Vi avevo un po’ spoilerato lunedì che oggi avremmo fatto una puntata speciale su cose interessanti fatte da esseri umani in giro per il mondo per contrastare la crisi climatica e per ripristinare la natura, e non solo. Vabbé mi rendo conti che messa così è un po’ vaga, quindi cominciamo.
E cominciamo con due sentenze storiche legate alla tutela degli ecosistemi. La prima arriva dall’Europa ma ha a che fare proprio con il nostro paese ed è una sentenza storica perché afferma in maniera quasi assoluta il principio del “chi inquina, paga”, un principio quasi mai rispettato in passato e che adesso l’Europa vuole rendere molto molto stringente, anche in casi come quello che vi racconto, in il fattaccio risale a molti anni fa.
Ma vediamo di cosa parliamo. La sentenza in questione riguarda un complesso problema di inquinamento ambientale che coinvolge tre diverse località piuttosto distanti fra loro, ovvero Brescia, Torviscosa (Udine) e Colleferro (Roma), e una azienda chimica inquinante, la Caffaro, controllata dalla storica SNIA.
Racconta questa vicenda il Post con un lungo articolo che ricostruisce tutta la trafila giudiziaria e che provo un po’ a riassumervi e semplificare, ma sapete come sempre che sotto fonti e articoli trovate le versioni integrali.
In pratica terreni ed acque presenti in questi 3 siti (Brescia, Torviscosa e Colleferro) sono stati per anni contaminati dalle attività di questa azienda chimica con sostanze molto pericolose come i PCB (policlorobifenili), il cromo esavalente, il mercurio, le diossine e i metalli pesanti.
Sono inquinanti molto pericolosi, tant’è che lo Stato ha classificato le aree interessate come “Siti di Interesse Nazionale” (SIN), ovvero vaste aree molto inquinate in cui le bonifiche e la gestione dei danni ambientali sono sotto la responsabilità del Ministero dell’Ambiente.
Ora, fino a oggi le spese per la bonifica di questi siti sono state a carico dello Stato italiano, perché l’azienda che ha inquinato di fatto non esiste più. E in questi casi, che sono moltissimi, è sempre lo stato che paga. Ma una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrebbe cambiare questo scenario. La Corte ha infatti stabilito che chi è responsabile dell’inquinamento deve pagare, anche se sono passati molti anni dai fatti e anche se la società ha cambiato ragione sociale o è stata acquisita o scorporata.
Infatti nel 2004 SNIA si è scissa e la parte che seguiva l’industria biomedica è diventata Sorin. Poi Sorin si è trasformata in LivaNova. Tutta una serie di passaggi che rendevano difficile trovare qualcuno a cui far pagare le bonifiche.
Nel 2021 la Corte d’appello di Milano aveva condannato LivaNova a pagare ben 453 milioni di euro allo Stato per i danni ambientali causati negli stabilimenti. Una cifra calcolata sulla base delle bonifiche da fare. Ma la multinazionale aveva fatto ricorso alla Cassazione, sostenendo che non si potessero includere nel patrimonio passivo di Sorin i costi di bonifica e danno ambientale, che al momento della scissione non erano ancora stati definiti. Cioé, la multinazionale diceva: quando ho comprato Sorin non sapevo che c’erano questi costi, quindi non posso accollarmeli io.
Per risolvere la controversia la Cassazione decise quindi di sospendere il procedimento e sottoporlo alla Corte di Giustizia europea che infine si è pronunciata dicendo che sì, LivanoVa può essere considerata responsabile dell’inquinamento dell’azienda che ha acquisito, perché ha goduto dei vantaggi dell’acquisizione e quindi deve anche accollarsi gli svantaggi, detta male.
Questa sentenza è importantissima perché estende in maniera retroattiva il concetto di choi inquina paga, insomma lo applica in maniera molto allargata. È un concetto chiave che l’Ue vuole applicare davvero a vasto raggio e che potrebbe fungere anche da detereente a inquinare. Perché in fondo chi inquina sa che può tranquillamente farla franca, con qualche magheggio, cambiando nome alla società, vendendola, ecc. Se però si stabilisce che comunque chi ha inquinato deve pagare, e che lo stato non si sostituirà più alle aziende, capite anche che diventerà molto più difficile vendere un’azienda inquinante e trovare qualcuno disposto a comprarla.
