5 Lug 2023

Ritardi, burocrazia, cambiamenti: i mille problemi del Pnrr – #759

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Fra ritardi, burocrazia, mancanza di professionisti, progetti rivisti e cambiati in corsa, il Pnrr ha diversi problemi, e ogni settimana che passa sembrano più evidenti. Ne parliamo cercando di capire da cosa dipendono e cosa potrebbe succedere ai fondi previsti per l’Italia. Parliamo anche del problema, sempre legato al Pnrr, con le colonnine di ricarica delle auto elettriche, delle acque di Fukushima che verranno sversate nel Pacifico e del Canada che vieta di testare i cosmetici sugli animali.

Non so se vi ricordate ma c’è una roba che si chiama Pnrr, acronimo che sta per Piano nazionale di ripresa e resilienza. Era stato pensato ed approvato per spendere i fondi che l’Europa aveva stanziato per la ripresa post covid. Già l’iter di approvazione era stato piuttosto lungo e tortuoso, complice anche il cambio di governo fra il Conte bis e il governo Draghi, poi nel frattempo è successo un po’ di tutto, è caduto anche il governo Draghi, è subentrato quello Meloni, è scoppiata la guerra in Ucraina e tante altre cose.  

In tutto ciò però il Pnrr è andato avanti. Più o meno. Perché il nuovo governo ha messo in programma delle modifiche al piano che però stanno rallentando l’attuazione del piano stesso, e alcuni iniziano a sospettare che in fin dei conti non useremo tutti, e forse nemmeno la maggior parte, dei soldi che l’Europa mette a disposizione con il bando Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund.

Si tratta, per rinfrescarci la memoria, di un piano di finanziamenti per 221,1 miliardi di euro, di cui 190,5 miliardi dal Recovery Fund (fra sussidi e prestiti a basso tasso d’interesse) e 30,6 miliardi di risorse economiche interne.

Già a inizio giugno, tuttavia, erano emerse le prime polemiche, nella forma di uno scontro fra governoe  Conte dei Conti. Il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, aveva chiesto il voto di fiducia per approvare il cosiddetto “decreto PA”, un decreto-legge sulla pubblica amministrazione che teoricamente non c’entra nulla con il PNRR, ma che in realtà contiene un emendamento per limitare il potere di controllo della Corte dei conti sul piano.

Il governo aveva buttato la questioen sul tema della semplificazione, sostenendo che i controlli della Corte dei Conti fossero troppo scrupolosi e allungassero oltremodo le varie procedure. Dal canto suo la Corte dei Conti sosteneva che il piano avesse una serie di lacune e problematiche strutturali difficili da colmare.

Circa un mese fa, un articolo del Post dal titolo “I molti problemi del Pnrr riassumeva così la situazione: “Semplificando molto, i problemi del PNRR possono essere ricondotti a due categorie: quelli strutturali e quelli puntuali legati ai singoli progetti. Per come è stato pensato il piano, i due ordini di difficoltà sono collegati e spesso sono l’uno la conseguenza dell’altro”.

Ad esempio: “Nel PNRR ci sono grandi progetti nazionali, di cui sono responsabili i ministeri, e progetti più piccoli proposti da enti locali come le regioni, le province e i comuni. Gli enti locali partecipano ai bandi proposti dai ministeri per ottenere i fondi: bisogna presentare un progetto più o meno dettagliato con una serie di documenti e previsioni sulle spese. Una volta che il ministero assegna i fondi, gli enti locali devono indire gare di appalto per selezionare l’impresa a cui vengono affidati i lavori. Tutti i passaggi devono essere comunicati anche nella fase dei lavori, soprattutto quanti soldi vengono spesi e come. La cosiddetta rendicontazione è un impegno obbligatorio se si vogliono ricevere i fondi, così come la fine dei lavori entro il 2026. Per dirla in maniera semplice, il PNRR impone qualche incombenza burocratica in più rispetto alla normale gestione di un progetto.

