Piovono missili, in giro per il mondo. Sarà per imitazione, per non sentirsi da meno. Sarà forse che i media ora ne parlano di più, perché l’attenzione del mondo è già focalizzata sul tema della guerra, ma la sensazione è che chiunque, attorno, si sia messo a sparare e a lanciare razzi.
Venerdì un impianto petrolifero della Saudi Aramco è andato in fiamme ieri in Arabia Saudita dopo essere stato colpito da un missile, probabilmente sganciato da un drone. L’attentato è stato rivendicato dai ribelli Huthi dello Yemen, che stanno mettendo a segno una serie di attacchi alle strutture petrolifere saudite. Nella notte l’Arabia Saudita ha richiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Il caso ha voluto, fra l’altro, che proprio questo fine settimane a 20 km di distanza si corresse il gran premio di formula uno, e quindi la notizia ha assunto un risalto ancora maggiore.
Sempre sul finire della settimana appena trascorsa, anche la Corea del Nord ha deciso di lanciare il suo missile.Come poteva mancare all’appello il buon vecchio Kim. Si tratta di un missile balistico intercontinentale, non un giocattolo. Kim Jong Un ha anche accompagnato il lancio con un video a metà fra un b-movie di bollywood e il videoclip di gangnam style. Se proprio devo soccombere sotto a un missile, voglio che sia quello lanciato da lui.
Comunque, al di là degli sfottò dell’Internet, la situazione non è poi così divertente. È “una minaccia non solo per la regione, ma per l’intera comunità internazionale” hanno scritto in una dichiarazione congiunta Stati Uniti, Albania, Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Norvegia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Gran Bretagna.
L’ambasciatrice americana all’Onu Linda Thomas-Greenfield ha anche sottolineato che “invece di tornare al dialogo dopo le ripetute offerte degli Stati Uniti e di altri paesi, Pyongyang è tornata ai test sulle armi a lungo raggio, che cercano di minare il regime globale di non proliferazione e la pace e la sicurezza internazionali”.
Intanto in Ucraina la situazione resta all’incirca la stessa di venerdì. Le principali novità sono che Leonid Pasechnik, il leader dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, nel Donbass ha detto che “in un prossimo futuro” potrebbe essere organizzato un referendum per decidere l’annessione alla Russia.
Il portavoce del Ministro degli Esteri ucraino ha prontamente replicato che “Qualsiasi falso referendum nei territori temporaneamente occupati è giuridicamente insignificante e non avrà conseguenze legali”.
Ad ogni modo, ho trascorso buona parte del fine settimana a pensare alle guerre. Quando uno dice, aspettare il weekend per rilassarsi eh! Finalmente posso stare tutto il giorno sul divano a pensare alla guerra. Comunque, fra tutte le varie elucubrazioni ve ne condivido due che magari possono interessarvi.
La prima è banale, ma mi è arrivata forte come un pugno nello stomaco prima vedendo le immagini della guerra in Afghanistan della bravissima Francesca Mannocchi a Propaga Live, e ascoltando i dati di quella situazione, con 13.000 neonati morti di malnutrizione solo da gennaio ad oggi, poi leggendo su Nigrizia che nel continente africano nel 2021 ci sono state 41mila vittime per conflitti di vario tipo. La considerazione è che per una buona parte della popolazione mondiale la guerra è la normalità, che in fin dei conti è la situazione in cui viviamo (o forse dobbiamo dire abbiamo vissuto?) noi europei dal secondo dopoguerra in poi ad essere l’eccezione.
Un’eccezione fra l’altro che si basa su altre guerre. Nel senso che possiamo permetterci di non fare le guerre, persino di non guardarle le guerre e non sapere che ci sono, perché per stare tutti bene andiamo a fregare altrove le risorse. E comunque troviamo i modi per scontrarci e dividerci in tifoserie. Quindi, in fin dei conti noi homo sapiens siamo una specie bellicosa, che ama scontrarsi. Ci piace un sacco fare la guerra. Ed è abbastanza naturale, non è che siamo cattivi, è che nelle nostre calotte craniche gira ancora lo stesso software di 100mila anni fa, abbiamo ancora quelle “menti tribali”, per citare il bel libro di Jonathan Haidt, che si scannavano fra branchi e tribù diverse.
Secondo pensiero, che arriva subito dopo: mi continua a rimbalzare nella testa la frase del grande biologo, inventore del concetto di biofilia, Edward O. Wilson, scomparso pochi mesi fa, che affermava: “Il vero problema dell’umanità è che abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie semi-divine”. Ed è vero, è proprio così! Siamo come dei bambini di un anno, evolutivamente parlando, con in mano una bomba atomica. Vedetevi il video di Kim Jon Un e ditemi se non è così.