La sentenza è stata accolta con soddisfazione dai comitati locali e dagli attivisti, che da anni si battono per la bonifica delle aree inquinate. A Brescia, dove l’inquinamento è particolarmente grave, la speranza è che i 250 milioni di euro destinati alla bonifica del sito siano utilizzati per ripulire non solo il sito industriale, ma anche i terreni agricoli e le aree residenziali circostanti. La sindaca di Brescia ha espresso l’auspicio che questi fondi siano reinvestiti sul territorio, affinché la comunità possa finalmente vedere realizzati interventi che attendono da decenni.
Passiamo alla seconda sentenza, che arriva da un po’ più lontano e riguarda i diritti di un fiume ecuadoriano. Il Machángara. La sentenza – racconta Costanza Oliva su Avvenire, è arrivata lo scorso luglio in seguito a un’azione di tutela presentata da tre cittadini e tre avvocati, che denunciavano un altissimo livello di contaminazione del fiume che attraversa la capitale ecuadoriana Quito, tale da violare i suoi diritti. I diritti del fiume. E non solo il fiume stesso è stato considerato una vittima, ma anche i 54 torrenti e ruscelli che confluiscono nel Machángara, così come sono state identificate vittime indirette le persone che vivono nella zona e le piante e gli animali che dipendevano dal fiume.
Il tribunale ha dichiarato che il Comune di Quito è «responsabile delle violazioni dei diritti del fiume Machángara» e ha ordinato l’implementazione immediata di un piano di decontaminazione.
Non è certo il primo caso, anzi fu proprio l’Ecuador a dare il via a questo tipo di riconoscimenti, diventando nel 2008 il primo Stato al mondo a includere nella Costituzione i diritti inalienabili della natura. Successivamente hanno intrapreso la stessa strada altri Paesi latinoamericani come Bolivia, Messico e Colombia. In altre parti del mondo invece sono state emanate delle leggi appositamente per i fiumi. La Nuova Zelanda, ad esempio, ha deciso di accordare al fiume Whanganui, sacro al popolo Maori, e ai suoi affluenti lo status di persona giuridica. Ad oggi, secondo l’Earth Law Center, sono più di 35 i Paesi nel mondo che hanno riconosciuto in qualche forma i diritti della natura nei loro sistemi normativi.
Come racconta la giornalista, “La visione ecologica che sta alla base di questo principio ha profondamente rivoluzionato il tradizionale rapporto antropocentrico tra l’uomo e la natura. È un cambiamento globale che si basa su presupposti filosofici ancora prima che giuridici. Eduardo Parisi, ricercatore in Diritto amministrativo e titolare di incarichi di insegnamento in diritto dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, spiega che il rapporto dell’uomo con la natura è sempre stato dominato da una visione utilitaristica: utilizziamo la natura perché ci serve. Tuttavia, questa visione è messa in discussione da un nuovo paradigma: «Il riconoscimento di diritti in capo alla natura secondo la prospettiva ecologica vorrebbe dare una voce propria e non mediata dall’uomo a un qualche cosa che è inanimato e che da solo non si può proteggere», afferma Parisi.
Nel caso del Machángara, l’azione legale è stata promossa da una comunità indigena, i Kitu Kara, che ha visto la propria vita deteriorarsi a causa dell’inquinamento del fiume. Il tribunale ha riconosciuto il legame profondo tra questa comunità e l’ecosistema fluviale, attribuendo loro il diritto di rappresentare il fiume davanti alla legge.
L’articolo poi fa altri esempi simili. Tipo: in Nuova Zelanda, le leggi che riconoscono i diritti dei fiumi prevedono l’istituzione di rappresentanti legali. Nel caso del Whanganui, ad esempio, sono stati nominati due portavoce: uno scelto dal governo e l’altro dalla comunità Maori.
In Ecuador non esiste una figura formale che rappresenti la natura in tribunale. Tuttavia, chi intende portare avanti un’azione legale per conto di un ecosistema deve dimostrare di avere un interesse diretto o indiretto, come nel caso della comunità indigena che vive lungo il Machángara.
