spazio e anche nel possibile, futuro sfruttamento delle materie prime lunari. Già da diversi decenni infatti, qui sono io che commento, è in atto una corsa alla luna nell’ottica di trovare materie prime utili sulla terra. Una nuova frontiera che fa gola a molti.

Sempre a proposito di paesi che fanno cose, segnalo dal Post che la Cina sta scavando un buco profondissimo verso il centro della terra, il più profondo mai scavato in Cina e fra i più profondi al mondo. 

In pratica alla fine di maggio in Cina è iniziata la perforazione del suolo per scavare un buco che supererà gli 11mila metri di profondità. Il record attuale spetta al pozzo di Kola nella Russia nord-occidentale quasi al confine con la Norvegia profondo 12.262 metri. 

Lo scavo è stato avviato in una zona del deserto del Taklamakan, nella regione autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest del paese. Una volta completato, il pozzo sarà il più profondo mai realizzato in Cina e uno dei più profondi mai scavati in tutto il mondo, per quanto con un diametro di poche decine di centimetri.

Secondo i responsabili dell’iniziativa, gli 11.100 metri di profondità previsti saranno raggiunti entro la fine di agosto del 2024, con poco meno di 460 giorni di scavo. I tempi previsti sono molto brevi, considerato che per perforazioni analoghe, ma a minori profondità, sono stati necessari anni.

Ma come mai questo scavo? La motivazione ufficiale è la ricerca scientifica. Le perforazioni a grande profondità di questo tipo infatti rendono di solito possibile il prelievo di campioni di rocce altrimenti inaccessibili, che vengono poi analizzati e studiati per ricostruire informazioni in generale su ere geologiche molto remote e per comprendere meglio le caratteristiche geologiche di un certo territorio.

Ma ci sono anche altre motivazioni. Un indizio può arrivare da chi lo gestisce, la China National Petroleum Corporation (CNPC) di proprietà del governo cinese assieme a Sinopec, altro grande gruppo petrolifero e petrolchimico della Cina. Uno degli altri obiettivi è scoprire se in strati così profondi ci sia comunque una quantità significativa di petrolio e gas, come riscontrato altrove e a profondità minori. Nell’area del bacino del Tarim sono già stati scavati alcuni pozzi molto profondi sfruttati da Sinopec, che negli anni ha affinato tecnologie e sistemi per scavare a svariati chilometri nel sottosuolo. Uno dei principali complessi di pozzi della società raggiunge gli 8mila metri di profondità.

Tutto ciò rientra nel piano del governo cinese ha l’obiettivo di rendere la Cina il più indipendente possibile sia nel settore dei combustibili fossili, sia dei minerali rari sempre più richiesti per l’elettronica, nel quadro ancora più generale del disaccoppiamento con l’economia americana (e ormai direi occidentale, vista la fuoriuscita di quasi tutti i partner europei dalla via della Seta, Italia inclusa).

Due considerazioni. È probabile che in epoca di presunta e dichiarata transizione energetica e accordi sul clima la scienza sia sempre più spesso usata come specchietto per le allodole per continuare a cercare petrolio. Il che è molto rischioso e problematico. 

Altra cosa, la crescente instabilità globale, il clima di competizione e guerra fredda sta alimentando ulteriormente la corsa al petrolio, come si intuisce. Perciò una transizione ecologica non può prescindere dalla pace e da un aumento della collaborazione su scala globale. Anzi, mi sento di dire, su ogni scala.

Questa notizia qua è un po’ vecchiotta ma forse vale la pena farci almeno riferimento. All’inizio di agosto alcuni ricercatori coreani avevano fatto sapere di aver scoperto un materiale, LK-99, con proprietà di superconduttività a temperatura ambiente. Che era una roba potenzialmente enorme, in grado di cambiare profondamente sia la nostra conoscenza della fisica che la tecnologia, che tutta la strategia di transizione energetica globale. 

La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore. In fisica però una scoperta per essere vera deve essere riprodotta da varie persone in varie parti del mondo. Insomma, deve essere replicabile, e quindi team di ricerca in tutto il mondo si sono dati da fare per vedere se era tutto vero.

Ecco, come racconta fra i tanti il sito Tom’s Hardware “Già qualche giorno dopo i dubbi si erano accumulati, non restava quasi più alcuna speranza di trovare conferma. Poi, a fine agosto, un articolo su Nature ha messo definitivamente la parola fine a questa storia. LK-99 non è un superconduttore a temperatura ambiente. Ma la ricerca su questa particolare proprietà di alcuni materiali va avanti, e una grande scoperta potrebbe essere dietro l’angolo, per quanto ne sappiamo.

Ma allora quel famoso video dove si vede un campione di materiale levitare sopra un magnete? Nessuno è riuscito a replicare quel risultato, anzi alcuni hanno anche notato dei particolari sospetti, come un’estremità del campione che sembrava vincolata al magnete stesso.

La cosa interessante è la velocità con cui si è svolta tutta la vicenda: non è la prima volta che una “grande scoperta” viene confutata applicando con rigore il metodo scientifico, ed è una cosa del tutto normale che le cose vadano così. Tuttavia spesso e volentieri ci vogliono mesi, a volte anni: questa volta sono bastate poche settimane.

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