FA MOLTO PIU’ CALDO DEL NORMALE
Allora, inizio questa puntata in maniera un po’ anomala, raccontandovi un aneddoto. Come probabilmente saprete se seguite INMR, ieri è uscita la prima puntata di INMR+, il long format in esclusiva per gli abbonati di Italia Che Cambia. Puntata molto interessante, sul Brasile alle soglie dell’elezione più importante del secolo, ma comunque qui non voglio parlarvi di questo, ma di un piccolo dietro le quinte.
Per circa mezz’ora è rimasta online una versione del podcast in cui all’inizio affermo che “oggi è il 27 aprile”. Poi mi ha scritto la collega Daniela Bartolini fra l’allarmata e il divertito per comunicarmelo, al che ho riregistrato l’intro e ho caricato sul sito la versione corretta.
Ora, non ho la più pallida idea del perché abbia detto aprile, visto che siamo quasi a novembre, un team di esperti è a lavoro per aiutarmi a ritrovare la sanità mentale e svelare l’arcano, ma una delle ipotesi è che il mio inconscio sia stato tratto in inganno dal clima primaverile, quasi estivo, che non sta abbandonando il nostro paese.
Il che è molto piacevole, clima perfetto, ci facciamo delle belle passeggiate. E figuratevi, godiamocelo visto che c’è. Il problema è che al tempo stesso dobbiamo essere consapevoli che un clima così caldo adesso significa grossi problemi fra qualche mese.
Inizio a parlarvene leggendovi non un articolo ma un post su Facebook. Perché sì, in questo mondo al contrario in cui molti giornali parlano di “bel tempo”, alcuni politici se la prendono con gli “ambientalisti ideologici”, è sui social, i tanto bistrattati social, che spesso si trovano le analisi più affidabili. E allora sapete che vi dico, ci mettiamo alla rovescia anche noi anche noi, ribaltiamo la scaletta e partiamo dalla rubrica io Non Mi Rassocial!
Il post è scritto da Matteo, uno degli autori (che si firmano solo con il nome) della bellissima pagina Facebook di divulgazione scientifica “Chi ha paura del buio”. “Stiamo vivendo una situazione che non ha assolutamente nulla di normale. Un quadro allarmante, una situazione che dovrebbe essere la notizia del giorno, ormai da giorni, e che sarebbe normale solo se fossimo – probabilmente – sul finire dell’estate e non a ridosso del mese di Novembre.
Si, perchè le condizioni meteorologiche che stiamo sperimentando entreranno di diritto negli annali della climatologia europea. A preoccupare non è solo il valore intrinseco delle anomalie di temperatura, quasi fuori scala su alcune aree europee. A preoccupare è l’eccezionale insistenza di una configurazione atmosferica talmente perdurante da essere percepita quasi come normalità ma che normale non è per niente. L’invadenza dell’anticiclone africano, una volta più eccezione che abitudine, accompagna ormai le nostre condizioni atmosferiche da mesi e mesi. A preoccupare è anche l’incredibile estensione di tale anomalia che arriva ad abbracciare praticamente l’intero vecchio continente. (Qui Matteo sta dicendo che non è un’ondata di calore anomalo, è una temperatura molto sopra la media che resta costante nel tempo e investe buona parte d’Europa).
A questo si aggiungono conseguenze altrettanto preoccupanti, come la continua mancanza di piogge, quelle vere autunnali, in un mese come quello di ottobre che è tra i più piovosi a livello nazionale e che rischia di chiudere praticamente con zero pioggia in alcune aree italiane. Un disastro totale, vista la già gigantesca mancanza di piogge organizzate da un anno a questa parte.
Sui giornali o in televisione si arriva quasi a definire “bello” questo tempo, con festanti persone in spiaggia o in maniche corte in città del nord. C’è chi altresì riterrà “catastrofista” una analisi di questo tipo. Beh, per una volta posso dire che avrà pienamente ragione nel definire questa situazione proprio per quello che è: una potenziale catastrofe. Ci addentriamo in scenari a noi totalmente ignoti e inesplorati. E lo facciamo in modo del tutto impreparato, come se le conseguenze di queste pesanti anomalie fossero un problema di qualcun altro in un lontano tempo futuro. No, non è così: il problema è nostro, ora, in casa nostra”.
