COP27, A CHE PUNTO SIAMO
Oggi inizia la seconda e ultima settimana di Cop 27, e allora diversi giornali fanno un po’ il punto di come sta andando. Come prima cosa però vi faccio ascoltare un breve audio che ci hanno inviato Roberta Bonacossa e Nadia Paleari di Change for Planet, associazione con cui abbiamo collaborato anche lo scorso anno sempre in occasione della Conferenza delle parti sul clima. Nell’audio ci raccontano come è andata questa prima settimana.
A proposito di tecnici, ci sono già delle prime bozze dei documenti su cui stanno lavorando. Ce le racconta Andrea Barolini su Valori, che le analizza in maniera piuttosto dettagliata. In generale i negoziati sono stati definiti come “complessi” dalla stessa organizzazione egiziana. L’articolo di valori si concentra sui tre documenti relativi alla mitigazione, ovvero a tutte le misure che i paesi devono mettere in atto per evitare le conseguenze più catastrofiche dei cambiamenti climatici. Quindi sostanzialmente: come ridurre fino ad azzerare le emissioni di CO2?
Il primo documento analizzato è quello pubblicato dal Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice (SBSTA) e dal Subsidiary Body for Implementation (SBI). Il dato più rilevante di questo documento, come nota acutamente Barolini, non è tanto il suo contenuto, quanto la quantità di parentesi quadre ancora presenti nel testo, ovvero le porzioni di testo sulle quali non c’è accordo. Esse sono ben 310. Che in un testo di 9 pagine significa 34 a pagina. E siamo ancora alla parte dei tecnici… figuratevi cosa può succedere con i politici, che in genere sono quelli che complicano di più le cose.
Un altro testo potenzialmente rilevante è quello legato ai meccanismi non di mercato, che sono dei meccanismi immaginati lo scorso anno a Glasgow per agevolare la collaborazione fra stati in ambito di mitigazione e adattamento. Ma anche in questo caso la prima bozza presenta una notevole quantità di punti sui quali non c’è accordo tra le parti, al punto che diventa prematuro commentarne i contenuti.
Leggo ancora: “Una buona notizia (a patto che il passaggio non venga modificato: i negoziati sono ancora lunghi) è giunta da un terzo documento. Ovvero dalla bozza sulla revisione degli obiettivi di lungo termine. Al punto numero 6 (e senza parentesi quadre) si legge che le parti «sono in accordo» sul fatto che, al fine di limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali, «sono necessarie azioni urgenti in tutti i settori e che coprono tutte le emissioni di gas ad effetto serra». Ciò al fine di «assicurare che si raggiunga un picco delle emissioni entro il 2025». Il testo aggiunge quindi che è necessario «dimezzare entro il 2030 le emissioni rispetto ai livelli del 2010». E azzerare le emissioni nette di CO2 «attorno al 2050».
Sono diciture però a mio avviso un po’ vaghe, che non entrano nel concreto di quali siano queste azioni e lasciano enormi margini agli stati. Inoltre la dicitura “attorno al 2050” non lascia ben sperare.
L’articolo di Valori non ne parla, ma un altro punto che per la prima volta è entrato ufficialmente in agenda a una Cop e su cui fin qui non si è però prodotto molto è il loss and damage, ovvero l’istituzione di un meccanismo che aiuti i paesi più poveri a compensare le perdite legate ai cambiamenti climatici. Il caso delle terribili inondazioni in Pakistan quest’anno ha fatto capire al mondo che la questione non è più rimandabile. Ci sono alcuni paesi che contribuiscono pochissimo al problema e che subiscono i danni maggiori dalla crisi climatica. E quindi l’idea è quella di istituire un fondo in cui le economie più grandi e inquinanti aiutino questi paesi a far fronte ai danni. Ma come vi dicevo, sotto questo punto di vista fin qui tutto tace.
Comunque, la mancanza fin qui di risultati tangibili e promettenti non è l’unico problema di questa Cop27. Molte polemiche sono infatti legate a come il regime di Al Sisi sta gestendo la situazione. Scrive Ispi Online: “La scelta di tenere la Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Egitto, un paese governato con il pugno di ferro da Abdel Fattah al Sisi, in cui la repressione del dissenso è all’ordine del giorno, si sta rivelando un errore di cui, a pagare le conseguenze, potrebbero essere gli stessi negoziati al centro dell’incontro.
Molte delegazioni e organizzazioni di attivisti – rappresentanti della società civile dei paesi coinvolti – sono stati tenuti lontano dall’evento, costretti a file interminabili per ottenere un visto d’ingresso al loro arrivo in aeroporto e, talvolta, rimandati indietro senza alcuna spiegazione. L’accesso alla sede della conferenza, che si tiene a Sharm el Sheikh, è tutelato da un’intensa sorveglianza. L’autostrada che dal Cairo porta nella penisola del Sinai è costellata di posti di blocco e l’intera zona è sottoposta a controlli telefonici da parte delle forze di sicurezza egiziane.
