22 Set 2023

Di santuari animali violati e granchi blu – #797

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Per la prima volta le forze dell’ordine hanno fatto irruzione in un santuario degli animali dove si era registrato un piccolo focolaio di peste suina per sopprimere dei maiali. Parliamone. Parliamo anche del granchio blu, la specie alloctona infestante che ha colonizzato diverse coste italiane e della legge che impedirà la triturazione dei pulcini maschi. Oggi puntata dedicata alle altre specie animali.

Oggi puntata dedicata a fatti che coinvolgono altre specie animali. Altre specie oltre alla nostra, a homo sapiens, a cui sono dedicate la quasi totalità delle notizie che riempiono i nostri giornali. Che giustamente sono ideati, pubblicati, scritti e diretti da sapiens, quindi è normale. Se fossero fatti da, che ne so, dei pesci, parlerebbero molto di più di barriere coralline, alghe, scogli e qualsiasi altra cosa interessi ai pesci. Va bene, faccio il serio, anche perché la prima notizia che vi do include una buona dose di dolore e sofferenza al suo interno.

Sto parlando di quanto è successo al santuario degli animali Progetto Cuori Liberi, dove la polizia ha fatto irruzione e ha ucciso dieci suini per via di un focolaio di peste suina, nonostante la resistenza e l’opposizione dei suoi gestori. 

Come al solito, partiamo dal capire che cosa è successo, anzi dal capire che cos’è un santuario animale. I santuari animali sono dei luoghi dove vivono animali sottratti al macello o a situazioni di sfruttamento. Luoghi in cui, come scrive Alice Pomiato su terranuova “Questi animali vengono accolti, curati, amati e protetti da persone che diventano la loro nuova famiglia e comunità. Quando un animale viene salvato da un allevamento intensivo, o da una qualsiasi altra situazione di maltrattamento, e portato in questi luoghi, gli si fa una promessa: ‘qui sei al sicuro, qui sei libero di essere e nessuno ti potrà più fare del male’. Non sono più numeri, non sono più destinati alla produzione alimentare, sono tutti dotati di microchip per evitare che la loro carne venga destinata al consumo e tornano a essere liberi, con un nome e una vita dignitosa”. 

Quindi, capite che il contesto è quello di un luogo dove vivono animali liberati da allevamenti intensivi e persone che considerano questi animali parte della loro famiglia. 

In questo caso specifico ci troviamo al santuario Cuori Liberi, a Sairano, una frazione di Zinasco, nel pavese. Da qualche settimana è noto che c’è un piccolo focolaio di peste suina all’interno del santuario. Due maiali dei dieci presenti hanno contratto il virus. I responsabili chiedono di poter gestire gli animali in cura e di poterli assistere e accompagnare all’eventuale trapasso nella loro stessa casa, assistiti da un veterinario di fiducia. Cuori Liberi invia una richiesta ufficiale di sospensione e revoca del provvedimento di abbattimento ad Ats e Regione Lombardia, che li rigettano, rimandando l’ordinanza che impone l’abbattimento di tutti i maiali presenti: sia quelli contagiati da peste suina africana sia quelli ancora sani. 

C’è quindi una mobilitazione nazionale e decine di persone arrivano da tutta Italia a Zinasco per impedire fisicamente l’accesso al rifugio e scongiurare l’uccisione dei maiali sopravvissuti.

Per due settimane va avanti un presidio, ma all’alba di ieri carabinieri e polizia organizzano un blitz all’alba per entrare con la forza. Arrivano una decina di camionette della polizia con agenti in assetto antisommossa. Come scrive sempre Alice Pomiato, “è la prima volta in Italia che le forze dell’ordine entrano con la forza all’interno di un rifugio permanente per animali liberati”. 

Risultato, nel parapiglia generale tutti e dieci i maiali presenti vengono portati via e poi uccisi dai veterinari dell’Ats. 

Vi leggo alcune dichiarazioni di attivisti e attiviste presenti sempre nell’articolo. «Gli attivisti sono stati portati via di peso dalle forze dell’ordine, molti sono stati malmenati, alcuni sono stati fatti salire sulle camionette della celere e portati via senza rispettare i protocolli di sicurezza e sanificazione», questa è una dichiarazione della portavoce della Rete dei Santuari. 

