10 Set 2024

Il piano Draghi per l’industria europea è una conversione bellica? – #978

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Sta facendo molto parlare il rapporto sulla crescita industriale dell’Europa pubblicato ieri dal super consulente Mario Draghi. Vediamo che cosa propone punto per punto e perché dovrebbe preoccuparci. Parliamo anche delle attività dal carcere del fondatore di Sea Shepherd Paul Watson, di una strana conseguenza di una moria di pipistrelli negli Usa, delle similitudini fra l’abbattimento di elefanti in Namibia e cervi in Abruzzo e poi di energia, con l’addio del Regno unito al carbone e il compleanno della cooperativa energetica è nostra. 

Ieri è uscito un atteso rapporto di Mario Draghi sul futuro della competitività europea. Saprete forse che circa un anno fa Mario Draghi ha accettato questo incarico, propostogli dalla stessa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, di essere una sorta di super consulente con il ruolo non da poco di trovare la soluzione su come risollevare la competitività dell’industria europea rispetto alla concorrenza di Usa e Cina.

Perché l’industria europea ha un oggettivo problema di competitività dovuto a una serie di fattori, che ora vediamo. Comunque, fatto sta che ieri Draghi ha presentato un rapporto che è fin qui il frutto principale del suo lavoro. Ora, quello che dice in questo rapporto è per alcuni versi molto interessante, per altri un po’ preoccupante. Provo a spiegarvi.

Innanzitutto, analizza le criticità e afferma che quelle principali, che stanno penalizzando l’industria europea, sono:

  • un ritardo nelle tecnologie rivoluzionarie, specialmente nei settori digitali/tecnologici e dell’intelligenza artificiale. Manca di nuove aziende dinamiche e fatica a commercializzare la ricerca.
  • Gli alti costi energetici rispetto soprattutto ai concorrenti statunitensi.
  • Gli obiettivi climatici più ambiziosi sempre rispetto ai concorrenti, che creano costi a breve termine per l’industria.
  • Le dipendenze esterne per le importazioni di materie prime critiche e tecnologie.
  • Le esigenze di difesa e sicurezza, dovute all’instabilità geopolitica.
  • E infine il calo demografico.

E fin qui è l’analisi, che onestamente ci sta: cioé è vero che questi fattori frenano la competitività dell’industria.

Draghi propone allora di adottare una dottrina economico-industriale, e qui sta la parte interessante, che contraddice in buona parte la dottrina liberale da lui stesso propugnata per anni. La dottrina in cui il mercato deve essere lasciato al centro, libero il più possibile di compiere il suo lavoro, in cui gli stati devono evitare di indebitarsi, in cui le banche centrali fanno il grosso delle politiche economico/finanziarie dei paesi e in cui i dazi vengono visti come il male assoluto. Ecco: qui le cose improvvisamente cambiano.

Innanzitutto si tratta di un piano di investimenti massicci per la crescita economica, un piano molto interventista per compiere il quale, ammette Draghi, il mercato da solo non basta. Nè bastano le banche centrali, con le loro politiche monetarie. Servono politiche fiscali, interventi statali, controllo statale in alcuni casi, spesa pubblica e politiche industriali scelte strategicamente. Nel piano stesso si parla di interventi che sono il doppio del Piano Marshall, e il riferimento al piano con cui gli Usa finanziarono la ripresa europea post II guerra mondiale non è casuale, anche a livello di modello economico. 

Per attuare questo enorme piano di investimenti, poi, gli Stati sono quasi chiamati ad indebitarsi, e vengono fra le righe invitati a inserire barriere all’ingresso, ovvero appunto dazi, per sviluppare il proprio mercato interno. 

Insomma, non dico che sia un’inversione a U ma poco ci manca, rispetto alla dottrina liberale di cui Draghi stesso è stato un grande promotore. Ora però, le note dolenti. Verso cosa dovrebbe l’Europa forzare i mercati? Quali settori gli stati europei dovrebbero scegliere di privilegiare, anche attraverso spesa pubblica e politiche fiscali vantaggiose?

Punto 1: Innovazione, con l’obiettivo di colmare il divario appunto con Cina e Usa. Egià qui, parliamone, perché innovazione vuol dire spesso anche deregolamentazione, perché per non perdere le onde giuste bisogna essere pronti a rischiare, anche in settori delicati e sui cui forse occorrerebbe essere prudenti come quello dell’IA.

Punto 2: Piano congiunto di decarbonizzazione e competitività, che significa transizione energetica in salsa industriale e in salsa di crescita economica. Quindi, suppongo, una grossa spinta verso la produzione di energia pulita a livello industriale, che ci può anche stare, anche se abbiamo visto che anche lì spesso la speculazione è dietro l’angolo, ma può anche significare meno attenzione su invece questioni come le comunità energetiche l’autoproduzione, la riduzione dei consumi e così via. Insomma, siamo alla crescita verde, che sappiamo essere un po’ un ossimoro dal punto di vista ecologico.

