Plastica monouso, il governo recepisce (male) la direttiva europea
É ufficiale, nell’ultimo consiglio dei ministri il Governo ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea sulle plastiche monouso. Lo annuncia GreenReport. Bella notizia direte voi, perché la direttiva europea Single use plastics (Sup) è una direttiva intelligente, che vieta le plastiche monouso di tutti i tipi, comprese le bioplastiche, per incentivare soluzioni di riuso.
Giusto, solo che il governo italiano l’ha interpretata a modo suo. Il recepimento italiano infatti ammette sia l’uso di prodotti con rivestimenti in plastica inferiori al 10% del peso (ad esempio i piatti di carta monouso con la pellicola plastificata, che sono l’esatto opposto dell’economia circolare), sia quello di articoli usa e getta in bioplastica e plastica compostabile realizzati a partire da materie prime rinnovabile per almeno il 40% (percentuale che salirà al 60% nel 2024). Che sappiamo bene che sono tutto tranne che ecologici.
Insomma, il Governo sembra non avere minimamente chiaro che il problema non è la plastica, bensì l’usa e getta. O forse ce l’ha chiaro, ma non vuole danneggiare la lobby delle bioplastiche, che in Italia è molto forte.
L’Italia rischia così anche la procedura di infrazione da parte della Ue, perché la direttiva Sup vieta abbastanza esplicitamente le plastiche biodegradabili e compostabili e bandisce i prodotti monouso in carta, ricoperti da un velo di plastica.
Qualche giorno prima, riporta il Fatto Quotidiano, il Governo aveva anche rinviato la tanto attesa tassa sulla plastica al 2023, per non farsi mancare niente.
Per fortuna altri Paesi stanno utilizzando proprio il recepimento della direttiva per varare nuove norme che riducano gli imballaggi usa e getta. Ne parla il Fatto Quotidiano. È il caso della Francia, che ha annunciato lo stop agli imballaggi usa e getta per molti prodotti ortofrutticoli da gennaio 2022. E lo ha fatto all’interno di una “Legge antispreco” che si pone più come obiettivi la riduzione della plastica usa e getta fino alla sua scomparsa per tantissimi prodotti e tutti gli imballaggi nel 2040, la lotta allo spreco, il riutilizzo degli oggetti, lotta all’obsolescenza programmata e il miglioramento dei sistemi di produzione.
È anche il caso della Spagna, dove dal 2023 nelle attività commerciali, indipendentemente dalla loro dimensione, non saranno più vendute in imballaggi di plastica frutta e verdura confezionate in lotti di peso inferiore a un chilo e mezzo. Quindi spariranno le mini confezioni iperimballate di frutta e verdura.
La Germania, invece, si era già mossa con la legge sugli imballaggi (VerpackG), entrata in vigore il 1° gennaio 2019 modificata la scorsa primavera dal Bundestag, il Parlamento federale tedesco. Dal 2023, ristoranti, bistrot e caffetterie dovranno poter vendere (anche a domicilio) bevande e cibo da asporto anche in contenitori riutilizzabili, senza che vi sia un costo aggiuntivo. Questi contenitori verranno consegnati ai clienti a fronte di un deposito cauzionale, che li spinga alla restituzione.
Anche in Austria qualche settimana fa è stata approvata una norma (che non entrerà in vigore, però, prima del 2025) che introduce i sistemi di deposito su cauzione per i contenitori per bevande (bottiglie e lattine) non solo di plastica, ma anche in vetro e alluminio.
COP26, le novità
Aggiornamenti flash da Glasgow. È trapelata una prima bozza di quelle che potrebbero essere le decisioni finali ed è… deludente. Secondo Greenpeace International è “un documento che allo stato attuale giudichiamo inaccettabile: non menziona affatto i combustibili fossili, nonostante tutti sappiano che è ora di chiuderla con carbone, petrolio e gas se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi e limitare il riscaldamento globale entro 1.5°C. Non possiamo negare di essere molto preoccupati per la mancanza di ambizione di questo testo: di solito la prima bozza di un accordo internazionale sul clima è relativamente ambiziosa, per poi indebolirsi durante la seconda settimana di negoziati. Cosa possiamo quindi aspettarci da una prima bozza già così debole?”.
Questa la dichiarazione di Greenpeace, che poi punta il dito contro l’ostruzionismo delle lobby dei combustibili fossili, e in particolare paesi come l’Arabia Saudita e l’Australia che, essendo produttori di combustibili fossili, oggi stanno paralizzando le ambizioni dei negoziati in corso a Glasgow.
Secondo una ricerca espressa, pubblicata martedì a Glasgow e rilanciata dal Guardian, l’aumento della temperatura raggiungerà i 2,4°C entro la fine di questo secolo, sulla base degli obiettivi a breve termine che i paesi si sono prefissati. Il che, in altre parole, significa catastrofe climatica.
Oltre alla bozza di accordo così scarna, c’è un altro grande tema a destare scalpore a Glasgow. O meglio, è la sua assenza a destare scalpore. Un altro articolo del Guardian lo definisce la “mucca” nella stanza dei negoziati. Ovvero l’equivalente dell’elefante nella stanza, qualcosa di enorme e incredibilmente ignorato, che diventa una mucca perché stiamo parlando di allevamenti: nessuno li menziona nei negoziati, nonostante siano una delle prime fonti di emissioni.
