7 Mar 2024

Siccità estrema in Sicilia, le responsabilità della politica – #892

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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In Sicilia diventa di giorno in giorno più grave la situazione siccità. Oltre alle cause climatiche, che ovviamente ne sono alla base, ci sono però un bel po’ di responsabilità politiche. Molti giornali, nel parlarne, indicano l’esempio “virtuoso” di gestione della siccità della Catalogna. Ma sarà davvero così? Parliamo anche dei risultati del super tuesday, il giorno in cui in un sacco di stati si scelgono i candidati per le elezioni presidenziali, della Francia che ha inserito l’aborto in costituzione e delle elezioni in Abruzzo che ci saranno questo weekend.

Dalla Sicilia arrivano notizie preoccupanti e preoccupate sul tema della siccità. Sono praticamente cinque mesi senza pioggia, in inverno, a parte qualche sporadica precipitazione degli ultimi giorni e nonostante la regione sia abituata a periodi siccitosi, questa è una roba… diversa. La Regione sta correndo ai ripari e una settimana fa ha attivato un piano emergenziale di risparmio idrico, che prevede fra le altre cose il razionamento di acqua. Ma si è mossa molto in ritardo, e adesso la situazione è abbastanza drammatica.

Voglio iniziare facendovi ascoltare un contributo dalla nostra redazione siciliana. Salvina Elisa Cutuli di Sicilia che Cambia ci fa un po’ il quadro della situazione e ci ricorda come la politica siciliana abbia molte responsabilità in questa situazione, che ha ovviamente la sua causa primaria nella crisi climatica, ma che è aggravato dall’inazione politica. A te Elisa.

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie davvero Elisa. Voglio darvi qualche dato ulteriore, che prendo da una serie di articoli dedicati al tema da Repubblica che negli ultimi giorni devo dire sta coprendo piuttosto bene la notizia. 

Il problema come ci ricordava Elisa e come spiega anche Miriam Di peri su Repubblica, è che gli invasi, ovvero quei bacini artificiali che in condizioni di siccità “normale” garantiscono una fornitura continua di acqua, sono a secco. Le ultime piogge non sono bastate a riempirli, non solo per la quantità insufficiente di precipitazioni, ma anche per le alte temperature che hanno causato l’evaporazione dell’acqua. 

La situazione attuale è il frutto di una scarsità di precipitazioni che nel 2023 sono state circa il 22% in meno rispetto alla norma nel ventennio tra il 2003 e il 2022. Ma non è solo una questione di quantità. L’altro problema è anche la disomogeneità. Pochissime piogge, ma torrenziali, con l’acqua che tende a scivolare e ad essere assorbita meno. È anche questo uno dei tanti sintomi del clima che cambia.

Gli effetti di questa situazione, scrive ancora la giornalista, sono sotto gli occhi di tutti: “l’agricoltura è in ginocchio, mentre i costi del servizio idrico schizzano alle stelle, soprattutto nelle aree interne. Ne è esempio plastico il caso di Polizzi Generosa, sulle Madonie: lì la stessa autobotte comunale che trasportava l’acqua fino alle campagne di Tremonzelli, lo scorso anno costava al cittadino circa 30 euro per 6000 litri d’acqua. Quest’anno la stessa quantità costerà invece 70 euro. Un rincaro dovuto alla siccità, e all’aumento dei costi dell’energia. 

Se a tutto ciò ci aggiungete i due fattori di cui parlava Elisa nel suo contributo vocale, ovvero che c’è una rete idrica che è una specie di colabrodo, con circa la metà dell’acqua che viene dispersa e una classe politica molto lenta e poco reattiva, la situazione diventa micidiale, in primis per gli agricoltori, che già oggi sperimentano arance molto più piccole della media per mancanza d’acqua e campi di grano deserti, e a cascata per tutta la popolazione. .

Ad ogni modo, il caso della Sicilia, ahimé, non è un caso isolato. Qualche giorno fa raccontavamo il reportage del Guardian sulla crisi del riso in Italia, che di riso è la maggior produttrice europea (ne produce circa la metà). 

Ma forse, una delle situazioni che a livello europeo è più grave e preoccupante è quella della Catalogna. Ho notato che spesso gli articoli dei giornali italiani contrappongono alla mala gestione siciliana una più efficiente gestione catalana. Ad esempi nell’articolo di Repubblica prima citato leggo a un certo punto: “Se in alcune regioni spagnole che vivono l’analogo stato d’emergenza dell’Isola il piano di risparmio idrico era già partito a inizio anno, in Sicilia arriva soltanto adesso”.