Va bene, proseguiamo in maniera più canonica con un bell’articolo sullo stesso tema su la Repubblica del 25 ottobre a firma di Elena Duse.
“Maniche corte, domeniche al mare, alberi in fiore con api e farfalle che succhiano il nettare. Questo autunno figlio del riscaldamento climatico sembrerebbe un idillio. Ma temperature di oltre 30 gradi che lambiranno anche l’inizio di novembre, con una media di 6-8 gradi in più oltre la media, sono un sipario dorato che nasconde un palcoscenico in pieno caos. Piante e animali nel nuovo clima hanno perso il copione. Le zanzare che ancora si riproducono, gli alberi che hanno perso le foglie in agosto e ora fioriscono perché credono sia primavera, gli uccelli che rinunciano a migrare, le tartarughe che cambiano sesso per il caldo, gli orsi e i rettili che rimandano il letargo sono i protagonisti di una pièce che ha perso la sua trama”.
L’articolo poi spiega, anche grazie al contributo di vari esperti, come i sottili equilibri degli ecosistemi creatisi grazie alla discreta stabilità climatica degli ultimi 700mila anni si stiano stravolgendo e di come non sia umanamente possibile prevedere quali saranno gli effetti su tutto il sistema e sulla nostra specie di questo sconvolgimento, che è opera nostra. E fa tanti e tanti esempi che mostrano come il cambiamento di abitudine anche piccolo di una singola specie va a cambiare gli equilibri di tutto il sistema generando degli effetti farfalla incontrollabili.
Intanto Alfio Sciacca sul Corriere commenta il report di Coldiretti, nuovamente drammatico, sulla siccità: “Forse suscita meno clamore perché siamo in autunno, ma il dato è oggettivamente più allarmante rispetto a qualche mese fa. Il Po soffre come se fossimo in estate e la portata del fiume continua ad essere pericolosamente bassa. Secondo la Coldiretti il corso d’acqua si è abbassato a – 2,3 metri rispetto allo zero idrometrico (che in pratica è il suo livello normale). Come se fossimo in piena estate”.
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In conseguenza della bassa portata de fiume anche il cuneo salino (la risalita delle acque del mare lungo il corso del fiume) è a livelli altissimi, rendendo buona parte dell’acqua inutilizzabile in agricoltura, perché salata. «Attualmente è a circa 20 chilometri, quando invece in questo periodo dovrebbe quasi azzerarsi. Si pensi che in estate è arrivato a 40 chilometri».
E il Po’ non è l’unico fiume sofferente. «Tra i grandi laghi del Nord il Garda è pieno solo al 23%, l’Iseo al 26% mentre resistono il Maggiore con il 56% e il Como che è riuscito a risalire fino al 72%. A preoccupare è poi la siccità nel Nord Est del Paese: dal Friuli Venezia Giulia al Veneto dove si sorvegliano sia i livelli di falde e fiumi e quelli delle riserve idriche regionali. Al Sud la situazione più pesante in Calabria dove il volume residuo degli invasi silani è in grado di soddisfare i bisogni idrici della città di Crotone e Rocca di Neto per soli 21 giorni, secondo il Dipartimento territorio della Regione».
Ora, direte voi: ma come, hai fatto tutta quella tirata sui giornali che non parlano di questi temi e poi hai citato due articoli di Repubblica e del Corriere. Allora non è vero che non ne parlano. È vero, ne parlano. Ma i giornali parlano di qualsiasi cosa, ormai, e persino in tanti modi diversi. Il punto non è se ne parlano, e paradossalmente nemmeno come ne parlano, ma dove ne parlano.
Noi non percepiamo mai l’importanza delle cose in assoluto, ma sempre in relazione a qualcos’altro. E in questo i giornali – e in particolare le prime pagine o le homepage dei giornali, al pari dei titoli dei TG, hanno un ruolo fondamentale nel dettare una gerarchia fra le notizie. L’articolo può anche dire che è la cosa più importante del mondo, ma se viene posizionato in fondo alla home in un trafiletto, resterà sempre meno importante, nella nostra testa, della dichiarazione di Meloni.
Comunque, tornando al clima, questa è la situazione, e non è bella per niente. Forse dovremo cambiare il nostro vocabolario sul tempo. A me ad esempio, ormai quando mi alzo la mattina e vedo il sole mi girano i coglioni. No, via, non è vero, non è esattamente così, ma fatico a godermi queste “belle giornate” perché ho sempre un senso di sottile angoscia sottostante.