Uno dei problemi strutturali che i soldi del PNRR non possono risolvere è la cronica lentezza della pubblica amministrazione nella realizzazione dei progetti. Il piano è stato immaginato come se in Italia le cose funzionassero bene, non tenendo conto del ritardo con cui i ministeri gestiscono i bandi, della scarsa preparazione di chi lavora per gli enti locali, della tendenza tipica di produrre norme, circolari, FAQ (le risposte a una serie di domande frequenti) e circolari esplicative delle FAQ che rallentano tutto il processo. In una situazione già complessa il PNRR ha introdotto nuove regole da rispettare con scadenze molto stringenti, senza dare il tempo ai funzionari ministeriali e locali di assimilarle.

Quasi tutti i comuni italiani partecipano in qualche modo al piano e in poco tempo hanno iniziato a gestire molti più progetti e soldi rispetto agli anni precedenti, spesso oltre le loro capacità: i comuni, si legge nella relazione del governo, al momento gestiscono il 47 per cento dei soldi del PNRR, ma lo fanno lentamente a causa della mancanza di competenze gestionali e tecniche soprattutto nelle regioni del Sud.

Il piuano inziale prevedeva una serie di energie nuove, per gestire il surplus di lavoro, ma i bandi pubblicati per reclutare professionisti e risolvere questa carenza non sono andati a buon fine: hanno partecipato pochi architetti, ingegneri e geometri perché le assunzioni offerte sono solo temporanee, legate al completamento del PNRR. 

A tutto ciò aggiungeteci altri problemi congiunturali, tipo l’inflazione, il caro energia e tante cose difficili da prevedere inizialmente che hanno reso più difficile stare nei costi preventivati per gli interventi e i progetti approvati. 

Ecco, questo è lo stato dell’arte, fino a qualche settimana fa. Gli ultimi aggiornamenti ce li porta l’associazione Open Polis, una delle poche che si sta occupando attivamewnte di monitorare l’andamento del piano pubblicando dei report indipendenti. 

L’ultimo Report di OpenPolis è del 2 luglio e mostra una situazione che sembra essersi ulteriormente aggravata, nei ritardi. Leggo: “Il 30 giugno si è concluso il primo semestre del 2023. Da cronoprogramma, il governo Meloni dovrebbe chiedere alla commissione europea la quarta rata di risorse per il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.

Come abbiamo raccontato in precedenza però, l’esecutivo sta lavorando a una proposta di revisione complessiva del piano. Con modifiche che riguarderebbero anche molti degli interventi di questo semestre appena concluso. Un elemento che ha messo chiaramente in stand-by la realizzazione dell’agenda.

17 su 27 scadenze ancora da completare entro il 30 giugno. L’invio della domanda per ricevere la quarta rata al momento è saltato e stiamo ancora aspettando di ricevere i fondi della terza rata, che il governo ha richiesto a fine 2022.

Inoltre continua a non essere per niente chiaro l’iter che questo processo di revisione seguirà. Né le conseguenze che avrà sulla realizzazione del piano e sulla ricezione delle risorse. Ma in questo contesto il governo Meloni continua a sostenere che non ci siano ritardi e a negare le evidenti criticità.

Come già anticipato, le scadenze che il nostro paese avrebbe dovuto portare a compimento entro il 30 giugno 2023 sono 27. Riguardano la transizione ecologica (7), la pubblica amministrazione (4), l’inclusione sociale e lavoro e imprese (3).

Sono solo 10 le scadenze che risultano completate, anche se tra le 17 ancora da conseguire, 4 possono essere considerate a buon punto. Cioè vicine al completamento, in base alle informazioni disponibili. Molte scadenze in ritardo riguardano la transizione ecologica. Parliamo, ad esempio, dei treni a idrogeno, della ristrutturazione edilizia con superbonus e sismabonus e dell’installazione di torrette per la ricarica di veicoli elettrici. Tutti aspetti su cui il governo vuole intervenire con delle modifiche, che però al momento non arrivano.

