13 Apr 2023

Il caso del piccolo Enea e l’informazione malata – #709

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Il caso del piccolo Enea, il bambino affidato dalla madre anonima al servizio Culla per la Vita del Policlinico Mangiagalli di Milano, sta sollevando molto dibattito, un dibattito che ci dice alcune cose interessanti sulla nostra società, sul concetto di genitorialità, ma anche su come interpretiamo la realtà. Parliamo anche del ddl contro i cosiddetti eco-vandali, dei bombardamentoi contro i ribelli in Myanmar e degli spiragli di pace in Yemen, e di alcune cose interessanti che stanno accadendo attorno alla vicenda di Assange.

Mi è successo diverse volte di recente di chiedermi se e come dare una notizia. In genere succede nel caso di notizie provate, o minori, che per motivi diversi diventano un po’ dei casi nazionali o addirittura mondiali. Spesso in questi casi la scelta che mi sembra più saggia è quella di non parlarne, di non assecondare la corrente dei media, anche se questo format un po’ lo richiede essendo una rassegna stampa. Ad esempio ho scelto di non parlare del caso del Dalai Lama, di toccare solo di sfuggita le condizioni di Silvio Berlusconi e così via, l’elenco sarebbe lungo. 

Capitano però le volte in cui una notizia, che nasce come piccola, marginale, quasi di gossip, finisce per sollevare un dibattito su temi importanti e magari finisce anche per dirci alcune cose su alcune credenze e convinzioni diffuse. Credo che rientri in questa casistica l’episodio del bambino (che tutti i giornali chiamano ormai il “piccolo Enea”) affidato (i giornali dicono abbandonato ma il termine corretto è affidato) dalla madre alla Culla per la Vita del Policlinico Mangiagalli di Milano, in completo anonimato, il giorno di Pasqua.

La notizia in realtà è nata perché assieme alla culla la madre aveva lasciato un biglietto commovente, che diceva appunto che il bambino si chiama Enea e in cui invitava ad essere affettuosi con lui. Il biglietto, commovente lo è davvero, ma come spesso accade i giornali hanno cavalcato l’onda di questa emozione per trasformare questa notizia minore, anzi questa non notizia, in una roba da prima pagina.

A dare ancora più risalto alla cosa ci si è messo Ezio Greggio che ha confezionato una sorta di video appello alla madre anonima, (la vera madre, la chiama nel video) chiedendole di ripensarci, di tornare sui suoi passi e riprendersi il bambino abbandonato, perché avere un bambino è una fortuna immensa, e dicendosi disponibile – Greggio – persino ad aiutarla economicamente. Più o meno la notizia finisce qua, poi i giornali hanno continuato a seguire il caso dando aggiornamenti, tipo sul fatto che il giorno dopo c’è stato un altro caso simile sempre a Milano, o sul fatto che ci sarebbe già una famiglia a cui il minore verrà affidato.

Ora, cerchiamo di capire che cosa ci dice questa notizia, non tanto in sé, ma su alcuni aspetti della nostra società.

Sui giornali ci dice che – non che sia una novità, purtroppo – c’è un atteggiamento abbastanza di sciacallaggio relativo a questi argomenti. Non parlo di tutti i giornali: tanti hanno scelto di parlarne in maniera sobria, altri di non parlarne proprio (come Domani, e il Post), ma tanti altri, direi la maggioranza perlomeno di quelli mainstream, hanno deciso di parlarne male. In maniera superficiale, con un misto di morbosità, pietismo verso il bambino e la donna, ma a volte colpevolizzando in maniera velata la scelta della donna. Il motivo è semplice: accumulare click, fare più visualizzazioni, quindi vendere più pubblicità e così via. Logiche che però sono molto lontane dal senso del giornalismo. Fra l’altro in questo caso si sono diffuse informazioni che vanno contro il diritto all’anonimato che sta alla base di iniziative come questa.

