18 Lug 2024

Dalle crepe nel modello standard alla teoria delle stringhe. La scienza è in crisi? – #967

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Oggi puntata speciale dedicata alle novità dal mondo scientifico. Una scienza che traballa un po’ nelle sue fondamenta, tant’è che parliamo di se e quanto le caratteristiche del nostro cervello possono influire sulle leggi che scopriamo, delle crepe sempre più evidenti nel modello standard e di quello che viene chiamato disallineamento evolutivo.

Voglio iniziare questa puntata in maniera un po’ anomala, da una notizia che non è una notizia, non è neanche un articolo, è l’introduzione di un libro, ma che ho trovato davvero interessante e che mi pare possa fornire una cornice a questo episodio. L’introduzione in questione è quella del libro “Quell’osso di babbuino lanciato nell’Universo. Una storia per aneddoti di come abbiamo scoperto il Cosmo” del giornalista e divulgatore Luigi Grassia ed è riportata, almeno questo sì, in un articolo della Stampa.

Nell’introduzione del libro Grassia si pone una serie di domande interessanti, di quelle che probabilmente molte persone curiose si sono poste, e inizia a dare anche qualche risposta, sulle leggi della fisica e della matematica. Il tema centrale è: le leggi scientifiche sono una roba eterna e immutabile, oggettiva, oppure mutano esse stesse, emergono da altre cose, e quanto noi che le cerchiamo le influenziamo in qualche forma? 

Vi leggo qualche passaggio: “Fino a che punto le leggi scientifiche che via via scopriamo sono oggettive? Se riavvolgessimo il nastro della storia e poi lo facessimo ripartire da zero, ma lasciando libero corso agli eventi, senza obbligo di replicare esattamente quanto avvenuto al genere umano in milioni di anni, e ipotizzassimo una diversa evoluzione biologica dell’umanità, così diversa da produrre facoltà cognitive differenti da quelle dell’umanità attuale, in quel mondo parallelo e alternativo la scienza risulterebbe molto cambiata rispetto alla nostra, in termini di sostanza, oppure no?”“Uomini e donne con un cervello più piccolo, più grande o comunque diverso dal nostro produrrebbero leggi scientifiche comparabili con le nostre, con qualcosa in più o qualcosa in meno nei vari stadi di sviluppo, o invece totalmente differenti fin dalla radice? In altre parole, le leggi della natura, come da noi intuite e formalizzate, sono qualcosa di oggettivo che via via andiamo scoprendo, o sono invece qualcosa di soggettivo, che noi esseri umani creiamo di sana pianta con il nostro cervello?” 

L’autore fa diversi esempi. A partire dalla teoria delle stringhe. “Per ora non definiamo tale teoria, particolarmente problematica, ma osserviamo che la regola scientifica generale vuole che si scopra un fenomeno e poi si formalizzino la teoria fisica e le strutture matematiche che interpretano tale fenomeno; invece, nel caso delle “stringhe” è successo il contrario: da più di 50 anni si accumulano teorie fisiche e modelli matematici sempre più complicati in assenza di prove di fenomeni fisici a supporto; ora, se finalmente le prove sperimentali della teoria delle stringhe venissero trovate, dovremmo semplicemente gioire del risultato, o un po’ anche sospettare, a latere, di aver semplicemente costruito ad arte la dimostrazione di quello che volevamo trovare a tutti i costi?

Qualcosa del genere è già successo, in modo anche più clamoroso, e ha coinvolto nientemeno che la relatività di Einstein. Un matematico italiano, Gregorio Ricci Curbastro, aveva concepito da zero una struttura matematica che chiamò calcolo differenziale assoluto, senza minimamente immaginare che potesse mai avere un’applicazione fisica. Lo fece quasi per gioco. Molti anni dopo Einstein trovò quella struttura matematica calzante per fondare la sua relatività generale, e scrisse una lettera per ringraziare. E la fisica è piena di queste strane coincidenze. Cose fatte per caso, che si dimostrano fondamentali per dimostrare altre teorie.

Alcuni fisici ritengono che “le leggi della natura che noi scopriamo, o crediamo di scoprire, siano in realtà una ‘proprietà emergente’ dell’Universo, cioè non esistano fin dall’inizio, come regole oggettive che vengono da noi progressivamente svelate, ma invece derivino da un Caos che si auto-organizza”, e in cui il tutto trascende la somma delle parti, così come le prestazioni del cervello non si limitano a essere la somma di quelle di 100 miliardi di singoli neuroni, ma le trascendono e le moltiplicano per trilioni di volte.