RINNOVABILI VS BUROCRAZIA
Cosa stiamo facendo per cambiare rotta? Una delle azioni sicuramente più efficaci, e anche di maggior successo fin qui, è la transizione verso le energie rinnovabili che procede, come abbiamo visto più volte, abbastanza spedita. Ancora troppo piano rispetto a quanto servirebbe, ma omunque in maniera costante e ormai apparentemente implacabile.
Ma forse proprio in virtù di ciò fa ancora più rabbia leggere notizie come quella riportata da Luigi Franco sul Fatto Quotidiano. A quanto pare, la tassazione degli Extraprofitti delle rinnovabili va a colpire anche i comuni e gli enti locali che hanno degli impianti di produzione di energia, comuni che si sono visti recapitare fatture da centinaia di migliaia di euro.
Scrive Franco: “Una fattura da 188mila euro da pagare entro fine ottobre. Luca Nasi, sindaco di Rolo, quattromila anime in provincia di Reggio Emilia, se l’è trovata sul tavolo qualche giorno fa: sono gli “extraprofitti” generati da un impianto fotovoltaico comunale che ora il Gse (Gestore servizi energetici) chiede indietro, come previsto dal decreto Sostegni ter di gennaio. Una misura pensata per reperire fondi per aiutare imprese e famiglie a far fronte al caro bollette tassando i produttori di energia, che però va a colpire anche gli enti locali che anni fa hanno installato pannelli su terreni o tetti di edifici pubblici sfruttando gli incentivi del Conto energia, e oggi sono a loro volta alle prese con le bollette per l’illuminazione pubblica e il riscaldamento salite alle stelle. “Non si è assolutamente tenuto conto”, ha scritto Nasi su Facebook, “che un Comune, oltre a essere marginalmente produttore di energia elettrica, è anche consumatore di energia e gas”.
Questa storia è seguita da altri racconti simili. Rolo, San Martino in Rio, San Felice sul Panaro. A volte le fatture raggiungono cifre folli tipo i 990mila euro di quest’ultimo comune. Già la tassazione degli extraprofitti delle rinnovabili è un’assurdità, ma far pagare la tassa ai comuni, nella situazione attuale, come se fossero dei produttori che stanno lucrando sul caro energia mi sembra davvero folle.
Non sazia, la burocrazia sta affossando anche lo sviluppo delle nuove Comunità energetiche rinnovabili. Un’indagine di Legambiente riportata da Roberta De Carolis su GreenMe svela che appena 16 su 100 hanno completato l’iter di approvazione presso il GSE e appena 3 hanno ricevuto i finanziamenti.
Eppure sarebbero utilissime adesso. Le CER possono portare riduzioni dei costi in bolletta fino al 25% per le utenze domestiche e condominiali e fino al 20% della spesa energetica di piccole e medie imprese, scuole, distretti artigiani e altri settori ancora.
Ma cos’è che le sta affossando? Secondo Legambiente soprattutto “ritardi, lungaggini burocratiche, la mancanza degli incentivi da parte del MITE, il ritardo di Arera sull’emanazione delle regole attuative che si uniscono alle difficoltà nel ricevere le informazioni necessarie a identificare l’ambito di sviluppo delle CER, ai ritardi nelle registrazioni e al ricevimento degli incentivi, ma anche a preventivi onerosi per allacci alla rete”.
In pratica, lo stato prima stabilisce che il prezzo dell’energia si forma sulla base del prezzo del gas. Questa legge fa sì che chi produce energia a costi minori (ad esempio da rinnovabili) sia obbligato a fare maggiori profitti. Allora lo stato tassa questi profitti per abbassare le bollette ai cittadini, e nel frattempo ostacola in tutti i modi le CER, che invece abbasserebbero naturalmente il prezzo delle bollette. Niente da dire: geniale.