Il fatto di permettere anche a altri animali o a soggetti non senzienti come fiumi, montagne, laghi, boschi di vedere i propri diritti riconosciuti a livello legale può essere in generale un buon grimaldello per modificare le nostre leggi e anche un po’ il nostro modo di pensare. Interessante.
Parliamo di monete complementari, in Argentina. Le politiche economiche del presidente argentino Javier Milei, ispirate da una visione ultraliberista, hanno portato negli ultimi mesi ad alcuni lievi miglioramenti dei dati macroeconomici, ma a una ulteriore riduzione dei soldi a disposizione della popolazione per l’acquisto dei beni di prima necessità, e quindi a un aumento della povertà. Per rispondere a questa crisi il governatore della provincia di La Rioja, nel nord ovest del paese e al confine con il Cile, ha deciso una soluzione di emergenza: stampare una propria moneta, il chacho.
I chachos circolano nella provincia di La Rioja da agosto e vengono distribuiti ai dipendenti pubblici come bonus per contrastare la crisi economica e l’inflazione, e per pagare parte degli stipendi. Il governatore Ricardo Quintela, populista e di sinistra, esponente del partito peronista, li ha messi in circolazione anche come forma di protesta politica, dopo il taglio dei fondi destinati alle province deciso da Milei a inizio anno.
La Rioja è una provincia particolarmente povera dell’Argentina, nota per la produzione di noci e olive: il salario medio è di poco superiore ai 200 euro al mese, il tasso di povertà è al 66 per cento. La provincia ha solo 384mila abitanti, ma riceveva più fondi pubblici statali che ogni altra, con l’eccezione di Buenos Aires: quei fondi rappresentavano il 90 per cento del bilancio locale, dove due terzi dei lavoratori sono dipendenti pubblici. La provincia è proprietaria delle poche industrie della zona, delle miniere, di alcune aziende vinicole e di allevamenti.
Il taglio dei fondi provenienti dal governo centrale, deciso dal governo di Milei per rompere quello che descrive come un circolo vizioso di assistenzialismo e indebitamento dello stato, ha messo in difficoltà molte province. Alcuni amministratori locali hanno dovuto licenziare dipendenti e interrompere servizi, mentre a La Rioja il governatore Quintela ha deciso di “resistere”, nonostante la provincia sia ufficialmente in bancarotta da febbraio.
Ha quindi messo in circolazione questa nuova valuta, il chacho, che vale un peso, e ogni mese la provincia ne distribuisce a una parte importante della popolazione l’equivalente di 40 euro, come bonus (1000 pesos sono circa un euro).
Negozi, distributori ed esercizi commerciali non sono obbligati ad accettarli, ma il governo li ha fortemente invitati a farlo e molti hanno aderito anche per rivitalizzare le proprie attività, visto che la diffusa povertà e la recessione avevano diminuito la domanda. Chi li incassa può iscriversi in particolari registri e andare poi negli uffici pubblici per cambiarli in pesos. A chi li conserva fino a dicembre, il governo ha promesso un interesse del 17 per cento (in cinque mesi): ogni chacho varrà allora 1,17 pesos.
In questo modo il governo locale di La Rioja vuole far circolare del denaro, anche in un momento in cui le proprie casse non lo permetterebbero, rinviando a fine anno la conversione in valuta “reale” (ossia in pesos). Nonostante le molte code per ottenerli e la difficoltà di trovare negozi convenzionati dove spenderli, i 40 euro di bonus sono una cifra che per molti abitanti è piuttosto consistente.
Insomma, niente di esageratamente nuovo, soprattutto se siete familiari con storie come quella del Sardex, la cometa complementare sarda che ha aiutato moltissimo l’economia dell’isola e non solo in un momento di crisi economica e che poi si è espansa a varie zone d’Italia. Ma una conferma di come l’ingegno umano e la solidarietà possano aiutare nei momenti di difficoltà.
Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato, in un articolo a firma dell’etologa Chiara Grasso, dei tanti benefici dell’educazione outdoor, ovvero quel tipo di educazione in cui i bambini/e passano tante ore all’aperto in contattatto con la natura.
