27 Giu 2023

Russia: se la Nato preferisce Putin al caos – #753

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Torniamo a parlare del tentato ammutinamento che Yevgeny Prigozhin e le sue truppe private, il Gruppo Wagner, hanno condotto nei confronti dei vertici militari russi, perché ci sono diverse novità. Parliamo anche della bella notizia che ci arriva dal Perù, dove una commissione ha bocciato la cosiddetta legge genocida, che avrebbe messo in pericolo decine di tribù incontattate o di recente contatto, e delle destre che continuano a vincere in Europa.

Va bene, ricominciamo da dove ci eravamo lasciati ieri. Perché in queste ore sono arrivate alcune delle risposte, anche se ancora incomplete e parziali, alle domande che ci facevamo nella puntata di ieri. 

Una delle principali domande era: che fine farà il gruppo Wagner? E questo che conseguenze avrà sul conflitto? Secondo Daniele Raineri, inviato di Repubblica, la “fine” del gruppo Wagner non sarà unica. Infatti, scrive, “Quando il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, annuncia lo scioglimento del gruppo Wagner e il suo assorbimento nell’esercito regolare trascura di dire che la brigata di mercenari è divisa in due grandi spezzoni: quello che si occupa della guerra in Ucraina e quello che fa lucrosi affari all’estero e soprattutto negli Stati africani, dalle miniere d’oro del Sudan al commercio del legno pregiato nella Repubblica Centrafricana”.

In pratica secondo l’inviato di Repubblica la parte che opera in Africa e in altre zone del mondo resterà sotto il controllo diretto di Prigozhin, mentre la parte che opera in Ucraina sarà riassorbita dall’esercito. Questa operazione però potrebbe non essere semplice.

“I membri della Wagner, infatti, si dividono in tre categorie, a grandi linee: i miliziani che operano in Africa, dove si arricchiscono anche grazie allo sfruttamento di miniere e all’addestramento delle truppe locali, quelli che in Ucraina «fanno da spina dorsale delle operazioni di combattimento e si occupano di mantenere la disciplina con esecuzioni e torture», e infine gli ex detenuti fatti uscire dal carcere per unirsi alle operazioni di combattimento. L’esercito regolare russo «può assorbire facilmente i nuovi arrivi, ma la vecchia guardia di Prigozhin formata da golpisti pronti a tutto e in cerca di nuovo denaro sarà molto più dura da persuadere e dovrà essere tenuta sotto sorveglianza». Quindi, al netto delle intenzioni, resta da capire se poi questo presunto piano del Cremlino è effettivamente attuabile.

Al netto delle sorti del Gruppo Wagner, è abbastanza condivisa l’idea che nell’immediato il ritiro di queste truppe dal fronte non avrà praticamente nessuna conseguenza. perché già nelle ultime settimane non erano utilizzate. La milizia privata di Prigozhin è infatti considerata – lo spiega ad esempio Rob Lee, un analista militare, al Financial Times – una milizia d’attacco, e non di difesa, e in questa fase del conflitto l’esercito russo è impegnato soprattutto in operazioni difensive, per difendersi dalla controffensiva ucraina iniziata tre settimane fa, che però fin qui non è riuscita a sfondare in nessun punto le linee difensive della Russia. 

Il New York Times ha fatto notare che le operazioni difensive russe hanno risentito così poco della tentata rivolta del gruppo Wagner che secondo alcuni funzionari statunitensi nessuna unità russa avrebbe lasciato le sue posizioni nel sud e nell’est dell’Ucraina per difendere le città che il gruppo Wagner stava attraversando in una marcia che stando agli annunci di Prigozhin era diretta a Mosca. Sabato inoltre l’esercito russo ha lanciato più di 50 missili contro l’Ucraina, a dimostrazione del fatto che le proprie operazioni non si erano interrotte in attesa di capire cosa sarebbe successo.

Una svolta che potrebbe essere molto più significativa, anche se al momento non è confermata da nessuna fonte ufficiale, potrebbe invece avvenire all’interno dell’establishment russo. Ne parla il Post, che scrive “La rivolta potrebbe avere avuto conseguenze anche sulla leadership militare russa, e quindi indirettamente anche sulla strategia che deciderà di seguire in Ucraina. Da domenica circolano voci su un presunto compromesso fra Prigozhin e il governo russo che avrebbe previsto la sospensione della rivolta in cambio delle dimissioni del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, e del capo dell’esercito russo, Valeri Gerasimov. Entrambi sono stati criticati pubblicamente per mesi da Prigozhin. Al momento il governo russo non ha confermato l’esistenza di alcun tipo di accordo, né annunciato cambiamenti ai vertici del proprio apparato militare”. 

Anche sulle sorti di Prigozhin stesso ci sono un po’ di dubbi. Ufficialmente si troverebbe già in Bielorussia, dopo aver accettato una sorta di esilio sotto la protezione, concordata con Putin, di Lukashenko. Ma non ci sono in realtà prove che il comandante della Wagner si trovi lì. 