L’AMBIENTALISMO DEVE DIVENTARE VIOLENTO
Uno quando sente certe cose, come diceva Diego Abatantuono anni fa “gli scatta la viuuulenza”. Ed è quello che sta succedendo, gradualmente, ad alcuni movimenti per il clima e l’ambiente. Così qualche giorno fa Fabrizio Sinisi si chiedeva, su Domani: “L’ambientalismo deve diventare violento?”. La domanda era riferita alle iniziative di imbrattaggio di famose opere d’arte (o per meglio dire, dei vetri protettivi di famose opere d’arte) che per qualche giorno hanno occupato i giornali (spesso con toni polemici) ben più della crisi climatica stessa.
Il tema è molto vasto, ma è una scatola in cui dobbiamo andare a guardare prima o poi, e farci qualche ragionamento su, perché è un tema molto complesso. Ha a che fare con la violenza (si intende violenza sulle cose e non sulle persone in questo casi) e sugli effetti della vioelnza sul sistema. Serve? Non serve? È utile? È controproducente? Ho sentito tutto e il contrario di tutto, in questi giorno. Per il momento, limitiamoci alle domande.
UN MARE CON PERSONALITA’ GIURIDICA
Prima di chiudere vi riporto un’altra notizia di qualche giorno fa, che però non aveva fin qui trovato lo spazio che merita in rassegna. Me l’aveva segnalata a inizio settimana Daniel Tarozzi. Il Mar Menor, la più grande laguna d’acqua salata d’Europa, che si trova in Spagna, è diventato una persona giuridica
Lo racconta sempre Roberta De Carolis, sempre su GreenMe: “la Spagna ha finalmente approvato l’Iniziativa Legislativa Popolare (ILP) partita a ottobre 2020 e che ora è legge. E no, non è solo un “titolo”, è un risultato importantissimo, che riscriverà la storia sul presente e sul futuro della laguna”.
Per capire meglio il senso e le implicazioni di questa notizia, facciamo un passo indietro. Il Mar Menor è un ecosistema delicatissimo, un vero e proprio scrigno di biodiversità. Purtroppo però l’attività umana sta rendendo il suo ecosistema sempre più fragile, per via soprattutto della forte attività agricola circostante e della pressione antropica che stanno generando quel fenomeno che si chiama eutrofizzazione, ovvero la presenza di sostanze fertilizzanti in eccesso nell’acqua, che causano il proliferare di alghe e l’alterazione degli equilibri.
Per questa ragione a ottobre 2020 è partita un’Iniziativa Legislativa Popolare che da subito ha ottenuto molta risonanza, e un anno dopo, a ottobre 2021, arriva ad ottenere mezzo milione di firme, presentate poi alla commissione elettorale centrale di Madrid.
Verificate le firme, martedì 5 aprile 2022 il disegno di legge è stato consegnato al Parlamento spagnolo, che un mese fa – cosa non scontata nel caso delle leggi di iniziativa popolare – ha definitivamente approvato la proposta.
Ma quindi cosa cambia? Conclude De Carolis che “Con lo status di persona giuridica, il Mar Menor diventa un Soggetto di diritto per il raggiungimento di un obiettivo sociale senza fini di lucro, e in cui tutti i cittadini possono chiedere un risarcimento in sede giudiziaria ai responsabili dei danni causati in laguna. Il risultato quindi non solo è importante, è una pietra miliare del diritto ambientale, il primo esempio in Europa in cui un ecosistema ha dei suoi diritti giuridici tutelabili”.
Credo che questa sia una frontiera interessante da esplorare, e va di pari passo con la possibilità delle entità non umane di partecipare alle nostre decisioni, cosa prevista nei modelli di governance molto avanzati.
FONTI E ARTICOLI
#caldo e siccità
la Repubblica – Zanzare tigre, alberi in fiore e orsi che rinviano il letargo. I danni dell’estate infinita
Corriere della Sera – Caldo e siccità, il Po torna in allarme rosso: «In secca come fosse estate». E il cuneo salino è a 20 km (e dovrebbe essere zero)
#violenza
Domani – Il movimento ambientalista ha bisogno di diventare violento?
#rinnovabili
il Fatto Quotidiano – La legge sugli extraprofitti dei colossi di energia? Colpisce anche i Comuni che puntano sulle rinnovabili: “Così finiamo in default”
GreenMe – Comunità energetiche, la burocrazia rema contro: appena 16 CER su 100 hanno completato l’iter di attivazione presso il GSE
#mar Menor
GreenMe – Il Mar Menor in Spagna ottiene lo status di persona giuridica, cosa significa e perché è così importante