Mentre i portavoce di Oipa, l’Organizzazione internazionale protezione animali dichiarano: «Quei dieci animali, se tenuti in vita, sarebbero stati il simbolo del riscatto del lato umano che dovrebbe guidare leggi, regolamenti, ordinanze. Invece le autorità sono entrate ignorando le richieste degli attivisti e delle associazioni per la tutela degli animali. In definitiva, di fronte a dieci animali perfettamente isolati, non destinati alla filiera alimentare, alcuni sani, altri portatori sani di Psa, si è preferito trattarli, come sempre, come oggetti, merce. Queste le dimensioni più generali di un’ecatombe dettata dall’esistenza di allevamenti, intensivi e non, di animali considerati come mera fonte di reddito».

Va bene, facciamo un respiro. È una notizia ad alto carico emotivo, che tira in ballo diverse questioni: quella della peste suina, quella dei santuari animali e quella degli allevamenti. 

La questione della peste suina è questa: La peste suina africana è una malattia infettiva di origine virale e molto contagiosa che colpisce maiali e cinghiali (non l’uomo) e per la quale non sono disponibili al momento terapie specifiche. 

Per confinarla molte regioni italiane, soprattutto quelle con molti allevamenti di maiali, hanno adottato delle leggi che prevedono l’uccisione immediata di tutti gli esemplari – sani e malati – quando viene identificato un focolaio. Anche se questo spesso non avviene. Scrive ancora Alice Pomiato: “Qualche settimana fa, proprio nella provincia pavese un allevatore e il veterinario che lo seguiva sono stati indagati per non aver denunciato un focolaio che, non gestito in tempo, ha trovato il modo di diffondere la malattia. Nella sola provincia di Pavia, dove si trova il santuario Cuori Liberi, ad oggi a pagare il prezzo di tutta questa violenza e negligenza sono stati circa 34.000 maiali in 8 focolai, a cui è stata tolta la vita in modo barbaro”.

La peste suina, come vi dicevo, non è pericolosa per l’uomo ed è temuta soprattutto per il suo impatto sull’industria zootecnica. Sugli allevamenti e la produzione di carne in pratica. Che ovviamente ne rappresenta anche il principale epicentro di diffusione. Nel caso dei santuari animali, dove gli animali non sono fonte di reddito e non vivono tutti stipati assieme, dove le persone hanno un forte legame emotivo con essi, e possono garantire un isolamento completo degli esemplari malati, applicare le stesse regole previste dagli allevamenti mi sembra miope. 

E ad ogni modo le modalità con cui è stato fatto, sono state violente. Pensate alla stessa cosa applicata a cani e gatti domestici, se ne avete. Perché gli animali dei santuari sono animali da compagnia a tutti gli effetti. Perché la differenza fra un animale da macello e un animale da compagnia, in fin dei conti, è solo il legame affettivo che instauriamo con esso. È una pura convenzione sociale.  

Poi, sullo sfondo di tutto ciò, sia della questione dei santuari che su quella della peste suina, c’è il macro tema, quello degli allevamenti intensivi. Che sono una roba che non dovrebbe esistere da un punto di vista ecologico, etico, sanitario e così via. Una roba che dobbiamo iniziare a chiudere e mandare nel dimenticatoio, se vogliamo costruire una società più ecologica.

Certo che anche chiudere gli allevamenti intensivi non è una cosa semplice e solleva, mi solleva, una grossa domanda. Ormai circa il 96% dei mammiferi terrestri è rappresentato da animali da allevamento. Sono animali perlopiù inadatti a vivere in natura, selezionati geneticamente da secoli per essere allevati. Se chiudiamo tutti gli allevamenti intensivi, che fine fanno? 

Passiamo a un’altra questione di cui avrete sentito parlare certamente nelle ultime settimane. Sto parlando del granchio blu. Da giorni il web si è riempito di ricette, dibattiti sul suo essere più o meno buono e opinioni su questa specie alloctona che sta proliferando in Italia. 

