17 Giu 2024

È pace o farsa? La proposta di Putin sull’Ucraina e la conferenza in Svizzera di Zelensky – #950

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Venerdì il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato al mondo la sua proposta per la pace in Ucraina. Una proposta giudicata da molti una richiesta di resa incondizionata a Kiev, e che arriva il giorno dopo l’incontro al G7 fra Biden e Zelensky e alla vigilia di una grande conferenza per la pace voluta dal governo ucraino e a cui Mosca non era stata invitata. Cerchiamo di capire cosa significa tutto ciò, con l’aiuto dell’esperto Aldo Giannuli. Parliamo anche del G7, che sembra essere stato una vittoria soprattutto per Giorgia Meloni, e di come sono andati i negoziati intermedi di Bonn, in vista della conferenza sul clima di Baku.

Venerdì, il 14 giugno, il presidente russo Putin ha fatto un annuncio al mondo: ha detto di avere una proposta di pace per l’Ucraina. Capirete che in breve tempo ha attirato a sé tutte le attenzioni dei media mondiali. Poi ha fatto la sua mossa.

Qual è quindi la proposta di pace pensata dal Cremlino? Putin ha chiesto al governo di Kiev di cedere ben 4 regioni, ovvero Donetsk, Luhansk (quindi tutto il Donbass), più Cherson e Zaporižžja, e di rinunciare a entrare nella Nato. Quindi in pratica chiede la cessione di 4 oblast su 24 e la neutralità del resto del paese.

Ha detto: “Non appena Kiev comincerà a ritirare le truppe dalle quattro regioni e rinuncerà formalmente ad aderire alla Nato ordinerò il cessate il fuoco e darò il via ai negoziati”. Il presidente russo ha ribadito di volere un’Ucraina “neutrale, non allineata, priva di armi nucleari, smilitarizzata e denazificata”.

La proposta di Putin ha generato risposte piuttosto nette e sbrigative da parte di Zelensky, così come dell’amministrazione americana, che l’hanno rispedita al mittente senza nemmeno prenderla in considerazione. Ma consideriamo che arriva in un momento non casuale, all’indomani della prima giornata del G7 in cui si è siglato l’accordo bilaterale sulla difesa fra Ucraina e Usa. E alla vigilia della grande conferenza sulla pace tenutasi poco fuori Lucerna, in Svizzera, questo fine settimana, sabato e domenica, con oltre 90 delegazioni presenti, da cui la Russia è stata esclusa.

Dopo parliamo anche di questo incontro, ma intanto volevo capire meglio la proposta di Putin. Perché una proposta di pace sbandierata ai 4 venti non va presa in senso letterale, perlomeno non solo. E mi sono interrogato sul senso di questa proposta: “E’ un modo di Putin di sedersi al tavolo delle trattative a Lucerna pur non essendo stato invitato? È una provocazione? Avrebbe senso andare a sedersi a un tavolo e provare a trattare?”

Non trovando delle risposte chiare in giro ho chiesto un parere ad Aldo Giannuli, politologo e storico, autore prolifico,  direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione, che fra le tante cose tiene da diverso tempo delle dirette sul suo canale YT in cui analizza costantemente e da chiavi di lettura per capire l’evolversi della situazione geopolitica internazionale. Gli ho chiesto quindi come dobbiamo intendere la proposta di Putin.

Audio disponibile nel video / podcast

Ecco, quindi, questo è il contesto, e ringrazio il prof. Giannuli per permetterci di ampliare le nostre riflessioni con le sue analisi. 

Vi dicevo che poi sabato e ieri c’è stato invece questa grande conferenza per la pace fortemente voluta da Zelenski. Che però, più che una conferenza per la pace – anche perché è difficile fare la pace senza invitare una delegazione russa, che è la causa per cui esiste il conflitto, sembrava un po’ un modo per il governo ucraino di mostrare il sostegno internazionale di cui gode.

Che però è andata così così. La dichiarazione finale, firmata da 85 soggetti (fra stati e organizzazioni internazionali), si sofferma solamente su tre punti essenziali: l’inammissibilità della minaccia o dell’utilizzo di armi nucleari nella guerra contro l’Ucraina, la sicurezza alimentare che passa anche attraverso l’accesso della navigazione dei prodotti agricoli ucraini nel Mar Nero e di Azov e, infine, la questione dei prigionieri di guerra e dei bambini ucraini che devono tornare nel loro paese.