Poi ci dice qualcosa sul concetto di genitorialità. Questa esaltazione della “vera madre”, fatta da Ezio Greggio e ripresa da diversi media, sottintende che nessun altro sarà in grado di fornire lo stesso affetto a quel bambino, sminuendo il ruolo dei futuri genitori adottivi e avvilendo una scelta, quella di adottare, che pur con tutte le accortezze del caso andrebbe invece incentivata in ogni modo. Invece di parlare della povera madre costretta per immaginarie questioni economiche ad abbandonare il figlio, e del povero figlio che non conoscerà mai la sua “vera” madre, potremmo anche raccontarla così questa storia: c’è una madre che per ragioni che non conosciamo arriva alla decisione (che possiamo immaginare molto dolorosa) di non essere in grado di crescere il proprio figlio, per fortuna esiste un sistema che le consente di affidarlo in mani sicure e alle cure di una futura famiglia amorevole. Suona diversa, no?

Questa storia ci dice qualcosa sulla genitorialità anche in un altro senso: un aspetto che non ho trovato molto analizzato in giro. Sia che la si compatisca, sia che la si condanni, si parla solo della madre. Il padre non pervenuto, non entra proprio nel dibattito. 

Infine ci dice qualcosa anche su di noi, sul nostro modo di interpretare il mondo. Volutamente ho elencato una serie di assunti generici sulla nostra cultura, per come apparirebbe da questo fatto di cronaca. Alcune di queste considerazioni le ho trovate in decine di post sui social, articoli, commenti. Per un Ezio Greggio che enuncia una serie di banalità ci sono decine di commenti che spiegano come la nostra cultura sia maschilista, retrograda, e così via. In parte lo è, è vero. Ma probabilmente – lo dico senza numeri alla mano e consapevole che in parte potrebbe essere anche la mia bolla a darmi questa impressione – è una parte minoritaria.

Il governo e la maggioranza sembrano intenzionate a inasprire le sanzioni contro gli attivisti e le attiviste climatiche, presentando non una, non due bensì tre proposte di legge contro o cosiddetti eco-vandali (così li chiamano i giornali). Leggi che vogliono reprimere le azioni di chi decide di intraprendere la via della disobbedienza civile nonviolenta per protestare contro l’inazione climatica del governo.

La premessa a queste leggi è che negli ultimi mesi si sono intensificate le azioni di protesta di organizzazioni come Ultima Generazione, Extinction rebellion, Just stop oil. E ai classici blocchi del traffico si sono aggiunte azioni di imbrattamento di opere d’arte o edifici storici. Imbrattamento che avviene comunque sempre con vernici lavabili, e nel caso di opere d’arte, solo nei confronti di quelle coperte da teche protettive. Insomma: non ci sono mai dei danni reali. 

Ciononostante molti di questi ragazzi e ragazze sono stati oggetto di campagne molto aggressive da parte della stampa. Non sto parlando di un legittimo dissenso verso le modalità di queste azioni, sulle quali possiamo discutere, insomma, ha senso dibattere, ma una vera e propria campagna quasi di incitamento all’odio. A un certo punto il sindaco di Firenze Dario Nardella è diventato quasi un eroe per aver placcato in stile calcio storico fiorentino uno di questi attivisti che stava imbrattando una parete di Palazzo Vecchio. Insomma, scene epiche. 

Ad ogni modo, la novità è che adesso sia il governo che i partiti di maggioranza sembrano voler sferrare un attacco deciso ai cosiddetti eco-vandali. Sapete che in Italia l’iniziativa legislativa spetta sia al governo, che al Parlamento. Ecco, per prima la Lega ha presentato  in Parlamento, già nel novembre scorso, una proposta di legge, con Claudio Borghi come primo firmatario, per inasprire il reato di “distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”. La proposta, assegnata alla Commissione Giustizia del Senato presieduta da Giulia Bongiorno, prevede esplicitamente l’arresto in flagranza e comprende tra i beni culturali tutelati anche “teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione”, ossia gli unici oggetti danneggiati nelle azioni di Just stop oil, Extinction Rebellion e Ultima generazione.

A questo si aggiunge la recente – proprio di questi giorni – proposta di Fratelli d’Italia, a firma del senatore Marco Lisei. La bozza del testo è ancora in fase di perfezionamento ed è composta da un solo articolo, che in pratica introduce il daspo, ovvero il divieto, per un minino di sei mesi ad un massimo di un anno, di avvicinarsi ad una distanza inferiore a 10 metri agli edifici sottoposti a tutela per chi ha riportato una o più denunce o è stato condannato – anche con sentenza non definitiva – per vandalismo o danneggiamento volontario di beni culturali tutelati.