Anche qui, partiamo dal capire cosa sta succedendo. Il granchio blu è una specie di granchio di grosse dimensioni, alloctona, ovvero che non è originaria del mar mediterraneo. . In realtà è un insieme di specie. Quella di cui parliamo in Italia si chiama Callinectes sapidus e viene dalle coste atlantiche del continente americano. Come esattamente sia finito dalle nostre parti non si sa esattamente, ma di base in questi casi è sempre colpa della nostra specie. Insomma, non ci è arrivato sulle sue zampe. L’ipotesi più plausibile è che sia giunta in Mediterraneo attraverso le acque di zavorra delle navi.

Il problema delle specie alloctone è che quando arrivano in habitat diversi dai loro o non resistono un giorno, perché non si adattano, oppure proliferano perché in quegli habitat non hanno predatori e hanno molte prede. E proliferando mettono in grossa crisi l’equilibrio di quell’ecosistema perché finiscono con lo sterminare tutte le possibili prede.

Nel caso del granchio blu, sta facendo una strage di molluschi. I giornali riportano soprattutto i dati di cozze e vongole e la mettono, come al solito, in termini commerciali. Molti riportano lo studio di Fedagripesca-Confcooperative che come “nei mesi estivi, abbiamo già perso oltre il 50% della produzione di vongole e cozze, per un danno di 100mila euro che potrebbe superar eil miliardo nei prossimi anni.

Il danno economico però, nelle analisi dei giornali, oscura quello che è il danno più preoccupante, ovvero l’alterazione degli equilibri ecosistemici. Preoccupante non per gli ecosistemi, intendiamoci, che nel giro di qualche migliaio di anni troveranno un nuovo equilibrio, ma per noi e per migliaia di altre specie, che con quegli equilibri ci siamo co-evoluti.

Comunque, sia il governo che altre organizzazioni si sono mossi per arginarne la diffusione. Come spiega Alessia Capasso su Udine Today, “Nel corso dell’estate organizzazioni agroalimentari, come la Coldiretti, e membri del governo italiano, si sono prodigati per diffondere una strategia di contrattacco che permettesse di eliminare questo eccesso di granchi blu nel modo ritenuto più semplice: mettendoli a tavola. Il governo ha stanziato 2,9 milioni di euro per finanziarne la cattura e lo smaltimento, autorizzando l’utilizzo di nasse, cestelli e reti da posta fissa entro una distanza di 0,3 miglia dalla costa e vicino alle foce dei fiumi.

A questi provvedimenti è stata associata una campagna mediatica finalizzata ad elogiare e proporre in tante ricette la nuova prelibatezza. La stessa premier Giorgia Meloni si è fatta immortalare con un piatto di granchi blu durante un pranzo. Alla condivisione sui social ha provveduto direttamente l’attuale ministro dell’Agricoltura, nonché cognato, Francesco Lollobrigida. Il capo del dicastero, che si occupa anche di Pesca, da parte sua si è prodigato in un video in veste di chef, cucinando personalmente il crostaceo e invitando gli italiani a sperimentare la delizia dei piatti cucinati con questo ingrediente, al fine di salvaguardare il Mediterraneo.

Questo è quanto. Commenti? Io partirei col dire che trovo paradossale  – come abbiamo spesso notato – dialettica di molti giornali che utilizza questa sorta proiezione di sentimenti e intenzioni umane su questa specie. Per cui i granchi blu sono invasori da sconfiggere, che distruggono la nostra economia, quasi come fossero portatori di una sorta di volontà di danneggiarci. Quando, appunto, ricordiamoci che non ci sono arrivati da soli fin qua.

Ma quindi che soluzioni abbiamo? Devo dire che non ne ho trovate molte di alternative, guardandomi in giro, se non quella di assumere noi homo sapiens il ruolo di predatori, che mancano nel resto dell’ecosistema. Quindi iniziare a pescare e nutrirci di granchi. 

Specifico però 2 cose. La prima è che torneremo ad approfondire la questione in uno spazio dedicato, su ICC, che vada oltre i confini angusti di questa rassegna, per capire se effettivamente è così. 