Mentre su un altro articolo sempre di Repubblica leggo: “ La Sicilia è in forte crisi idrica già ad inizio anno, ma per l’isola non ci sono i grandi piani per l’acqua come le navi cisterna che potrebbero aiutare Barcellona e la Catalogna, e nemmeno miliardi investiti nei desalinizzatori, o in politiche idriche d’emergenza come in Spagna”.  

Ma sarà vero che la Catalogna sta affrontando in maniera virtuosa la crisi idrica? Io ho vissuto a Barcellona per diversi mesi, ormai molti anni fa, ma ricordo un consumo di acqua enorme e non proprio oculato, con ad esempio le strade del centro che venivano lavate quotidianamente con idranti. Quindi partivo un po’ prevenuto per questo motivo. Un po’, per deformazione professionale, ogni volta che leggo di una situazione descritta come troppo idilliaca, all’estero, mi viene il dubbio perché spesso soffriamo di esterofilia. 

È vero, la Spagna ha un piano per l’emergenza idrica dal 2020, ma a quanto pare le criticità non mancano. Ho trovato molto interessante un contributo di un giornalista italiano che si chiama Alessandro Stoppoloni sul sito Monitor-Italia, che descrive la situazione della siccità a Barcellona e dintorni. Ve ne leggo un estratto.

“La siccità in Catalogna dura da circa tre anni, ma secondo i movimenti ecologisti non basta a spiegare la situazione attuale. Sul sito della rivista El Salto, Dídac Navarro Fernández e Maria Albà Díaz di Ecologistes en acció scrivono: “Il messaggio [che ci viene proposto] è chiaro: non piove e, quindi, non c’è acqua. Però questa affermazione è inesatta e perfino erronea visto che tralascia molti altri fattori che contribuiscono alla scarsezza idrica di cui stiamo soffrendo”. 

I due puntano il dito contro la cattiva gestione dell’acqua, trattata come se fosse infinita e usata per settori che ne consumano molta come l’allevamento e il turismo e invitano a diffidare proprio dei dissalatori: dato il loro impatto ambientale non possono essere considerati la soluzione. Da simili argomentazioni è nata la campagna di sensibilizzazione D’on no n’hi ha, no en raja (che si può tradurre con Se non ce n’è, non sgocciola).

In occasione di un incontro tra diverse realtà catalane avvenuto nel giugno 2023 è stato redatto un documento in cui, pur riconoscendo l’utilità del Pes, sono state avanzate diverse richieste per migliorare la risposta alla siccità: si propone di ridurre il consumo d’acqua puntando su un sistema agricolo e d’allevamento meno intensivo in cui verrebbe ridotto l’altissimo numero di allevamenti di maiali in Catalogna (responsabili anche della presenza di alcuni inquinanti nelle falde) e si punterebbe su colture estensive e non intensive. 

Si chiede inoltre la pubblicazione dei dati sui consumi d’acqua, in modo da capire chi ne usa di più e per quali scopi e per verificare se le restrizioni imposte dalla Generalitat vengono o meno rispettate. Si critica anche che all’interno del piano di sviluppo per il quinquennio 2022-2027 sia stato previsto sia un aumento della popolazione sia un consistente aumento del turismo, considerato un fattore non accettabile nell’ottica di garantire l’accesso all’acqua, visto che in media soddisfare i bisogni di un turista (soprattutto se di alta fascia) comporta un consumo d’acqua maggiore rispetto a quello di una persona residente. 

Basti pensare all’acqua usata per lavare le lenzuola o le stanze. Si richiede anche che ogni unità territoriale in cui è suddivisa la mappa della gestione idrica catalana sia in grado di fare affidamento sulle proprie risorse, senza contare su quelle altrui.

Insomma, anche la gestione tanto acclamata dell’acqua in Spagna, sembra soffrire di un bel po’ di problemi. E come al solito, se si scava sotto la superficie, si arriva sempre ad osservare dei problemi strutturali: ad esempio allevamenti intensivi, agricoltura intensiva, turismo di massa. Elementi centrali nel sistema economico attuale, ma che dobbiamo smantellare se vogliamo che continui ad esserci un sistema economico, di qualsiasi tipo.

Oltre a ciò, devo dire che mi colpisce sempre la facilità con cui additiamo come virtuose esperienze che avvengono altrove e di cui non abbiamo esperienza diretta. È un elemento che ho notato spesso anche in passato, e non credo che sia una roba solo dei giornali, in questo caso, e nemmeno solo italiana. Credo che come esseri umani ci rassicura pensare che esistano luoghi ideali dove tutto va bene, dove tutto funziona. Ma anche in questo caso è una credenza disfunzionale, e ve lo dico perché l’ho vista in atto. È un altro modo per raccontarsi che tanto qui non si può fare niente. Che è il modo migliore per continuare a non fare niente. 

