27 Feb 2024

Regionali Sardegna, vince Todde (centrosinistra) e… il caos? – #886

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Le elezioni in Sardegna hanno infine una vincitrice, più o meno. Lo spoglio è formalmente ancora in corso mentre registro questa puntata, ma Alessandra Todde si è proclamata vincitrice, anche se assieme a lei vincono i ritardi e le polemiche. Parliamo anche del lancio molto ben riuscito dei Btp Valore da pare del ministero dell’economia e finanze (e del perché il governo si è voluto dotare di questo nuovo strumento finanziario), delle manifestazioni pro-Bolsonaro in Brasile e dell’economia cinese salvata dall’energia pulita.

Domenica si è votato in Sardegna e ha vinto… un po’ il caos, direi. E, pare, Alessandra Todde, candidata del cosiddetto campo largo di centro sinistra, che comprende il Pd, il M5s (di cui è stata vicepresidente fino allo scorso dicembre), alleanza Verdi-Sinistra e altre liste. Dico pare, perché anche se è stata proclamata la vittoria durante la notte, ancora questa mattina i seggi scrutinati non sono conclusi, e Todde sembrerebbe aver vinto per una manciata di voti.

Alle 7 circa di mattino Todde è avanti col 45,3 per centro delle preferenze, seguita da Paolo Truzzu di centrodestra con il 45%, Renato Soru con l’8,7 e Lucia Chessa con l’1%.

I titoli dei giornali web di questa mattina variano molto a seconda della linea editoriale / politica del giornale, come è ovvio. Vi faccio qualche esempio: Repubblica titola in homepage: Todde eletta presidente, la Sardegna punisce Meloni. Schlein: “Cambia il vento”, e continua con altri tre articoli di cronaca politica, in cui riporta reazioni e dichiarazioni dei principali partiti coinvolti: “Sardegna, Meloni infuriata accusa la Lega per il voto disgiunto. E Salvini lascia il cdm”, “La segretaria dem: “Ora l’alternativa c’è”. Mano tesa di Bonaccini: “Meriti un applauso”” e Si riapre il cantiere giallorosso: “Uniti battiamo la destra”.

Mentre Libero, ad esempio, titola sull’incertezza e le polemiche: “Sardegna, Todde dichiara la vittoria. Ma FdI avverte: “Spoglio incompleto, serve riconteggio in alcuni Comuni””. 

Come nel 2019, a prendersi molti titoli dei giornali sono i ritardi, la lentezza degli scrutini, il mancato rispetto del limite delle 12 ore dall’inizio dello spoglio.

Ieri, con la situazione ancora molto incerta e lo spoglio che proseguiva davvero a rilento, ho chiesto un commento a Lisa Ferreli di Sardegna che Cambia su quanto stava osservando, con qualche impressione a caldo. Ve lo faccio ascoltare. 

Grazie Lisa. Ecco: facciamo un po’ di analisi dei risultati, ora che sembrano essersi stabilizzati. Devo dire che sono state elezioni un po’ strane perché come ci ha raccontato Lisa il centrosinistra sembrava abbastanza sicuro della vittoria fin da ieri mattina, per quanto poi i risultati stessi abbiano mostrato una profonda incertezza. I due candidati hanno uno scarto dello 0,3 % delle preferenze, e se combiniamo questo dato con quello dell’affluenza, che continua nel suo trend discendente (hanno votato il 52,4% degli aventi diritto al voto, rispetto al 53,09 del 2019, quindi ecco, poco più della metà) emerge un quadro in cui la vittoria di Todde è dipesa davvero da una manciata di voti, circa 3000. 

Il che mal si accompagna con i toni e le letture trionfalistiche di Pd e M5S, e dei giornali che ne sposano la visione politica. Che avremmo visto esattamente speculari se avesse vinto Truzzu eh. La politica fa il suo gioco, i giornali fanno il gioco della politica, ma noi possiamo anche dirci fuori dai denti che una vittoria di una manciata di voti, con la metà delle persone che ha votato) non segna un cambio del vento, non è un trionfo storico, né una disfatta dall’altra parte. È un segnale di profonda incertezza e, un po’ disaffezione.

Le elezioni regionali non prevedono fra l’altro il ballottaggio, il che penalizza ulteriormente le liste piccole, come ci ha ricordato Lisa Ferreli, ma fatto sta che Todde è stata eletta presidente con 330mila voti su quasi un milione e mezzo di aventi diritto. Circa il 24%. Nemmeno ¼ di chi può votare ha eletto la nuova presidente. Questo forse è il dato più significativo. 

Che ovviamente non è un demerito di Todde, ma che ci deve far riflettere sulle analisi e le conclusioni che traiamo. Se poche centinaia di persone su un milione e mezzo avessero cambiato il proprio voto, oggi leggeremmo titoli completamente diversi, e del tutto speculari a parti invertite. Il che ha un senso a livello partitico (anche perché c’è un po’ la tradizione che la Sardegna anticipi il trend nazionale) ma non ha senso a livello di analisi e lettura della realtà, che è quello che dovrebbero fare i giornali.