Sempre su la Repubblica Enrico Franceschini riassume così la situazione: “Da Rostov, la città che aveva occupato facendone la base per la “marcia su Mosca”, se n’è andato tra gli applausi della popolazione. Nessuno, né l’esercito regolare, né la polizia, né i servizi segreti, ha per il momento provato a fermarlo militarmente in modo serio. E nessuno sa dove sia esattamente Prigozhin in questo momento, né quali siano le sue intenzioni. Nemmeno è chiaro se le decine di migliaia di uomini del Gruppo Wagner lo seguiranno in Bielorussia, si arruoleranno nelle file dell’Armata russa come offerto da Putin o continueranno a servire gli interessi del Cremlino, o eventualmente i propri interessi economici, in molteplici Paesi africani”.

Insomma, regna ancora molta incertezza. Nel frattempo si sono moltiplicate le reazioni da parte dei governi degli altri Paesi. Dopo aver lanciato una sorta di allarme sulla stabilità della Russia, Biden ha fatto una serie di telefonate ai suoi omologhi europei: il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, il Presidente francese Emmanuel Macron, e il premier inglese Rischi Sunak, “scordandosi” inizialmente di chiamare Meloni (suscitando un certo fastidio nel governo italiano). 

Ma come mai tutta questa apprensione e agitazione per una notizia come un tentato ammutinamento, che a logica dovrebbe far piacere alla Nato? Il motivo lo spiega un articolo sul Fatto Quotidiano: “l’indebolimento dello zar non è considerato un elemento positivo da tutti gli alleati. Anche gli altri Paesi ai confini est della Nato, non solo la Lituania, temono che uno “Stato fallito che è anche la più grande potenza nucleare al mondo” sia altrettanto se non più pericoloso di una Russia aggressiva ma stabile. Questo è l’altro punto che gli Stati Uniti stanno esaminando molto attentamente con i loro partner. L’Armageddon nucleare evocato da Biden mesi fa è stato evitato? O solo rinviato? 

Blinken ha rassicurato che gli Usa non hanno visto ragioni per cambiare la loro “postura”, ma è chiaro che nei prossimi giorni o mesi l’attenzione dell’Occidente sarà su quello. Un Putin dimezzato inoltre, questo è il ragionamento della Casa Bianca e delle cancellerie europee, potrebbe essere sfidato dagli oligarchi o dai leader di regioni come Cecenia e Tatarstan per avere maggiore autonomia o addirittura l’indipendenza. L’altro timore è che la Cina – che ha garantito pieno appoggio al capo del Cremlino – possa approfittare del caos per aumentare la sua influenza sulla Russia aiutando lo zar a restare al potere o favorendo la creazione di un governo fantoccio prima che l’Occidente avanzi qualche pretesa.

Spostiamoci in America latina dove è arrivata una notizia inattesa quanto meravigliosa. Non so se vi ricordate, ne parlammo anche qui su INMR, ma in Perù c’era da qualche mese una proposta di legge definita dai suoi oppositori e dalle comunità indigene “proposta di legge genocida”. Si tratta del Progetto di Legge 3518, avanzato da membri del Congresso conservatori, legati alla potente industria degli idrocarburi, e rappresentava una gravissima minaccia specialmente per le tante tribù incontattate del paese, le cui terre sarebbero state esposte allo sfruttamento industriale.

Ecco la bella notizia, riportata in un comunicato stampa da Survival international, l’organizzazione che si occupa di tutelare i diritti dei popoli indigeni, è che – leggo – “una importante commissione del Congresso ha bocciato il Progetto di Legge 3518..

Il PL 3518-2022 era già stato mandato al Congresso per il voto ma ora, grazie alla bocciatura e archiviazione da parte della “Commissione per la decentralizzazione”, il suo percorso è bloccato. 

Teresa Mayo, ricercatrice di Survival International l’ha definita “una grande vittoria per i popoli indigeni del Perù, per le loro organizzazioni e per le migliaia di persone comuni che in tutto il mondo hanno sostenuto la campagna contro questo devastante progetto di legge.”

Le organizzazioni indigene peruviane AIDESEP e ORPIO hanno esercitato forti pressioni e oltre 13.000 sostenitori di Survival hanno scritto ai membri della Commissione per la decentralizzazione, esortandoli a bloccare il disegno di legge. 

La notizia ha suscitato l’entusiasmo di molte organizzazioni. Ad esempio Tabea Casique (Ashaninca) di AIDESEP ha detto: “Sono molto felice perché abbiamo lavorato duramente per fermare questo disegno di legge che viola i diritti dei popoli incontattati e di recente contatto… L’archiviazione del disegno di legge protegge i nostri parenti incontattati, i loro diritti e le loro vite, ed evita il genocidio e l’ecocidio che avrebbe scatenato”. 