E poi c’è il punto 3, che è quello più preoccupante: Aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze. In cui sostanzialmente propone come uno dei principali driver di crescita economica il settore della difesa. Quindi armi e tutto il resto. E la sua ricetta in questo settore è: evitare la frammentazione e possibilmente creare delle grosse aziende europee. Magari, come suggerisce Alessandro Volpi in un suo commento, quotate in borsa, sul modello Usa. Draghi fa l’esempio che in Europa si producono 12 diversi tipi di carri armati, mentre negli Stati Uniti ne esiste uno solo. Questa frammentazione, dice, riduce l’efficienza e l’interoperabilità delle forze armate europee, ostacolando anche la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa. Per fare questo Draghi suggerisce persino di utilizzare anche i fondi della Bei, che in genere vengono usati per infrastrutture, innovazione ed energia sostenibile. E applicare a questo settore regole ambientali più blande rispetto al resto.

Ora se seguite INMR e ICC e soprattutto se siete abbonati/e la cosa non vi stupirà. L’europarlamentare M5S Dario Tamburrano già mesi fa ci aveva raccontato di come il Green Deal si stesse forse trasformando in un War deal e che ci fossero parecchie zone grigie in cui l’economia verde sembrava più spingere verso un’economia di guerra. E che in fin dei conti non è troppo difficile trasformare una conversione verde in una conversione bellica, perché ci sono diversi aspetti compatibili.

Ovviamente questa cosa ha parecchie criticità. Draghi giustifica gli investimenti parlando di difesa e sicurezza, dicendo che il contesto geopolitico globale lo richiede e dicendo anche che l’Europa non cresce perché gli investitori non lo ritengono un luogo abbastanza sicuro. Ma non credo serva essere Alessandro Barbero per capire che in genere, quando un continente ha assunto come principale driver di sviluppo quello degli armamenti, e ha assunto una postura bellica, poi la guerra è arrivata. 

La commissione e molte forze politiche hanno accolto con entusiasmo il piano Draghi per l’Europa, senza farsi apparentemente troppe domande su quale sia l’output finale di tutta questa roba qua. Io penso che invece qualche domanda dobbiamo farcela. Perché nessuno sceglie improvvisamente di fare la guerra. La guerra avviene perché le condizioni perché avvenga diventano giorno dopo giorno più logiche e sensate ai nostri occhi. 

Altre notizie interessanti e importanti. Repubblica pubblica un articolo, a firma del giornalista ambientale Giacomo Talignani, che racconta qualcosa di interessante che sta accedendo al capitano Paul Watson, fondatore dell’organizzazione Sea Shepherd, in carcere.

Se ricordate, ne abbiamo parlato diverse volte prima dell’interruzione estiva, lo scorso luglio, Watson è stato arrestato in Groenlandia in seguito a questo mandato, e ora si attende una decisione sulla sua estradizione in Giappone, dove rischia fino a 15 anni di carcere.

Watson è una sorta di leggenda dei mari, che da oltre cinquant’anni combatte letteralmente contro le gigantesche baleniere, sfidandole in mezzo agli oceani. Nel 2012 il Giappone ha emesso un mandato di arresto contro di lui per aver danneggiato una nave baleniera e ferito un membro dell’equipaggio. Ferito, specifica l’articolo, con l’utilizzo di una bomba puzzolente. Quindi forse ha principalmente ferito il suo orgoglio.

Comunque, l’aspetto interessante evidenziato dall’articolo è che durante la detenzione Watson continua, anche se in modo diverso, a proteggere le balene. Nell’intervista dichiara che adesso “la sua nuova nave è il carcere di Nuuk” e che continua a inviare messaggi tramite i suoi collaboratori, a riceve molte lettere di supporto, soprattutto da bambini, e crede che la sensibilizzazione delle nuove generazioni possa portare al cambiamento.

In molti sostengono anche la sua liberazione, fra cui l’ufficio del presidente francese Macron e l’attrice Brigitte Bardot, e anche noi della redazione di ICC, anche se questo Repubblica non lo riporta. 

Notizia un po’ inquietante, ma che ci dice molto sulla complessità degli ecosistemi in cui viviamo e su come forse non tutto, ma molte cose siano collegate da legami invisibili che non riusciamo a osservare e prevedere. E anche su quanto sia importante mangiare cibo sano, e offrirlo ai nostri figli.

In pratica è uscito uno studio in cui il ricercatore ambientale Eyal Frank dell’Università di Chicago ha rilevato una sorprendente correlazione tra la moria di pipistrelli causata da una epidemia e l’aumento della mortalità infantile dell’8% in alcune aree degli Stati Uniti. 

Notando questa strana correlazione, lo studioso ha indagato e ha scoperto che nelle zone colpite da questa epidemia di origine fungina chiamata sindrome del naso bianco, che porta alla morte di intere colonie di pipistrelli, che succedeva? Succedeva che quei pipistrelli  mangiavano migliaia di insetti ogni notte, proteggendo così le colture dagli insetti nocivi e con la loro scomparsa gli agricoltori hanno iniziato a usare più pesticidi, con un aumento del 31% nell’uso di insetticidi e perdite economiche significative nel settore agricolo.