Comunque, magari domani ne riparliamo a mente più fredda e facciamo qualche analisi ulteriore. Intanto se volete scoprire qualcosa di più su chi è la nuova presidente della regione e sul suo programma elettorale vi invito ad andarvi ad ascoltare la puntata di venerdì di INMR Sardegna in cui venivano analizzati i programmi di tutte le 4 liste principali. 

Ieri hanno debuttato sul mercato i nuovi Btp Valore, ovvero dei particolari Titoli di Stato pensati per le singole persone, anzi per i “piccoli risparmiatori”, come li chiamano i giornali e gli economisti. 

Mi ha sempre fatto ridere come le stesse persone, nel lessico economico, diventino a seconda del contesto risparmiatori o consumatori, che sono due concetti opposti. Poi “piccoli risparmiatori” è bellissimo, mi immagino dei minuscoli omini con dei minuscoli salvadanai a porcellino che mettono dentro le loro monetine. Vabbè, scusate.

Ve ne parlo non tanto e non solo per darvi la notizia in sé, ma perché è interessante conoscere il motivo per cui il governo ha fatto questa scelta. Ma partiamo come al solito da capire di cosa stiamo parlando. I Btp, o titoli di stato, o buoni del tesoro, sono uno dei sistemi che utilizzano gli stati per finanziare la spesa pubblica e gli investimenti. Quindi emettono titoli di debito, in cambio di soldi, con la promessa di restituirli dopo un tot di anni con un certo interesse.

In questo caso, il nuovo Btp Valore è uan famiglia di “nuovi titoli rivolti esclusivamente ai piccoli risparmiatori che ha riscosso già un discreto successo nelle emissioni passate” e che “assicura un rendimento minimo del il 3,25% dal primo al terzo anno, salendo poi al 4% dal quarto al sesto con un premio fedeltà dello 0,7% per chi conserverà il Btp fino alla fine”. La notizia è che questi titoli sono andati abbastanza a ruba, che in poche ore hanno superato quota 6 miliardi di euro.

Ma il punto interessante è un altro, dal mio punto di vista, ovvero: perché il governo si è inventato questo nuovo strumento? Come spiega sempre Repubblica, il Btp Valore “È stato ideato nel corso del 2023 con l’obiettivo di accrescere la quota di debito pubblico in mano alle famiglie italiane, attualmente poco sopra il 13%. Man mano che si ritrae il supporto della Bce, c’è il timore che l’enorme mole di debito (2.843 miliardi di euro, pari al 141,7% del Pil, secondo il consuntivo 2023 della Banca d’Italia) finisca nel mirino della speculazione da parte di grandi operatori internazionali. Costruire un nocciolo duro di privati residenti nel nostro Paese è visto come una protezione”.

E qui sta il nocciolo della questione. Se avete ascoltato l’ultima puntata di INMR+, sapete benissimo di cosa sto parlando, altrimenti ve lo dico in breve: nel 2012 Mario Draghi allora presidente della Bce fece la famosa mossa (Whatever it takes) di rendere la Bce compratrice in ultima istanza di tutti i titoli di debito dei paesi membri invenduti. 

Questo meccanismo ha fatto sì che buona parte del debito pubblico italiano, ad esempio, sia ancora oggi nelle mani della Bce, e solo in piccola parte sia posseduto da fondi d’investimento e altri attori finanziari. Due anni fa però, Christine Lagarde, ha interrotto questa consuetudine per ridurre l’inflazione. Oggi il nostro debito quindi è nuovamente nelle mani del mercato e una quota crescente finisce nelle mani appunto di grossi hedge funds e altri attori finanziari, il che lo espone a potenziali speculazioni, come quelle che ci mandarono in crisi nel 2011 e portarono alla caduta del governo berlusconi. 

Per minimizzare questo rischio quindi il governo sta chiedendo ai piccoli risparmiatori di comprarselo, perché come insegnano alcuni esempi tipo quello del Giappone, un debito nelle mani dei cittadini è molto più sicuro e meno problematico di un debito nelle mani di meccanismi speculativi. 

Vi faccio sentire 2 minuti della puntata di INMR+ in cui intervisto il professor Alessandro Volpi, trovate la puntata completa sotto fonti e articoli (se siete abbonati).

Mentre negli Usa Trump continua a sbaragliare la concorrenza nelle primarie repubblicane, il suo omologo brasiliano Bolsonaro sta chiamando a raccolta i suoi sostenitori per mostrare di non essere ancora fuori dai giochi. 