Ci sono anche teorie che sviluppando questo ragionamento, come quella di Seth Lloyd, del Massachusetts Institute of Technology, propongono l’idea che il Cosmo funzioni come un gigantesco computer quantistico, in cui ogni singola micro-parte dell’Universo, anche la più piccola interazione fra particelle, sarebbe sede di un interscambio di bit di informazione, mediato da una serie di calcoli, secondo le procedure della computazione quantistica. 

E la stessa plasticità creativa della computazione quantistica, grazie a quantum bit che sfuggono alla meccanica deterministica 0 o 1, potrebbe spiegare la “proprietà emergente” della vita e quella dell’intelligenza. Insomma, forse siamo solo una parte infinitesimale di un gigantesco computer quantistico che noi abbiamo chiamato universo, ma che magari qualcuno sta usando per giocare a, che ne so, solitario o campo minato. 

Comunque, sono tutte teorie difficili da dimostrare, ma credo che continuare a riflettere su questi aspetti e a chiederci cos’è la scienza ci aiuti a non dare mai niente per scontato e a ricordarci che in fin dei conti sappiamo ben poco di tutto ciò che ci circonda.

Comunque, è un tema che mi affascina molto e visto che ci ho già ragionato in passato, vi lancio una proposta. Perché io ho un’idea per testare quanto le leggi della fisica siano oggettive o quanto dipendano dalle nostre menti, che magari è una cagata, però a me intriga. E visto che non lo farò mai, lancio la cosa nel mucchio, metti che qualcuno vuole farla davvero. Perché non costruire un’IA con il compito di scrivere le leggi della fisica e della matematica da 0 partendo solo dall’osservazione del mondo? Cioè: noi ci limitiamo a fornire input, anzi a darle l’accesso ad esempio ai dati che arrivano dai telescopi, dai microscopi, a dotarla di sensi per esplorare, in qualche modo e basta. E le chiediamo di capirci qualcosa. Poi ogni tot confrontiamo i risultati con i nostri. Che dite, lo facciamo?

A proposito di dubbi, domande e paradigmi che sembrano sul punto di sgretolarsi, c’è il problema del modello standard. Se non sbaglio avevamo già accennato alle crepe, che poi sembravano essere rientrate, ma che adesso si ripresentano con forza. 

In pratica il modello standard, il cui nome completo è modello standard della fisica delle particelle, è come se fosse il pacchetto, l’elenco di tutti gli elementi essenziali, di base, che compongono dell’universo. Quindi, sostanzialmente particelle e forze. Le particelle sono i mattoncini essenziali di cui sono fatte le cose, quark, neutrini, fotoni, il bosone di Higgs e così via, e poi le forze fondamentali, che sono le due forze nucleari, quella forte e quella debole, la gravità e la forza elettromagnetica.

Il modello standard comunque non è un semplice elenco di cose, ma prevede anche, con una incredibile precisione, le proprietà delle particelle elementari e delle forze. 

Al tempo stesso, sappiamo che è incompleto, ad esempio non è in grado di spiegare la gravità, non include la materia oscura (una sostanza misteriosa rilevabile solo attraverso la sua attrazione gravitazionale) ne riesce a spiegare dove sia finita tutta l’antimateria nell’universo primordiale. 

Negli anni i fisici hanno dedicato molto tempo, sforzi e denaro a eseguire esperimenti sempre più elaborati nel tentativo di vedere dove il Modello Standard fallisce, nella speranza di trovare un indizio per la teoria che lo sostituirà. Ma il Modello Standard ha resistito, prevedendo ostinatamente i risultati di ogni esperimento a cui i fisici lo hanno sottoposto.

Tuttavia, come racconta l’Economist, questo potrebbe cambiare. In un articolo pubblicato la scorsa settimana su Science, un team di ricercatori del Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory) in America ha annunciato che la massa di una particella elementare chiamata bosone W sembra essere maggiore di quanto previsto dal Modello Standard. 

La differenza è piccola, solo un centesimo di percento, ma la precisione della misurazione supera quella di tutti gli esperimenti precedenti combinati. In pratica le probabilità che questo risultato sia casuale è solo una su un trilione. Quindi ecco, è un dato abbastanza certo.

Non vi sto qui a spiegare i dettagli dell’esperimento che ha scoperto questa cosa. Il punto è che questa scoperta potrebbe avere grosse ripercussioni. I bosono sono delle particelle strane, che esistono in funzione delle loro interazioni con altre particelle. In particolare il bosone W media l’interazione debole, ma ha a differenza di altre particelle che trasportano forza ha una massa, anche bella grossa, e riesce anche a trasformare le altre particelle che incontra in qualcos’altro. Ad esempio può trasformare gli elettroni in neutrini, può trasformare i quark da un tipo a un altro e così via.