Leggo ancora: “Da mesi ormai il governo italiano dichiara di essere al lavoro su una proposta di revisione complessiva del Pnrr da inviare entro la fine di agosto 2023. Modifiche che dovrebbero integrare il capitolo sul piano energetico RepowerEu e stralciare le scadenze e i progetti considerati irrealizzabili”. Ma questo desta alcune perlpessità.

Ad esempio: “Perché modificare le scadenze già del 2023? Se la rimodulazione riguardasse quelle a partire dal 2024, l’esecutivo avrebbe potuto raggiungere i milestone e i target previsti entro fine giugno. Completando gli interventi da cronoprogramma, l’esecutivo sarebbe stato almeno nelle condizioni di richiedere la quarta rata di finanziamenti. Un segnale positivo, a maggior ragione considerando che la commissione europea non ha ancora approvato l’invio della terza tranche. Fondi che il nostro paese aspetta dalla fine del 2022 e su cui evidentemente ci sono ancora dei dubbi.

Altre perplessità sono inoltre legate proprio al funzionamento di questo processo di revisione in sé. Ammettendo che il governo invii la proposta entro fine agosto e che la commissione approvi le modifiche in pochi mesi, cosa succederà alle scadenze del 2023? Verranno semplicemente eliminate quelle che non sono state raggiunte, o posticipate tutte al 2024? E altrettanti dubbi riguardano le risorse. Non sappiamo se sarà possibile richiedere più di una rata contemporaneamente, o una rata dal valore doppio. Oppure se il rischio è di perdere inevitabilmente una parte dei fondi.

“Ciò che è certo del Pnrr – conclude l’analisi di Openpolis – è che la situazione è a nostro avviso sempre più grave. Ulteriori ritardi potrebbero accumularsi e permangono le difficoltà di spesa che abbiamo sottolineato in diverse occasioni. Il tutto a fronte di un governo che, nonostante le evidenti criticità, non chiarisce le proprie intenzioni e respinge le osservazioni del parlamento, della corte dei conti e della società civile”.

Piccolo commento, alla luce di queste notizie mi sembra evidente che c’è un rischio di non utilizzare fino in fondo tutti quei soldi. Un rischio o un’opportunità. Come dice e scrive spesso l’ecologo Jacopo Simonetta, dei soldi spesi male possono fare molti più danni agli ecosistemi che dei soldi non spesi. Sembra una battuta, ma in realtà non è così. Una cosa fatta in fretta e furia, senza testa, senza pianificazione, è forse peggio, davvero, di una cosa non fatta. 

Prima abbiamo accennato al tema delle colonnine per le auto elettriche da realizzare con i fondi del Pnrr. Ecco, questo tema è diventato un vero e proprio caso nelle ultime ore, con decine di articoli che denunciano una realizzazione molto depotenziata delle nuove colonnine.

Leggo su Rinnovabili.it che “Nessun punto ricarica superveloce sarà realizzato su superstrade e strade extraurbane. Le imprese che hanno partecipato al bando in questa sezione non sono state ammesse. E molte regioni non vedranno neppure una colonnina nel 2023 da fondi PNRR. Così, la mappa dell’Italia per auto elettriche disegnata finora è un’accozzaglia di “isole” non collegate tra loro.

L’unico lato positivo è il numero di punti ricarica assegnati: saranno 4.718 le colonnine elettriche che saranno installate entro 12 mesi, anche se solo nei centri urbani. Un balzo in avanti del 10%: a fine marzo 2023 il numero di punti era 41.173, il 57% dei quali in Nord Italia. 

Ma cosa ha portato a queste storture? Come spiega ancora l’articolo, “Ad aggiudicarsi praticamente tutta la torta sono stati i big del settore, soprattutto Be Charge (Eni) ed Enel X Way. Un esito che era stato ampiamente previsto e che dipende soprattutto da storture del bando: tempi di presentazione dei progetti strettissimi (28 giorni) e ambiti territoriali da coprire molto ampi (anche di portata regionale) che mettono in difficoltà le imprese di dimensioni minori. Tant’è vero che nonostante i 4.700 nuovi punti ricarica in programma, nessuno di questi sarà in Sardegna, Calabria e parte della Sicilia.