Ma risente della mancata firma di diversi paesi del cosiddetto Sud globale, tra cui Brasile, India e Sudafrica. E in generale sull’incontro pesava l’assenza non solo della delegazione russa, ma anche di quella cinese (che ha scelto di non partecipare e ha anzi – pare – invitato altri paesi a disertare l’incontro sostenendo sostanzialmente che fosse inutile e che convenisse dare maggior credito alla proposta cinese-brasiliana di qualche mese fa).

Ma non solo. Come racconta Sabato Angieri sul manifesto, per gli Usa pesava l’assenza di Joe Biden, rappresentato dalla vice Kamala Harris e dal Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan. L’Arabia saudita ha inviato il ministro degli esteri «per non sbilanciarsi troppo», come sostengono alcuni analisti. Anche il presidente turco Erdogan è stato rappresentato dal capo della diplomazia di Ankara. Brasile e Vaticano solo osservatori, India e Sudafrica hanno scelto di inviare funzionari minori.

Il risultato è stato, secondo Mara Morini su Domani, una conferenza “Più incentrata al marketing comunicativo, a una mera passerella di intenti, a una foto istantanea da offrire all’opinione pubblica”.

Al netto di questo, sottolineo però che per la prima volta si sta parlando di pace. Anche se in maniera ancora scomposta e forse un po’ provocatoria, è la prima volta dall’inizio del conflitto, credo, in cui sia dalla Russia, che dall’Ucraina, che da altri attori globali arrivano delle suggestioni sul tema di porre fine al conflitto. Non dico che la pace sia dietro l’angolo, ma forse è il segnale di una apertura, per il prossimo futuro.

Come dicevamo venerdì, questi ultimi giorni sono stati caratterizzati anche e soprattutto dal G7 pugliese, perlomeno sulla stampa nostrana. Anche se più che dei temi trattati, al centro della cronaca sono state le relazioni quasi personali della nostra premier Giorgia Meloni in particolare con gli altri leader europei presenti (che nella fattispecie erano Macron e Sholz) e i balli scatenati sempre di Meloni che balla la pizzica.

Al di là del folklore mediatico, è innegabile che sia stato soprattutto il G7 di Giorgia Meloni, descritta anche dalla stampa internazionale come la vera trionfatrice di questo incontro. Riprendo dal Post un articolo che racconta come vari giornali del mondo abbiano sottolineato la posizione quasi unica della presidente del Consiglio italiana, che appariva l’unica leader dal consenso solido fra i presenti. E l’unica, una volta finita la riunione, a poter rivendicare una vittoria politica per essere riuscita a rimuovere ogni riferimento all’aborto nel comunicato finale.

Il Wall Street Journal titolava «I nani del G7, e Giorgia Meloni», mentre Politico faceva eco con «Sei anatre zoppe e Giorgia Meloni».

Durante il primo giorno di negoziati il principale corrispondente diplomatico del Guardian, Patrick Wintour, aveva elencato in maniera piuttosto spietata le posizioni molto precarie dei capi di stato e di governo che hanno partecipato al vertice, mano a mano che venivano accolti da Meloni all’ingresso di Borgo Egnazia, il resort pugliese che ha ospitato il G7.

Charles Michel, il presidente del Consiglio Europeo, decadrà dalla sua carica il primo dicembre, e al momento non è ancora chiaro cosa farà dopo il mandato. Rishi Sunak, premier britannico, molto probabilmente nel giro di un mese non sarà più primo ministro. Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, ha preso una batosta senza precedenti alle elezioni europee.

Fumio Kishida, il primo ministro giapponese, ha scoperto due giorni fa che il suo tasso di popolarità è sceso al 21 per cento, un record negativo ed è possibile che a settembre il suo partito lo sostituisca con qualcun altro. Il primo ministro canadese Justin Trudeau al momento è dato come molto sfavorito per le elezioni parlamentari che si terranno nel 2025, il presidente francese Emmanuel Macron ha appena indetto elezioni parlamentari anticipate dopo avere preso meno della metà dei voti del Rassemblement National alle elezioni europee.

E infine il presidente statunitense Joe Biden, che al momento è dato sfavorito contro il candidato Repubblicano Donald Trump per le elezioni presidenziali di novembre.