L’ex presidente brasiliano, noto per il suo stile un po’… diciamo, controverso, è riuscito a raccogliere una folla enorme domenica a San Paolo, con più di 100.000 persone radunate, per sostenerlo, nonostante le accuse che pendono sulla sua testa.

Accuse piuttosto pesanti: si va dal tentativo di sabotare le elezioni presidenziali del 2022, quelle che hanno visto la vittoria di Lula, fino al sospetto tentativo di modificare i risultati elettorali e complottare contro un giudice della Corte Suprema. E senza dimenticare l’assalto alle istituzioni brasiliane dell’8 gennaio 2023, un evento che ha fatto gridare al tentato colpo di stato, con Bolsonaro che all’epoca si trovava in Florida ma è stato accusato di aver fatto pressioni sull’esercito perché si unisse ai manifestanti.

All’inizio di febbraio le autorità brasiliane avevano persino sequestrato a Bolsonaro il passaporto, per impedirgli di andare all’estero, temendo forse un suo tentativo di sfuggire ad un eventuale arresto. 

Ma torniamo alla manifestazione di San Paolo: un articolo del post descrive una sfilata di bandiere brasiliane, molte delle quali con il viso di Bolsonaro al centro, e persino qualche bandiera di Israele a fare capolino. Bolsonaro si è presentato circondato da politici e con le braccia alzate su un carro, da cui ha tenuto un lungo discorso in cui ha negato tutte le accuse.

Ma lo ha fatto con un tono più conciliante di quello usato fino a pochi mesi fa. Non ha infatti attaccato direttamente la Corte Suprema e le autorità brasiliane. Secondo tutti i principali quotidiani internazionali questo cambiamento è dovuto al fatto che il suo team gli abbia fatto capire che qualsiasi commento contro le autorità o le istituzioni brasiliane potrebbe metterlo ancora più in difficoltà.

Insomma, la saga di Bolsonaro potrebbe non aver concluso il suo ciclo, e ipotizzo che, come abbiamo visto con Trump, le vicende giudiziarie possano in realtà fare abbastanza il gioco dell’ex presidnete, compattando i suoi seguaci attorno a sé ed alimentando una narrativa del noi contro tutti che fa molto reccia negli ambienti della cosiddetta alt-right, o destra cospirazionista, di cui una buona parte dell’elettorato di Bolsonaro (quello più popolare, poi ci sono le potenti lobby delle armi, dell’agribusiness, ecc) fa parte.

Questa è interessante. Valentina Neri su Valori racconta che nel 2023, mentre buona parte dell’economia cinese navigava in acque turbolente tra crisi immobiliari e fiducia dei consumatori al minimo, c’è stato un settore in grado di trascinare tutta la baracca (e vi assicuro che la baracca dell’economia cinese non è una roba piccolina): quello della cosiddetta energia pulita. 

Gli investimenti in energia pulita (oddio, diciamo più o meno pulita) hanno tenuto a galla la seconda economia più grande del pianeta, facendo crescere il suo Pil del 5,2%. Questo settore ha contribuito al Pil cinese per 1.500 miliardi di euro, ovvero più del prodotto interno lordo di buona parte dei Paesi del mondo. 

L’articolo di Valori analizza anche cosa c’è dietro questi numeri impressionando, mostrando, come possiamo aspettarci, un mix un po’ chiaro-scuro, fatto di rinnovabili, nucleare, reti elettriche smart, stoccaggio di energia, veicoli elettrici e ferrovie. L’aspetto interessante però è che la Cina ha investito in energia più o meno pulita (considerando che c’è dentro anche il nucleare, ma in una percentuale non così determinante) all’incirca la stessa cifra che tutti i paesi del mondo messi assieme hanno investito in combustibili fossili. Detta così fa abbastanza impressione no?

E la transizione energetica ora sembra essere una priorità. Leggo: “In una fase in cui l’immobiliare scricchiola, dunque, la transizione energetica diventa uno dei capisaldi dello sviluppo economico e industriale cinese. Un fatto di cui l’esecutivo di Pechino non può non tenere conto, nel perseguire le proprie politiche climatiche. Già lo scorso anno, come riferisce l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), la Cina ha commissionato una quantità di energia solare fotovoltaica equivalente a quella del mondo intero nel 2022. Tanto da essere destinata a centrare con sei anni di anticipo i suoi obiettivi per il 2030, in termini di installazioni di eolico e solare. L’effetto traino si ripercuote sul mondo intero, come peraltro dimostra l’impegno congiunto con gli Stati Uniti a triplicare la capacità di energia rinnovabile nell’arco del decennio”. 

Poi, noi ci possiamo dire tranquillamente, perché ormai lo sappiamo che non sarà la crescita verde a salvarci, se non saremo disposti in un certo momento a rivedere i nostri sistemi dal punto di vista macroeconomico compresi gli indicatori di sviluppo e benessere. Però, ecco, prendiamola comunque come una buona notizia. 

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