Ciò significa che la massa del bosone W è collegata alla massa di diverse altre particelle elementari. Tant’è che gli scienziati usano il bosone W per calcolare la massa di altre particelle. Se viene fuori che il bosone W è più massiccio di quanto previsto dal Modello Standard, significa che qualcos’altro lo stia influenzando, che esiste una particella o una forza ancora non scoperta. Per i fisici delle particelle, questa è una prospettiva eccitante. 

E non è l’unica crepa nel modello standard. Già nel marzo 2021, gli scienziati del CERN hanno riportato prove che un’altra particella, una tipologia di quark chiamata quark bottom, decade in elettroni e muoni in numeri disuguali, contraddicendo il Modello Standard. Solo tre settimane dopo, il Fermilab ha annunciato che il momento magnetico del muone sembra essere maggiore di quanto previsto dal Modello Standard. 

Insomma, se i risultati sono reali, allora il modello standard è perlomeno incompleto. In tutto ciò, ci sono delle strane incongruenze anche nelle ricerche. Ad esempio questo ultimo studio sulla massa del bosone W contraddice la precedente migliore misurazione della massa della stessa particella, effettuata nel 2017 presso un altro laboratorio. Quella era in stretta concordanza con il Modello Standard, e anche se era meno accurata, parliamo comunque di probabilità di errore minime.

Comunque quest’ultimo studio rappresenta la prova più forte fino ad ora dell’esistenza di una fisica che va oltre il Modello Standard e quindi aumentano le probabilità che il modello più accurato che abbiamo per conoscere le basi dell’Universo sia almeno in parte da rifare, da integrare. La cosa che mi affascina della scienza è l’eccitazione che si respira quando escono risultati come questo. La ricerca scientifica, se è fatta bene, è uno dei pochi ambiti in cui si è contenti nello smentire le proprie certezze.

Proseguiamo con un articolo molto interessante questa volta del Post che racconta la teoria del disallineamento evolutivo. È una roba di cui abbiamo parlato spesso anche qua, nel suo succo, ma che non sapevo fosse chiamata così. Sostanzialmente l’idea di “disallineamento evolutivo” in biologia evolutiva ci dice che ciò che un tempo, in un vcerto momento della storia evolutiva di una specie, era utile, può diventare un problema quando l’ambiente cambia rapidamente. Questo concetto è usato anche in psicologia per spiegare perché alcuni di noi faticano ad affrontare i cambiamenti veloci della vita moderna rispetto ai tempi ancestrali.

Gli esperti sostengono che molti problemi di salute mentale derivino dal fatto che l’evoluzione del nostro cervello non riesce a stare al passo con i ritmi della modernizzazione. Insomma, siamo progettati per un mondo diverso da quello in cui viviamo oggi.

Un esempio abbastanza citato di disallineamento evolutivo in biologia sono le falene e altri animali notturni che si sono evoluti per orientarsi al buio, utilizzando la luna come sorgente luminosa di riferimento. L’invenzione umana della luce artificiale ha fatto sì che quegli animali venissero attratti dalla luce dei lampioni e di altre sorgenti, rendendo disadattivo in tempi molto brevi un comportamento originariamente adattivo.

Venendo agli umani, un esempio classico è la nostra attrazione per i dolci. In passato, cercare cibi calorici era vitale per sopravvivere, ma oggi, con l’abbondanza di cibi zuccherati, questo desiderio ci porta a problemi di salute come obesità e diabete. 

Anche l’ansia ha radici evolutive. I nostri antenati dovevano essere sempre pronti a combattere o scappare dalle minacce, mentre oggi la nostra ansia è spesso scatenata da notizie o post sui social media, che attivano quei vecchi meccanismi di allarme.

Allo stesso modo vivere in grandi città affollate o essere sempre connessi digitalmente può farci sentire soli e ansiosi, perché i nostri istinti si sono evoluti in piccoli gruppi di persone strettamente legate tra loro. Questo porta a stress e problemi di salute, simili a quelli degli animali sociali che vivono in spazi sovraffollati.

Anche preoccuparsi dello status sociale dei propri simili deriva da un comportamento che in origine era adattivo perché motivava gli individui a colmare eventuali divari, ma può diventare disadattivo e generare ansia in un contesto in cui la disuguaglianza sociale è troppo ampia, ha scritto Yong. I social network sono costruiti in un modo che favorisce ulteriormente i confronti sociali, attraverso la metrica dei mi piace e dei follower, e i media danno visibilità continua «a persone come Elon Musk», il cui patrimonio netto per essere eguagliato richiederebbe a un americano medio di lavorare per tre milioni di anni al proprio salario medio annuo.

Insomma, seconda questa teoria la tecnologia corre troppo veloce e crea contesti diversi, per i quali non ci siamo evoluti, non siamo adatti, e la tecnologia sfrutta questi bug del nostro cervello che improvvisamente diventano disadattivi. Non è niente di particolarmente nuovo, però mi sembrava interessante.

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