“Le liste dei nomi di chi può accedere nell’area passando ai posti di blocco sono controllate direttamente dal governo”, ha detto a MEE l’attivista per i diritti umani Samar Elhussieny, mentre secondo POLITICO diverse delegazioni sono state avvisate dai rispettivi governi di non scaricare l’app ufficiale del governo egiziano, nel timore che possa essere utilizzata per hackerare le loro e-mail private, i messaggi e persino le conversazioni vocali. In compenso, all’evento è presente un numero record di lobbisti delle aziende dei combustibili fossili: secondo il Guardian ce ne sono 600, un aumento di oltre il 25% rispetto allo scorso anno, e che supera di gran lunga il numero dei rappresentanti delle comunità colpite dalla crisi climatica.
In aggiunta a ciò, tiene banco la questione di Alaa Abdel Fattah, uno dei più noti prigionieri politici egiziani, diventato un sinonimo della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011, quando una marea di giovani egiziani ha messo fine alla dittatura trentennale di Hosni Mubarak. Negli ultimi dieci anni Alaa Abdel Fattah è stato in prigione quasi senza interruzione, e da aprile sta facendo uno sciopero della fame in protesta contro la sua detenzione. Fattah può mandare e ricevere lettere una volta alla settimana. All’inizio di quest’anno alcuni dei suoi scritti sono stati pubblicati nel libro “Non siete stati ancora sconfitti”.
Ecco, proprio una lettera rappresenta la connessione fra l’attivista e la Cop perché una sua recente lettera che parlava di clima è stata bloccata dal carcere e mai diffusa. Questo episodio è preso come spunto da Naomi Klein che in un lunghissimo articolo per il Guardian (tradotto anche da Internazionale) mette a nudo tutte le contraddizioni e l’ipocrisia del regime di Al Sisi, che con l’organizzazione della conferenza fa una colossale operazione di rebranding personale e mette in mostra il suo lato più green, che però nasconde una faccia violenta.
Scrive Klein: “Il regime egiziano è impaziente di celebrare i propri “giovani leader” attenti alle questioni climatiche, portandoli come esempio di speranza nella battaglia contro il riscaldamento globale (molti governi doppiogiochisti usano i giovani attivisti per nascondere la propria mancanza di azione). Ma è difficile non pensare ai coraggiosi leader della primavera araba: molti di loro sono invecchiati precocemente a causa di un decennio di violenze e abusi commessi da un sistema ampiamente sostenuto da aiuti militari delle potenze occidentali, in particolare degli Stati Uniti. È come se quegli attivisti fossero stati sostituiti con dei modelli nuovi e meno problematici.
“Sono il fantasma della primavera passata”, ha scritto di se stesso Alaa Abdel Fattah nel 2019. Quel fantasma perseguiterà il summit. La domanda silenziosa che ci pone è difficile: se la solidarietà internazionale è troppo debole per salvare Alaa Abdel Fattah — un simbolo dei sogni di libertà della sua generazione — che speranze abbiamo di salvare il nostro pianeta?”
E ancora, più avanti: “la cosa che mi ha colpito è che Al Sisi abbia deciso di usare il summit per mettere in piedi una specie di reality show, in cui degli attori “recitano” la parte degli attivisti e hanno un aspetto sorprendentemente simile a coloro che stanno subendo torture all’interno del crescente arcipelago carcerario egiziano. Quindi aggiungiamo questo aspetto alla lista dei lati negativi: questo summit sta andando ben oltre il greenwashing di uno stato inquinante: è il greenwashing di uno stato di polizia”.
Ci sono anche argomenti ok, e argomenti off limits, per il regime egiziano: “In sintesi, se vuoi installare pannelli solari o raccogliere spazzatura puoi probabilmente ottenere un badge per andare a Sharm el Sheikh. Ma se vuoi parlare di salute e degli impatti sul clima delle centrali a carbone egiziane o della cementificazione degli ultimi spazi verdi del Cairo, hai più probabilità di ricevere una visita dalla polizia segreta o dal distopico ministro della solidarietà sociale. E se, come egiziano, metti in dubbio la credibilità di Al Sisi di parlare in nome dei poveri e delle popolazioni africane vulnerabili alla crisi climatica, data la fame e la disperazione sempre più profonde del suo stesso popolo, è meglio che tu sia già all’estero, fuori dei confini egiziani”.
Insomma, il tema è indubbiamente spinoso. La transizione ecologica sta diventando un ottimo biglietto da visita per molti paesi per migliorare la propria immagine. Il punto è che fra l’altro, nel 99% dei casi è appunto una transizione di facciata, una operazione di greenwashing di stato. È anche vero d’altra parte, con tutti i dilemmi etici che ne conseguono, che se vogliamo affrontare la crisi climatica lo dobbiamo fare come comunità internazionale, e lo dobbiamo fare dialogando fra tutte e tutti. Non possiamo scegliere solo i paesi che ci piacciono o che rispecchiano di più i nostri ideali.