E si moltiplica il numero di persone al mondo che può decidere di premere un pulsante e fare Game Over. Quindi, essendo il problema esposto da Wilson tripartito, abbiamo tre opzioni (o varie combinazioni delle stesse). Opzione uno: agiamo sulle tecnologie. Togliamo la bomba al bambino. Decidiamo come umanità che non siamo capaci di gestire il progresso tecnologico, che ci è ampiamente sfuggito di mano, e quindi lo stoppiamo e torniamo indietro.
È l’opzione professata dai luddisti, da chi invoca un ritorno a società più semplici, meno tecnologiche, più facili da gestire, simili a quelle in cui ci siamo evoluti. Potrebbe avere anche senso, ma le probabilità che riusciamo a fare una cosa del genere volontariamente sono molto scarse. Perché dovrebbero sceglierlo tutti i paesi del mondo contemporaneamente, dovremmo deciderlo come genere umano, e non abbiamo gli strumenti per decidere una cosa del genere.
Certo, potrebbe accadere indipendentemente dalla nostra volontà. Uno scenario del tipo deep adaptation, con crollo delle società per Effetto Seneca e magari un collo di bottiglia evolutivo per la nostra specie. Ma se anche ci ritrovassimo piombati in una società tribale, cosa ci impedirebbe di rifare gli stessi errori una seconda volta?
Seconda opzione: agire sui cervelli. Aggiornare il software. I tempi evolutivi sono troppo lenti per stare al passo con lo sviluppo tecnologico, e allora potremmo usare quello stesso sviluppo tecnologico per hackerare i nostri cervelli, potenziarli e permettergli di stare al passo. È lo scenario proposto dal cosiddetto transumanesimo. Le probabilità che questa cosa succeda, in parte, sono alte. Anzi, sta già succedendo. Abbiamo dedicato una puntata speciale a Neuralink, l’azienda di Elon Musk che vuole fare proprio questo.
Le probabilità che funzioni? Direi più basse. Perché il punto non è solo potenziare il cervello, ma come lo si potenzia. Non è che dobbiamo diventare più intelligenti, ma più collaborativi. Ma chi si ritrova nelle posizioni di poter decidere come potenziare il proprio cervello ci si trova tendenzialmente grazie a intelligenza e spirito competitivo, quindi è plausibile che siano questi aspetti che si vogliano potenziare, facendo peggio che meglio.
Terza opzione, cambiare le istituzioni. Cambiare la nostra governance globale medioevale con una più adatta a mediare fra le nostre menti tribali e le nostre tecnologie semidivine. È l’opzione che personalmente mi convince di più. Perché la cosa positiva è che siamo la specie che può modificare di più i suoi comportamenti a seconda del contesto. E quindi potremmo creare contesti che disinneschino i nostri trigger genetici che ci spigono al conflitto e alla distruzione.
È sufficiente? Non lo so. Ma mi sembra, forse sono un po’ di parte, il tentativo che più vale la pena fare. Probabilità che lo faremo? Non moltissime, ma è fattibile. Anche perché i modelli esistono già. Per questo penso che dovremmo approfittarne, noi che non abbiamo adesso le bombe che ci cadono in testa, per implementare queste cose qua. Non sapete di cosa sto parlando? Vi lascio una rassegna speciale di diversi mesi fa dedicata proprio ai modelli di governance collaborativi.
FONTI E ARTICOLI
#Ucraina
Euronews – Biden: “Putin? Un macellaio”. A Varsavia il presidente Usa vede il suo omologo Duda
Valigia Blu – I nazisti di Putin: il ‘gruppo Wagner’ e la guerra nascosta dei mercenari russi
Valigia Blu – ‘Nessuno ha capito cosa stava accadendo’: Albert Sakhibgareyev, il soldato russo che ha disertato dopo l’invasione dell’Ucraina
#Arabia saudita
il Post – Il Gran Premio di Formula 1 dell’Arabia Saudita si correrà nonostante l’attacco missilistico avvenuto venerdì contro un deposito di carburante vicino al circuito
#Corea del Nord
Euronews – Corea del Nord: la comunità internazionale condanna il lancio del missile intercontinentale
#Africa
Nigrizia – Le guerre africane
#modelli di governance collaborativi
Italia che Cambia – Perché la democrazia non funziona più (e quali alternative abbiamo) – Io Non Mi Rassegno #68
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Euronews – Myanmar, la giunta minaccia i ribelli: “annienteremo gli avversari”
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The Guardian – Ukraine war deals ‘massive blow’ to nature as Belarus’s largest wildlife NGO shut down
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Vita – Si fa presto a dire pacifismo
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Vita – Napoli, il più grande eco-murales antismog del Sud
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Euronews – L’India lotta contro la tubercolosi