Cambiamo argomento. Come vi anticipavo nella rassegna di ieri, ieri è stato il super tuesday, ovvero il martedì (è sempre un martedì, ci sarà un motivo ma non lo so e non ho fatto in tempo a documentarmi) in cui si vota per le primarie o i caucus in un sacco di stati negli Usa.

I risultati questa volta erano davvero scontati, e infatti hanno confermato e reso ufficiale quello che già sapevamo. Le prossime presidenziali Usa vedranno nuovamente la problematica sfida fra Biden e Trump. Dico problematica perché è la sfida fra un tizio che stringe la mano a gente inesistente, confonde i nomi dei premier degli altri paesi, inciampa ogni tre passi ed è convinto che la parola che meglio definisce gli Usa sia una specie di suono gutturale e inesistente e… Trump (che vabbè, qui non sto nemmeno a provare a fare l’elenco).

Comunque: Trump e Biden hanno vinto, ciascuno per il suo partito, praticamente in tutti gli stati dove si votava, che erano 15 più il territorio delle Samoa Americane. Trump ha sbaragliato l’unica concorrente rimasta, Nikki Haley, che pure è riuscita a vincere in uno stato, a sorpresa, ovvero nel Vermont, ma si è poi ritirata dalla competizione. 

Mentre Biden non ha mai avuto concorrenti, nel senso che è fin da subito (un po’ come da tradizione per un Presidente uscente) stato praticamente l’unico candidato credibile fra i democratici. E fra l’altro ciononostante è riuscito a perdere uno dei caucus, nelle isole Samoa Americane, sconfitto da un tizio sconosciuto, un imprenditore del Maryland, di nome Jason Palmer.

E questo è quanto.

Lunedì il Parlamento francese, riunitosi in sessione straordinaria al Palazzo di Versailles, ha approvato con un’ampia maggioranza (780 favorevoli su 925) la proposta di inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese. È una decisione storica, come dicevamo qualche giorno fa. La Francia è infatti diventato il primo paese al mondo a inserire questo diritto al livello più alto della giurisdizione ovvero nella carta costituzionale.

La decisione, che ribadisco, è di portata storica, e fra l’altro arriva in un periodo in cui il diritto all’aborto è negato o messo in discussione in varie parti del mondo, ha tuttavia sollevto alcune critiche in Francia. “E grazie al…” direte voi, certo che il diritto all’aborto in costituzione suscita polemiche. Vero, avete ragione, ma non mi riferisco solo alle polemiche che ci potremmo aspettare, tipo quelle arrivate dall’ambiente cattolico, che pure sono arrivate eh, tipo il dissenso della Pontificia Accademia per la Vita e la Conferenza episcopale di Francia.

No, ci sono state anche altri tipi di critiche, soprattutto due, che arrivano anche dalla parte più progressista della società. Come racconta Giulia Belardelli su HuffPost, questa mossa è stata interpretata da alcuni come un tentativo di Macron di guadagnare voti a sinistra, quindi di riposizionarsi rispetto all’opinione pubblica. E quindi di fatto di usare la Costituzione a fini elettorali, una roba anomala che se diventasse una prassi potrebbe portare al degrado della Costituzione stessa.  

Anche perché, secondo gli analisti francesi, l’impatto pratico di questa modifica costituzionale sarà nell’immediato praticamente nullo, visto che l’aborto in Francia non è mai stato messo in discussione da nessuno, non è nemmeno un tema di discussione. 

Tuttavia, come nota la giornalista, potrebbe essere un modo di voler blindare questo diritto anche in vista di eventuali future restrizioni. Al netto delle critiche, comunque, la decisione è stata celebrata da molti come un atto di progresso significativo per i diritti delle donne in Francia e nel mondo.

Chiudiamo con la notizia delle elezioni in Abruzzo. Dopo la Sardegna, questo fine settimana è il turno dell’Abruzzo di andare ai seggi per eleggere il prossimo Presidente della Regione. In questo caso non sto usando il plurale maschile sovraesteso perché i candidati sono solamente due, entrambi uomini. 

Luciano D’Amico, economista ed ex rettore dell’Università di Teramo, candidato per Pd, M5S, AVS, Azione. E Marco Marsilio, attuale presidente della regione, candidato per il centrodestra. I sondaggi danno un vero e proprio testa a testa, lunedì ne parliamo. Anche qui come in Sardegna non è previsto il ballottaggio (che poi vabbé, sono solo due quindi anche volendo) ma a differenza della Sardegna non si potrà fare il voto disgiunto, ovvero votare un nome per il Presidente e poi un partito appartenente all’altra lista. Quindi gli scrutinii dovrebbero essere più veloci e probabilmente già lunedì potremo parlarne.

Siamo in chiusura, parola al nostro direttore Daniel Tarozzi per “La giornata di ICC”

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