E che mangiando cibo più contaminato da pesticidi la mortalità infantile è aumentata dell’8%. Piccolo disclaimer per capire i numeri: non significa che sono morti l’8% dei bambini, ma che il tasso di mortalità infantile è passato dallo 0,80% per cento allo 0,86%. Però comunque una percentuale abbastanza significativa da indicare una correlazione fra i due eventi. 

Ora, sappiamo questa cosa solo perché un tizio si è messo per caso ad analizzare questo legame, ma chissà di quanti altri legami nascosti non siamo a conoscenza. Comunque studi come questo ci mostrano una volta di più che salute, economia, ambiente, non solo sono cose connesse ma sono solo nomi diversi che diamo a seconda dell’angolatura da cui osserviamo la stessa cosa, che è quel groviglio di intrecci che sono gli ecosistemi e la vita sulla terra. Sarebbe bello poter conoscere il tutto senza dividere e fare classificazioni. Purtroppo abbiamo cervelli troppo limitati per farlo, però almeno sapere che è così ci può aiutare nel prendere decisioni sensate.

Se sono vere le premesse di prima, capirete che dovremmo essere molto cauti ogni volta che decidiamo di interferire in maniera importante con gli ecosistemi. Solo che in genere non lo siamo. 

Ricorderete forse che qualche giorno fa abbiamo raccontato di come in Namibia si stiano uccidendo elefanti e altri grossi mammiferi per sfamare la popolazione colpita da una grave carestia e per eliminare possibili competitors per le scarse risorse disponibili. 

Una dinamica simile in qualche modo a quella che osserviamo – per ragioni diverse – in Abruzzo, dove la regione ha dato il via libera all’abbattimento di centinaia di esemplari di cervi (pagando i cacciatori per farlo).

Oggi su ICC pubblichiamo un articolo molto bello dell’etologa e fondatrice di eticoscienza Chiara Grasso su questo tema, e ho chiesto a Chiara un commento su queste vicende.

Audio disponibile nel video / podcast

Spostiamoci in Inghilterra sul giornale QualEnergia per darvi una notizia storica. Dopo ben 142 anni dalla messa in funzione della prima centrale a carbone, il Regno Unito è diventato il primo Paese del G7 a dismettere completamente le centrali a carbone dal suo mix energetico. 

Il 30 settembre 2024, l’ultima centrale a carbone, Ratcliffe-on-Soar nel Nottinghamshire, sarà chiusa e convertita in un impianto di produzione di idrogeno a basse emissioni. Questo cambiamento avviene un anno prima rispetto alla previsione originaria del governo del 2015. Tralasciando le perplessità sull’idrogeno, ma mi sembra comunque un’ottima notizia!

È vero che il carbone rappresenta da un po’ di tempo solo l’1% del mix elettrico del Regno Unito, con la maggior parte della produzione elettrica proveniente da gas, eolico e solare, ma si chiude un po’ il cerchio, laddove ebbe inizio la rivoluzione industriale e di fatto i prodromi della crisi climatica. 

Allo stesso tempo – altro dato interessante – il governo ha recentemente assegnato 9,6 GW di nuova capacità per progetti di energia rinnovabile, con la maggior parte dei fondi destinati all’eolico offshore ed è stata prevista anche la chiusura delle centrali a gas per raggiungere la neutralità climatica entro il 2030, obiettivo molto ambizioso, ma che il governo britannico sembra intenzionato a perseguire piuttosto seriamente. O almeno più seriamente di altri governi.

L’articolo spiega anche che l’addio al carbone è un percorso in atto anche in altri Paesi europei. La Danimarca ha chiuso la sua ultima centrale elettrica a carbone alla fine di agosto, la Germania prevede di farlo entro il 2038, e dalla fine del 2025 anche l’Italia dovrebbe essere coal free, fatta eccezione per la Sardegna (previsto per il 2028).

A proposito di energia, immagino che conoscerete ènostra, la cooperative di produzione di energia rinnovabile che è diventata un vero e proprio modello virtuoso nel nostro paese di una produzione energetica sostenibile, etica e condivisa. ènostra ha festeggiato dieci anni questo weekend e noi c’eravamo con Daniela Barolini e Paolo Cignini a documentare l’evento.

Daniela ha scritto anche un bel resoconto di quelle giornate, per cui ho chiesto anche a lei un audio per raccontarci come è andata.

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie Daniela, e a proposito di compleanni, vi dico anche che ieri, 9 settembre era il 12o compleanno di Italia che Cambia. Quindi tanti auguri a noi e come ha suggerito il nostro direttore in un suo messaggio che vi abbiamo condiviso ieri sui nostri canali, se volete fare un bel regalo a ICC, abbonatevi 🙂

Prima di salutarvi voglio segnalarvi un ultimo articolo che pubblichiamo oggi, che è quello a firma di Francesco Bevilacqua sul riabitare le montagne. Se siete interessati all’argomento leggetelo anche perché c’è una call aperta e potreste anche voi seguire le orme di una ventina di ragazzi/e che hanno già fatto questa scelta.

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