La trasgressione del divieto comporta una multa che va dai 500 ai 1.000 euro mentre si punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni anche chi deturpa o imbratta edifici pubblici o di culto ed edifici sottoposti a tutela come beni culturali.

Infine in una sorta di manovra di accerchiamento anche il governo ha portato in Consiglio dei ministri un disegno di legge sull’argomento, ddl proposto dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che introduce delle mega-multe, da un minimo di 10mila fino a 60 mila euro, per gli “imbrattatori”. 

Ora, giusto un breve commento. Premessa: su Italia che Cambia in genere tendiamo a parlare delle leggi quando sono effettivamente delle leggi belle e fatte, perché buona parte di ciò di cui parano i giornali prima, come ci ricorda spesso Daniel Tarozzi, sono dichiarazioni, voci, ipotesi, cose che poi verranno modificate e rimodificate. In alcuni casi però parlarne prima, durante l’iter, è utile a sollevare un po’ di dibattito e magari a fare in modo che il governo aggiusti il tiro. 

Questo direi che è uno di quei casi, perché – premettendo di nuovo che si può discutere sul fatto che imbrattare un’opera d’arte sia una cosa accettabile o meno, o sia un modo efficace o meno di convincere i governi ad agire e sensibilizzare le persone – ma comunque la si pensi credo che sia evidente che c’è una disparità di trattamento enorme e illogica fra chi inquina, distrugge gli ecosistemi, butta CO2 in atmosfera compromettendo per sempre il futuro del genere umano e di tante altre specie animali e vegetali, parliamo delle grandi aziende inquinanti ad esempio, e chi con delle azioni cerca di mostrare queste assurdità, di ribellarsi a queste prassi.

Per quanto possiamo pensare che non sia carino imbrattare la galleria degli Uffizi, o palazzo Vecchio, o un dipinto, è difficile pensare che abbia lo stesso peso di contribuire all’estinzione del genere umano. ‘ un po’ il solito discorso del dito e la luna in fin dei conti no? Qui c’è una bomboletta spray che indica il precipizio e gli stolti guardano la bomboletta spray.   

Poi c’è un altro tema, parallelo, ma altrettanto interessante che è chiedersi: quanto funzionano queste azioni? Su questo è difficile dare una risposta, io stesso non ho le idee molto chiare, per adesso mi limito a segnalarvi l’interessante analisi di Roberta Covelli su Valigia Blu, che racconta in cosa consiste la disobbedienza civile nonviolenta praticata da questi movimenti e quali risultati ha ottenuto, nella storia.

Spostiamoci all’estero, in Myanmar per l’esattezza, dove il regime militare ha lanciato un raid aereo contro un villaggio nel nord-ovest del paese, uccidendo almeno 100 persone. “L’obiettivo dell’attacco – scrive su Lifegate Luigi Mastrodonato – sono i rappresentanti delle Forze di Difesa del Popolo, un gruppo armato e ribelle al governo, ma tra le vittime ci sarebbero anche diversi civili, tra cui bambini. 

L’attacco aereo del regime militare del Myanmar è avvenuto a Pa Zi Gyi, nella regione di Sagaing. Qui era in corso l’inaugurazione di un nuovo ufficio delle Forze di Difesa del Popolo, il braccio armato del governo in esilio di Unità Nazionale costituitosi dopo il colpo di stato del 2021 con cui i militari hanno rimosso il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e instaurato una dittatura nel paese.

Due bombe sganciate dall’alto e gli spari sul villaggio hanno causato almeno 100 morti, tra cui bambini, ma il numero è in costante aggiornamento. Il regime ha rivendicato l’azione, sottolineando che l’eventuale presenza di civili tra le vittime è dovuta alla loro vicinanza al gruppo ribelle destinatario dell’attacco. Il ministero del Lavoro del governo in esilio ha parlato di un atto atroce che costituisce un crimine di guerra. A due anni dal colpo di stato, a situazione nel paese purtroppo è drammatica.