Tornando alle nostre latitudini, anche in Italia non mancano le proteste. Oggi su Italia che Cambia vi raccontiamo le proteste di Ultima generazione e di altri gruppi di attivisti climatici che in questi giorni hanno intensificato le loro attività per rispondere con i fatti all’inazione dei Governi, particolarmente evidente a Sharm el-Sheikh. In particolare, il movimento di protesta e azione per il clima e l’ambiente punta i riflettori sui voli privati, una delle pratiche peggiori nell’ampio settore dell’aviazione, le cui già elevate emissioni sono in continua crescita.
Quindici cittadini, fra scienziati accademici, studenti di scienze e sostenitori hanno bloccato giovedì 10 novembre alle 13:00 le operazioni dell’Aeroporto privato di Milano Linate Prime. La protesta, organizzata da Scientist Rebellion ed Extinction Rebellion con il supporto di Ultima Generazione, si inquadra in una campagna internazionale in cui azioni di blocco di aeroporti privati o di protesta contro il settore dell’aviazione privata si svolgono in altri 11 Paesi, fra cui Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito.
ELEZIONI DI MIDTERM
Ci sono un po’ di novità anche sulle elezioni di metà mandato americane. Ancora non è finito lo spoglio dei voti (a oltre una settimana dal voto stesso) ma comunque i risultati più attesi sono arrivati e ci dicono che i democratici manterranno, a sorpresa, la maggioranza al Senato. Scrive il Post: “La senatrice democratica Catherine Cortez Masto ha vinto il seggio in Nevada contro il repubblicano Adam Laxalt, portando a 50 il numero di seggi per i Democratici, sufficienti per avere la maggioranza nel Senato (in caso di parità vota anche la vicepresidente, la democratica Kamala Harris). I Repubblicani sono fermi a 49 seggi e manca da assegnare ancora la Georgia, di cui si saprà il risultato dopo il ballottaggio del 6 dicembre, mentre sabato il senatore democratico Mark Kelly ha vinto in Arizona, l’altro seggio che era rimasto da assegnare.
È un risultato sorprendente, perché le elezioni di metà mandato tradizionalmente hanno un risultato sfavorevole al presidente in carica, e prima delle elezioni si pensava che i Repubblicani potessero arrivare a controllare sia il Senato che la Camera. I risultati definitivi della Camera devono ancora arrivare, ma anche lì i Democratici stanno recuperando: i risultati parziali dicono che i Repubblicani hanno ottenuto 211 seggi, i Democratici 204. Per avere la maggioranza ne servono 218, e anche se i Repubblicani dovessero raggiungerla sarebbe comunque con uno scarto inferiore alle aspettative”.
Ora sarà interessante vedere anche cosa succederà all’interno del partito repubblicano. Questo risultato in teoria ridimensiona il peso politico di Trump e potrebbe persino incidere sulla sua decisione di candidarsi o meno alle primarie. Staremo a vedere.
ATTENTATO A ISTANBUL
Ieri sera c’è stato anche un attentato a Istanbul di cui oggi parlano molti giornali. Una attentatrice ha piazzato una bomba che è poi esplosa in una delle strade più frequentate di Istanbul, provocando almeno 6 morti e 81 feriti, in quello che il presidente turco Erdoğan ha definito “un vile attentato”. Il fatto è avvenuto alle 16.20 in una via dello shopping molto frequentata.
L’attentato non è stato ancora rivendicato, ma il ministro dell’Interno della Turchia Souleyman Soylu ha annunciato nelle prime ore di oggi, lunedì 14 novembre, l’arresto della persona responsabile dell’attentato. Soylu ha accusato il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di aver organizzato l’attentato. «La persona che ha piazzato la bomba è stata arrestata. Secondo le nostre conclusioni, l’organizzazione terroristica del PKK è responsabile» dell’attacco, ha affermato.
Ovviamente non abbiamo elementi per capire quanto queste accuse siano o meno fondate, al momento mi limito a sottolineare che c’è il rischio che questo avvenimento tragico sia usato in maniera politica strumentale da parte del regime turco, contro i curdi.
FONTI E ARTICOLI
#Cop27
Valori – Cop27, com’è andata la prima settimana di negoziati
ISPI – Egitto: il buio oltre la Cop27
ISPI – Cop27: sull’orlo del precipizio
Internazionale – La verità dietro alla Cop27
#midterm
il Post – I Democratici americani hanno la maggioranza in Senato
#Istanbul #attentato
Il Fatto Quotidiano – Istanbul, bomba esplode in una strada pedonale di Taksim: almeno 6 morti e 81 feriti. Ricercata una donna. Erdogan: “Vile attentato”
Open – «Arrestato l’attentatore di Istanbul»: il governo della Turchia accusa il Pkk