Ora dalla Finlandia arriva una ulteriore conferma, devo dire anche abbastanza sorprendente, di questo fatto. leggo da Esquire che “Un nuovo esperimento condotto in Finlandia ha scoperto gli effetti benefici che porta il contatto profondo con la natura quando si è piccoli. Un asilo nido ha messo a disposizione una “mini foresta” e l’ambiente del sottobosco per i suoi bambini, scoprendo che la diversità dei microbi nell’intestino e sulla pelle sembrava più sana in un ambiente più sano.
Rispetto ad altri bambini di città che giocano in asili nido urbani standard con metri di pavimentazione, piastrelle e ghiaia, questi hanno mostrato un aumento delle cellule T e di altri importanti marcatori immunitari nel sangue entro 28 giorni.
Come ha spiegato la scienziata ambientale Marja Roslund dell’Università di Helsinki:
“Abbiamo anche scoperto che il microbiota intestinale dei bambini che ricevevano piante verdi era simile al microbiota intestinale dei bambini che visitavano la foresta ogni giorno”,
Ricerche precedenti hanno dimostrato che l’esposizione precoce allo spazio verde è in qualche modo collegata a un sistema immunitario ben funzionante, ma non è ancora del tutto chiaro se tale relazione sia causale o meno.
“I risultati di questo studio supportano l’ipotesi della biodiversità e il concetto che una bassa biodiversità nell’ambiente di vita moderno può portare a un sistema immunitario non istruito e di conseguenza aumentare la prevalenza di malattie immunomediate”, hanno spiegato gli autori nello studio (pubblicato nel 2020).
Infine – elemento essenziale, Il legame con la natura da bambino è positivo anche per il futuro degli ecosistemi del nostro pianeta. Gli studi dimostrano infatti che i bambini che trascorrono del tempo all’aria aperta hanno maggiori probabilità di voler diventare ambientalisti da adulti e, in un mondo in rapido cambiamento, questo è più importante che mai.
“In qualità di anima della Librìdo mi rivolgo a tutti coloro che, in questi quasi quattro anni di attività ed eventi, sono passati, hanno preso un caffè, una birra, uno spritz oppure un libro, sono venuti a suonare, a presentare la propria opera letteraria, a esporre i propri dipinti, a offrirci la loro bravura attoriale o semplicemente a curiosare tra gli scaffali”. Inizia così la lettera aperta di Milena Antonucci, titolare del caffè-libreria Librìdo di Genova, una storia che vi abbiamo raccontato su LCC, che si è ritrovata nei giorni scorsi a chiedere un supporto concreto alla cittadinanza e a figure professionali che possano aiutarla nella gestione della parte economica dell’attività.
Come scrive Valentina D’Amora nell’articolo che abbiamo pubblicato ieri su LCC, “La Librìdo non è mai stata un bar “normale” ed è proprio per questo che nel 2021 destò subito la mia curiosità. Una caffetteria particolare, gestita da una persona decisamente fuori dal comune, con uno sguardo attento nei confronti della cultura, dell’arte e del teatro. Un luogo stravagante, in una piazzetta deliziosa – i Truogoli di Santa Brigida – che colpisce subito chi vi fa capolino.
Ofra però questa libreria è in difficoltà e aiutarla può essere un atto d’amore. Se volete scoprire come leggetevi bene l’articolo di Valentina.
Vi segnalo anche che oggi invece esce una mia intervista a Bruno Sebastianelli, fondatore di la Terra e il Cielo, storico marchio del bio marchigiano, in occasione dell’unione fra l’azienda e Girolomoni, altro storico marchio del bio marchigiano. La chiacchierata è stata anche un occasione per parlare del presente e del futuro del bio.
#sentenze
Avvenire – Ambiente. La natura vince in tribunale: un fiume inquinato può essere risarcito
il Post – Una sentenza importante per un grave caso di danno ambientale
#educazioneoutdoor
Esquire – La Finlandia ha fatto questo, e forse i bambini stanno meglio
#monetecomplementari
il Post – La provincia argentina dove si paga con i “chachos”
#libreria
Italia che Cambia – L’appello di Milena Antonucci per salvare Librìdo, il caffè-libreria di Genova
#biologico
Italia che Cambia – Accordo Girolomoni-La Terra e il Cielo: il bio marchigiano insieme per resistere alle distorsioni dei mercati