Dove invece si aprono degli spiragli di pace è in Yemen, il paese della Penisola arabica dove da otto anni è in corso una guerra che ha provocato una gravissima crisi umanitaria. Come scrive un articolo del Post “Dal marzo del 2015 una coalizione guidata dall’Arabia Saudita bombarda periodicamente lo Yemen e lo tiene sotto embargo, mentre l’Iran sostiene gli Houthi ribelli, che controllano una parte del paese. È una guerra che in questi anni ha provocato decine di migliaia di morti, ma negli ultimi giorni sembra che l’ipotesi di un accordo di pace si sia fatta più concreta, anche se le notizie di un negoziato vero e proprio al momento non sono ufficiali”.

I fatti principali sono che due giorni fa un portavoce delle milizie sciite Houthi ha annunciato che c’è stato uno scambio di prigionieri con l’Arabia Saudita. Il portavoce ha detto che sabato l’Arabia Saudita ha liberato 13 prigionieri di guerra a fronte del rilascio di un prigioniero saudita e che questo scambio tra prigionieri, mediato dall’ONU, prevede in totale il rilascio di 887 prigionieri.

Inoltre secondo fonti citate da Bloomberg in questi giorni si sono tenuti incontri tra una delegazione saudita e una delle milizie Houthi con la mediazione di funzionari dell’Oman, che confina con Yemen e Arabia Saudita. Gli incontri si sarebbero tenuti a Sana’a, nella capitale dello Yemen. Saba, l’agenzia di stampa yemenita controllata dagli Houthi, ha scritto che uno dei leader politici degli Houthi, Mahdi Al-Mashat, si è incontrato con le delegazioni omanite e saudite domenica per concordare un piano di pace e raggiungere un cessate il fuoco.

Inoltre a inizio marzo Arabia Saudita e Iran (che sono dietro al conflitto che si combatte sulla pelle degli yemeniti, avevano ristabilito le loro relazioni diplomatiche dopo sette anni, in un accordo considerato per molti versi storico. Insomma, ancora è presto per parlare di pace, ma di sicuro si stanno aprendo delle prospettive finalmente interessanti.

Un altro caso su cui ci sono delle novità interessanti e diciamo positive è quello di Julian Assange. La novità, per la quale devo ringraziare la segnalazione di un ascoltatore di INMR, è che 48 parlamentari australiani hanno firmato una lettera aperta in cui si esorta il Procuratore Generale degli Stati Uniti a cessare i tentativi di estradare il loro connazionale Julian Assange. La cosa interessante è che 13 di questi fanno parte del partito Laburista attualmente al governo e che sono rappresentate non dico tutte, ma tante forze politiche all’interno di questo gruppo di firmatari.  

Intanto più di 30 parlamentari britannici hanno firmato una lettera simile nel giorno in cui Assange di WikiLeaks ha iniziato il suo 5° anno di carcere nel Regno Unito.

Insomma, sembra che dopo le grandi manifestazioni, dopo il tardivo ripensamento delle grandi testate giornaistiche come il Guardian e il NYT che un mese fa hanno scritto una lettera per chiedere la scarcerazione di Assange, anche il mondo politico si stia muovendo. Non so dire quanto siano iniziative isolate o quanto questo sia l’inizio di un movimento pi+ ampio che possa effettivamente portare alla scarcerazione di Assange. Noto però che dopo anni in cui nessuno si è occupato del caso, il nome di Assange sta tornando a occupare le notizie, e credo che questo possa far ben sperare. 

Prima di chiudere, due segnalazioni legate in parte a questa notizia. la prima è una indiscrezione, un piccolo spoiler della prossima puntata di INMR+ che sarà proprio sul caso Assange, con un’intervista esclusiva all’unica giornalista italiana che ha lavorato con Wikileaks per dieci anni, Stefania Maurizi. Se siete abbonati, non perdetevala, se non lo siete, siatelo!

La seconda notizia è che visto che arrivano sempre piè+ segnalazioni per INMR ma mi arrivano attraverso i canali più disparati, abbiamo aperto un canale di comunicazione specifico per chi volesse segnalarmi le notizie. Dovete andare su Italia che Cambia / contattaci e lì trovate un form dedicato in cui potete selezionare la voce “inviare una segnalazione per INMR”.

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