La seconda è che c’è modo e modo di pescare questi granchi. Ad esempio il WWF racconta la case history di successo della Tunisia, dove due specie invasive di granchio blu dal 2014 avevano cominciato a proliferare su quelle coste, sono diventate oggi per i pescatori tunisini una risorsa talmente importante tanto da far coniare loro un motto: “De l’horreur a l’or”, “Dall’orrore all’oro”. 

E che paradossalmente, oltre a portare vantaggi economici, ha portato vantaggi ecologici perché oggi l’80% dei pescatori usa le nasse mentre nel 2014 l’intera flotta pescava con le reti che sono molto più invasive. 

Come spiega l’articolo “Di fronte all’esplosione del granchio blu i pescatori tunisini si sono ingegnati e hanno costruito delle  nasse appositamente modificate per catturarlo. Si tratta di trappole, un sistema di pesca passivo che non viene trainato sul fondale e garantisce una cattura più selettiva delle reti. Se adeguatamente gestite, hanno un impatto ambientale ridotto. 

E anche Grecia e Spagna stanno già affrontando da tempo lo stesso problema, e in varie aree i pescatori si sono adattati alla pesca del granchio con le nasse. Tutto ciò, sempre che si possa continuare a farlo. perché come racconta ancora Udine Today il granchio blu potrebbe essere inserito dall’Ue nella lista delle specie esotiche invasive di interesse comunitario. A quel punto il crostaceo non potrebbe più essere scambiato, commercializzato tanto meno mangiato. Staremo a vedere.

Chiudiamo con una notizia di tutt’altro tono, che segna un avanzamento importante sul tema dei diritti animali nel nostro paese. Come scrive Francesca Capozzi su GreenMe “Dopo anni di battaglie il Governo italiano ha emanato il decreto attuativo che vieterà l’uccisione dei pulcini maschi tramite tritatura su tutto il territorio nazionale. 

Se non sapete cos’è la pratica della tritatura, forse non volete saperlo. Ad ogni modo è esattamente quello che state pensando. Non vi darò altri dettagli. Il motivo di questa pratica è che i pulcini maschi delle galline ovaiole sono inutili per la produzione di uova e quindi… ecco.

Ora. Ci sono dei però. Il primo è che il bando di questa pratica entrerà in vigore in Italia entro il 31 dicembre 2026.

Inoltre, leggo dall’articolo “il testo normativo imporrà sì il il divieto di abbattimento selettivo e divieto totale dell’abbattimento dei pulcini maschi per macerazione ossia tritati vivi appena nati, ma vi sarà un ampio ventaglio di deroghe. Le deroghe includono errori di sessaggio, blocco o malfunzionamento delle macchine di ovosessaggio (macchine in grado cioè di conoscere il sesso del pulcino prima della nascita), necessità di depopolamento, motivi di salute pubblica e in caso di abbattimento dei pulcini per fini scientifici”.

Questo significa che questi animali continueranno a morire. Un passo avanti  incompleto che non fermerà completamente la strage che si verifica ininterrottamente negli allevamenti.

Il decreto attuativo stabilisce anche una nuova destinazione per i pulcini maschi nati. Questi potranno essere affidati ad associazioni in possesso di specifici requisiti oppure diventare in alternativa cibo per gli animali nell’industria del pet food. Quest’ultima possibilità dovrebbe essere marginale.

La misura, fortemente voluta dalle associazioni animaliste, allineerà l’Italia sul modello di altri Stati comunitari che hanno già recepito le direttive europee. L’Italia lo farà, solo non come ci si era augurato.

Le organizzazioni per i diritti animali criticano anche la tempistica delle tecniche di ovosessaggio. Ciò potrà avvenire fino al 14° giorno di incubazione dell’uovo, periodo ritenuto eccessivo e contestato dalla comunità scientifica, che indica invece la metà dei giorni come tempi ragionevoli per non provocare inutile dolore agli animali. La speranza delle organizzazioni è che il decreto attuativo sia oggetto di revisione e che venga migliorato. Ci aggiorniamo anche su questo.

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