Insomma, come spesso accade, con una più attenta pianificazione molti di questi problemi sarebbero stati prevenuti. 

L’agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che fa capo alle Nazioni Unite, ha approvato ieri il piano del Giappone che prevede il rilascio nell’oceano Pacifico di un milione di tonnellate di acqua contaminata da materiale radioattivo e ora contenuta nella centrale nucleare di Fukushima. 

Ne abbiamo parlato varie volte, ma ieri è arrivato quello che dovrebbe essere il via libera definitivo. Ne parla Maurizio Bongioanni su Lifegate. 

“Tra i contrari al piano c’è una parte della popolazione giapponese, ma anche governi vicini come Cina e Corea del Sud, e organizzazioni ambientaliste, pescatori e il Forum delle isole del Pacifico (Pacific islands forum, Pif) che conta membri quali Australia e la Nuova Zelanda, le isole Figi e Kiribati, fino alla Papua Nuova Guinea”.

L’acqua che verrà riversata nell’oceano è quella usata dopo l’incidente per raffreddare i reattori danneggiati altamente radioattivi. È stata raccolta in circa 1.000 serbatoi ed è stata trattata per ridurne la radioattività. In un rapporto presentato formalmente a Tokyo dal direttore generale Rafael Mariano Grossi al primo ministro giapponese Fumio Kishida, l’Aiea ha affermato che gli scarichi delle acque trattate avrebbero un “impatto radiologico trascurabile” sulle persone e sull’ambiente.

Nei serbatoi continuano comunque a esserci tracce di trizio, un isotopo dell’idrogeno che non può essere rimosso. Il fatto è che quei serbatoi rappresentano una minaccia in caso di nuovi tsunami o terremoti, oltre al fatto che impediscono di smantellare la centrale nucleare. Per questo il Giappone ha fretta di liberarsene.

Le acque non verranno riversate in mare tutte nello stesso momento. Anzi, il processo avverrà gradualmente e durerà addirittura 40 anni di attività. In breve, la società che gestisce la centrale nucleare di Fukushima, la Tokyo electric power company (Tepco),  che si è occupata finora di ripulire le acque, farà scorrere tali liquidi verso la costa tramite una conduttura. Qui, le acque verranno diluite con acqua marina per poi passare attraverso un tunnel sottomarino e raggiungere così il mare aperto.

Dopo aver preso la decisione nell’aprile 2021 di scaricare in mare l’acqua immagazzinata presso la centrale nucleare di Fukushima, il Giappone ha chiesto all’Aiea di condurre una revisione dettagliata degli aspetti del piano relativi alla sicurezza. Revisione che è arrivata pochi giorni fa. Ora manca ancora il parere finale della Tepco, dopo di ché inizierà il rilascio dell’acqua contaminata.

I controlli di sicurezza da parte dell’Aiea continueranno anche durante la fase di scarico e l’Agenzia, oltre a garantire la presenza in loco, fornirà un monitoraggio online in tempo reale sul suo sito web.

Chiudiamo con una bella notizia. Jean-Yves Duclos, Ministro della Salute canadese, ha annunciato che nel suo Paese non sarà più possibile testare cosmetici sugli animali: tali prodotti non potranno né essere venduti da aziende nazionali né importati da imprese estere, perché tali procedure sono «crudeli e non necessarie». 

ne parla gloria ferrari su lìindipendente: “Queste nuove misure, compreso il reato di ‘etichettatura falsa o fuorviante’, dovrebbero entrare in vigore il 22 dicembre, ma non saranno retroattive – i prodotti precedentemente testati sugli animali, prima dell’introduzione della legge, potranno ancora venduti. Quello compiuto dal Canada non è un ‘passo’ unico nel suo genere. Negli anni sono stati più di quaranta i Paesi che hanno deciso di impedire che sul proprio territorio si continuassero a testare prodotti di cosmesi sugli animali.

Nell’Unione Europea, ad esempio, la direttiva è stata adottata l’11 marzo 2013, e prevede il divieto assoluto di vendere o importare prodotti e ingredienti cosmetici testati sugli animali

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