Ancora Teresa Mayo di Survival International ha detto: “È difficile credere che questo progetto fosse a pochi passi dall’essere approvato. Per i popoli incontattati del Perù sarebbe stata davvero una catastrofe: sarebbero rimasti alla mercè delle compagnie petrolifere e del gas che prendono di mira le loro terre e risorse ormai da generazioni. Sarebbero stati privati di tutti i loro diritti e molti di questi popoli sarebbero stati sterminati. Siamo molto felici che questo progetto di legge sia stato bloccato, ma continueremo a vigilare nel caso i giganti del petrolio e del gas, e i loro alleati politici, dovessero ritentarci.”

Molto bene, direi.

Passiamo invece a due elezioni che si sono tenute nel fine settimana e che hanno visto, come tratto comune, il trionfo di un partito di destra, pur con molte differenze. In Grecia le cose sono andate come da previsioni. Come leggo su un articolo su Domani, “Con il 40,3 per cento ottenuto dal suo partito, Nuova democrazia, il primo ministro uscente Kyriakos Mitsotakis ottiene la maggioranza assoluta dei seggi e si prepara a formare un governo monocolore

La destra di Nuova democrazia ha ottenuto il 40,3 per cento alle elezioni greche che si sono disputate ieri, ben 23 punti più di Syriza, la coalizione di sinistra guidata da Alexis Tsipras. Con questo risultato, il primo ministro uscente Kyriakos Mitsotakis ottiene la maggioranza assoluta dei seggi che aveva mancato alle elezioni che si erano disputate un mese fa.

Lo scorso 22 maggio, infatti, Nuova democrazia non ha raggiunto la maggioranza per cinque seggi e Mitsotakis aveva fatto sapere che intendeva affrontare un secondo turno delle elezioni in cui la legge elettorale prevede che il vincitore ottenga il 50 per cento dei seggi.

«Il nostro è il più forte partito europeo di centrodestra in Europa», ha detto Mitsotakis. Il premier Mitsotakis discende da una delle famiglie più blasonate della politica greca. Figlio di un primo ministro, suo nipote è l’attuale sindaco di Atene e la sorella è l’ex ministro degli Esteri.

l suo governo è stato caratterizzato da scandali e incidenti, come l’affondamento di un barcone di migranti, che potrebbe aver causato fino a 600 morti, il deragliamento di un treno lo scorso marzo che ha causato 57 morti e le intercettazioni telefoniche di alcuni membri dell’opposizione da parte dell’intelligence greca, uno scandalo nel quale è stato coinvolto un altro nipote di Mitsotakis. Allo stesso tempo, il paese ha visto una crescita del Pil arrivata fino al 6 per cento, mentre nuove tensioni con la Turchia hanno aumentato la solidarietà dei greci nei confronti del governo”.

Dove invece la vittoria della destra, dell’estrema destra, fa scalpore, è in Germania. Leggo sul Post che “Domenica per la prima volta nella storia della Germania democratica il partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (AfD) ha vinto un voto locale.

Ora, si tratta di una roba piccola, ma comunque significativa. Robert Sesselmann ha vinto il ballottaggio per l’elezione del presidente del circondario di Sonneberg (i circondari sarebbero una specie di provincia), che si trova in Turingia, stato della Germania centro-orientale. Ha ottenuto il 52 per cento dei voti, e ha così battuto Jürgen Köpper, presidente uscente e candidato dei Cristiano-democratici (CDU).

AfD è da tempo il secondo partito in Turingia, e il suo leader locale è uno dei più estremisti e influenti all’interno del partito: si chiama Björn Höcke e tra le altre cose in passato aveva chiesto di cancellare la legge tedesca che punisce i negazionisti dell’Olocausto e aveva criticato la presenza di un memoriale dello sterminio degli ebrei nella capitale Berlino, sostenendo che i tedeschi dovrebbero fare «una svolta di 180 gradi» nelle loro politiche di commemorazione del passato.

La vittoria di Sesselman riflette in piccolo quanto negli ultimi mesi sta accadendo un po’ in tutta la Germania: tutti i sondaggi danno i consensi di AfD in costante aumento, e si stima che il partito oggi possa arrivare vicino al 20 per cento dei voti (alle ultime elezioni politiche, nel settembre del 2021, prese il 10 per cento, dopo anni di calo costante). Ci sono vari fattori che stanno contribuendo alla crescita di AfD, tra cui le lacune del governo in carica, sostenuto da Socialdemocratici, Verdi e Liberali, e a cui AfD sta facendo un’opposizione serrata.

Insomma, è un fenomeno che va tenuto d’occhio, perché come la storia ci insegna, quando le tensioni salgono e la situazione a livello globale diventa tesa, gli estremismi forniscono una risposta molto facile e appetibile per milioni di persone.

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