Meloni ha cercato di sfruttare sia questa posizione di forza sia il fatto che l’Italia quest’anno detiene la presidenza di turno del G7 per ottenere delle vittorie politiche. Oltre alla questione dell’aborto, che è stato il tema più pubblicizzato dai giornali, gli sherpa italiani (ovvero quei funzionari e diplomatici che poi lavorano alle contrattazioni) hanno ottenuto anche che nel comunicato finale non ci fosse alcun riferimento all’identità di genere, un tema molto importante per la comunità LGBTQ+, soprattutto quella transgender.

E ad evitare espressioni molto nette sul potenziamento delle capacità produttive dei vaccini in vista di eventuali future pandemie.

Le vittorie politiche di Meloni sono state molto raccontate da diversi giornali internazionali. Il quotidiano tedesco Zeit ha scritto che Meloni ha «messo in riga» gli altri partecipanti. Euronews ritiene che per Meloni il G7 sia stato «una potente dimostrazione di influenza». La stampa italiana ovviamente risente di logiche politiche interne, come sappiamo, per cui in questo caso osservare come la questione è stata trattata dalla stampa estera mi sembra più interessante.

Concludiamo questa puntata molto negoziale di INMR con un altro incontro che si è tenuto nei giorni scorsi. Sapete, forse, che qualche mese prima delle Conferenze della parti sul clima, le famose COP, si tengono dei negoziati intermedi, dei pre-negoziati, che servono a stabilire un po’ il punto di partenza dell’incontro annuale. Nei giorni scorsi, in vista della COP29 che si terrà a Baku, in Azerbaijan, si sono svolti i pre negoziati a Bonn, in Germania.

Ne parliamo oggi su ICC, con un articolo a firma di Benedetta Torsello che ci racconta che non è che siano andati proprio benissimo questi negoziati. Leggo:

“È ormai tarda sera quando si chiudono i lavori dei negoziati intermedi UNFCCC SB60 di Bonn, ovvero quelli che coinvolgono i corpi sussidiari dell’accordo quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Dopo due settimane intense di lavori, la plenaria di chiusura al World Conference Center di Bonn, prevista per il pomeriggio di giovedì scorso, è stata convocata con diverse ore di ritardo. Il motivo, probabilmente, lo sforzo di trovare un accordo comune quanto più solido possibile sui testi che arriveranno sui tavoli negoziali della prossima COP a Baku.

Nel suo discorso di chiusura a Bonn, Simon Stiell, segretario esecutivo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha elogiato lo sforzo collettivo compiuto nelle due settimane di lavori, senza nascondere che quelli fatti a Bonn sono stati solo dei «modesti passi in avanti (…) Troppe questioni sono rimaste irrisolte. Troppi elementi sono ancora sul tavolo». Le decisioni in stallo, rimandate con una certa dose di rischio a Baku, sono numerose: «Non possiamo continuare a rimandare i problemi di quest’anno all’anno prossimo», ha ribadito Stiell.

La delusione, in particolare, è legata al tema della mitigazione, sul quale, continua l’articolo – l’incontro “si chiude con un deludente nulla di fatto. Addirittura viene tutto rimandato a Baku senza neppure aver provveduto né a una bozza né a una semplice nota informale. La delegazione delle Isole Samoa, come riportano gli osservatori di Italian Climate Network, nella plenaria finale ha parlato di «grande delusione», rispetto a «fallimenti che non ci possiamo permettere; trattandosi dell’unico punto all’ordine del giorno sulla mitigazione, dovremmo andare avanti ogni anno, cosa che non accade; abbiamo bisogno di risultati concreti, non questioni procedurali. Abbiamo visto tentativi chiaramente orientati a seppellire questo programma di lavoro»”.

Insomma, la prossima conferenza sul clima che si terrà a novembre non sembra arrivare con le migliori prospettive. Al tempo stesso, dobbiamo notare un trend di progressivo disinteresse anche mediatico verso queste conferenze, dopo il grande interesse di Parigi ormai quasi 10 anni fa. Trend che non credo sia da imputare ad un disinteresse verso la questione climatica quanto a una mancanza di aspettative generale e sfiducia verso questo tipo di processo, da cui nessuno sembra più realmente aspettarsi che arrivi granché. Comunque, ne riparliamo meglio, intanto se vi va leggetevi l’articolo. 

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