Helsinki rinuncia alla carne
Sullo stesso tema, segnalo una notizia interessante che arriva da Helsinki. L’amministrazione della capitale finlandese ha infatti annunciato che non servirà più piatti a base di carne nel corso di seminari, congressi o altre iniziative pubbliche, in modo da ridurre l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica che derivano dagli allevamenti.
Le pietanze verranno sostituite da ricette a base vegetale o con pesce pescato localmente e in modo sostenibile. Non è una decisione che sposta gli equilibri delle emissioni globali, ma culturalmente è un segnale interessante da cogliere, peraltro in un paese tradizionalmente molto legato al consumo di carne.
Mascherine alla deriva
In tutto il mondo la pandemia da Covid-19 ha portato a una crescente richiesta per dispositivi in plastica monouso come mascherine chirurgiche e non, guanti e camici. La maggior parte di questi oggetti, divenuti poi rifiuti, finisce nei fiumi e negli oceani, andando a peggiorare una situazione di inquinamento marino già fuori controllo.
Più volte abbiamo accennato al rischio che l’utilizzo massiccio di mascherine in plastica monouso e altri nuovi oggetti legati alla pandemia poteva comportare a livello di inquinamento. Ora un nuovo studio si è dato come obiettivo quello di calcolare la quantità e il destino di questi nuovi rifiuti negli oceani, utilizzando un modello matematico per quantificare l’impatto della pandemia sui rifiuti plastici provenienti dalla terraferma.
Grazie a questo sistema, i ricercatori hanno scoperto che nel mondo sono stati generati più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici associati alla pandemia e che più di 25.000 tonnellate di questi sono finiti negli oceani. Nel giro di tre o quattro anni, una porzione significativa di tutti questi rifiuti plastici finirà sui fondali o sulle spiagge, mentre una porzione più piccola andrà alla deriva nell’oceano aperto, portata dalle correnti.
Eni condannata per Greenwashing
Lunedì il TAR del Lazio ha respinto il ricorso di Eni sull’accusa di Greenwashing e pubblicità ingannevole. In pratica, il 15 gennaio 2020 Eni era stata condannata a pagare 5 milioni di euro di multa per “greenwashing” e pubblicità ingannevole in riferimento al biodiesel “Eni Diesel+”, che la pubblicità spacciava come diesel green. Un concetto che ovviamente non esiste.
Eni aveva fatto ricorso, ma lunedì il Tar del Lazio lo ha respinto, confermando che “non è consentito nella comunicazione pubblicitaria considerare ‘green’ un gasolio per autotrazione, ovvero un carburante che per sua natura è un prodotto altamente inquinante, né dichiarare che attraverso il suo utilizzo è possibile prendersi cura dell’ambiente”.
Prime condanne nel maxi processo alla ‘ndrangheta
L’ultima notizia del giorno è riportata da Euronews. Sono arrivate le prime sentenze del secondo maxi processo della storia d’Italia: il Rinascita-Scott, che vede alla sbarra, nell’aula bunker della Corte d’Appello di Lamezia Terme, circa 500 imputati della ndrangheta vibonese.
Dal procedimento con rito abbreviato sono uscite al momento 70 condanne – da un minimo di 10 mesi a un massimo di 20 anni –, 20 assoluzioni e una prescrizione. La Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catanzaro, guidata dal Procuratore Capo Nicola Gratteri, aveva chiesto 85 condanne e 6 assoluzioni.
Questo è comunque solo un primo tassello del maxi processo a rito ordinario iniziato a gennaio, che vede rinviate a giudizio altre 355 persone, tra politici, mafiosi e imprenditori. Un processo – secondo solo a quello tenutosi a Palermo tra gli anni ’80 e ’90 – nato da un blitz (Rinascita-Scott, appunto) che a fine 2019 portò a oltre 300 arresti tra boss, affiliati alle ‘ndrine vibonesi e loro collegamenti con il mondo istituzionale, politico, imprenditoriale e della massoneria deviata.
Fonti e segnalazioni:
#plastiche monouso
Il Fatto Quotidiano – Addio alla plastica? L’Italia rinvia, gli altri accelerano. In Francia vietati imballaggi per frutta e verdura dal 2022, in Spagna dal 2023. E la Germania vara il riuso
Greenreport – Ecco come il Governo ha recepito la direttiva europea sulle plastiche monouso
#COP26
The Guardian – Cop26 sets course for disastrous heating of more than 2.4C, says key report
GreenReport – Cop26, la prima bozza Unfccc dell’accordo è un testo debolissimo
#nucleare
Rinnovabili.it – Nucleare SMR, la Gran Bretagna fa sul serio: via libera ai mini-reattori
#carne
Lifegate – La città di Helsinki non servirà più prodotti animali agli eventi pubblici
#mascherine
Greenme – Questo studio ci mostra il drammatico viaggio di massa delle nostre mascherine chirurgiche verso l’Oceano
#Eni #Greenwashing
La nuova ecologia – Eni Diesel+, il Tar del Lazio conferma la condanna per greenwashing
#città
Lifegate – Sulle politiche ambientali le città italiane sono ferme. I dati del rapporto Ecosistema urbano 2021 di Legambiente
#maxi processo #’ndrangheta
Euronews – Maxi processo alla ndrangheta: 70 condanne in rito abbreviato