Il Parlamento Ue ha dato il via libera alla nuova Commissione von der Leyen, fra le polemiche – #1029
Ieri la nuova Commissione Europea guidata per la seconda volta da Ursula von der Leyen ha ottenuto il via libera ufficiale dal Parlamento Europeo, ma con numeri tutt’altro che entusiasmanti. Il volto del Parlamento – e un po’ dell’Unione – che è emerso dalla votazione di ieri è un volto frammentato, con i vari gruppi che sono pieni di spaccature al loro interno e la stessa Commissione che non ha una maggioranza chiara e definita.
Comunque, partiamo coi fatti. Anzi, va’, facciamo una premessa, che mi piacciono le premesse. Non so se vi ricordate come funziona la formazione di parlamento e commissione europea, comunque a giugno abbiamo votato per il nuovo parlamento europeo, dopodiché è successo che – come prevede l’iter – il Consiglio Europeo (composto dai capi di stato e di governo dei paesi UE) ha proposto il o in questo caso la candidata alla presidenza della Commissione, tenendo conto dei risultati delle elezioni europee. Ha scelto Ursula von der Leyen.
Il Parlamento a quel punto ha votato e ha approvato Von der Leyen che a quel punto, dopo varie consultazioni con i capi di stato dei paesi membri, ha annunciato la sua squadra, i membri della commissioni, selezionati nella misura di uno per Stato. Nel caso dell’Italia von der Leyen ha accettato la proposta di Meloni e ha selezionato il candidato di FdI Raffaele Fitto nominandolo anche a un ruolo di prestigio, vicepresidente della Commissione.
Poi i commissari designati si sono presentati davanti alle commissioni del Parlamento Europeo per rispondere alle domande dei deputati sulle loro competenze e priorità.
Ed eccoci arrivare a ieri quando il parlamento ha votto sull’intera commissione, approvandola, e avviando così ufficialmente il Von der Leyen bis. Ma. Ci sono diversi ma.
Innanzitutto i voti a favore sono stati solo 370, un record negativo per la storia recente delle istituzioni comunitarie. Per capirci: cinque anni fa, la precedente Commissione von der Leyen aveva ottenuto 461 voti, quasi cento in più. E questo calo non è certo casuale.
I problemi sono diversi e intrecciati. Innanzitutto, il contesto politico: il Partito Popolare Europeo (PPE), la famiglia politica della presidente nonchè il partito di maggioranza nell’europarlamento, di centrodestra, sta giocando su più tavoli. Da una parte, mantiene l’alleanza tradizionale una sorta di larghe intese in salsa europea, che unisce tutto l’arco centrista, con Socialisti e Renew Europe; dall’altra, strizza sempre più l’occhio all’estrema destra, in particolare ai Conservatori e Riformisti Europei (ECR), il gruppo guidato da Giorgia Meloni.
Questo spostamento verso destra, però, ha fatto saltare i nervi a molti. I Verdi e i Socialisti, per esempio, si sono divisi profondamente al momento del voto, con delegazioni nazionali, come quella italiana o francese, che hanno scelto di opporsi apertamente, nonostante avessero inizialmente dato il loro appoggio a von der Leyen.
Anche i Popolari però si sono in realtà spaccati, con i deputati spagnoli che si sono dissociati su alcune nomine. In particolare su quella di Teresa Ribera, co,me Fitto nominata vicepresidente della Commisisone (ce ne sono 6 in tutto) con incarico alla Transizione Pulita, Giusta e Competitiva. Una parte della delegazione spagnola del PPE ha cercato di bloccarne l’approvazione durante le audizioni parlamentari, accusandola di aver gestito male le devastanti alluvioni che hanno colpito Valencia a fine ottobre.
Dietro queste accuse, però, c’è molto di più: spiega Franscesca de Benedetti su Domani che “Ribera è considerata una figura chiave per l’agenda climatica dell’UE, e il suo lavoro in Spagna ha sempre puntato su transizione ecologica e decarbonizzazione. Questo – se è un’ottima notizia per noi – la rende anche però un bersaglio non solo per i Popolari spagnoli (Partido Popular), ma anche per quella parte del PPE che guarda con scetticismo alle politiche climatiche più ambiziose.
Per i verdi e socialisti invece le nomine più controverse sono state quella di Olivér Várhelyi, commissario ungherese vicino a Orbán, e poi proprio quella di Fitto, esponente di FdI, a vicepresidente della Commissione. Su Fitto i socialisti tedeschi hanno dichiarato che è la prima volta nella storia dell’UE che un partito con radici postfasciste ottiene una posizione così di rilievo.
Von der Leyen, dal canto suo, ha cercato di rassicurare tutti, dicendo che il “centro tiene” e che ora si può partire. Il punto però è: quale centro? Quanto centro? Perché guardando ai numeri e alle dinamiche, la coalizione di maggioranza al parlamento sembra molto fragile e molto ondivaga, vittima di spinte contrastanti.
La domanda adesso è: riuscirà von der Leyen a portare avanti le sue priorità – il clima, la competitività, lo stato di diritto – in un contesto così complicato?
Pochi giorni fa dicevamo che la Cina sembrava indirizzata persino ad anticipare i propri obiettivi climatici di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto al piano che si è data. Ecco, questa ipotesi sembra che si stia facendo sempre più strada fra gli esperti e sono sempre di più gli addetti al settore che pensano che la Cina raggiungerà il picco delle sue emissioni con largo anticipo rispetto alla scadenza ufficiale del 2030. Il picco delle emissioni è il momento in cui le emissioni toccano il valore massimo, per poi iniziare a scendere.
Racconta Rinnovabili.it che secondo un sondaggio condotto da due importanti istituti dai nomi troppo lunghi per essere pronunciati in un podcast senza perdere l’attenzione di chi ascolta (ma trovate tutti i riferimenti sotto Fonti e articoli), il 44% degli esperti ritiene che il picco potrebbe essere stato già raggiunto quest’anno o che lo sarà nel 2024. Solo un anno fa, questa possibilità era considerata realistica solo dal 21% degli intervistati.
Ora, possiamo dirci che le opinioni di alcune persone, per quanto esperte, restano opinioni se poi non sono comprovate dai fatti. Però le opinioni di questi esperti si basano su alcuni fatti e tendenze. Il rapporto infatti analizza tutte le singole linee legate alla strategia climatica della Cina e per ciascuna stima se sta procedendo meglio o peggio rispetto alle aspettative.
Ovviamente ce ne sono alcune migliori e alcune peggiori, ma il bilancio complessivo sembra essere decisamente migliore rispetto al previsto.
Innanzitutto il consumo di carbone sembra molto più vicino al picco di quanto non lo fosse solo un anno fa, e sappiamo che il carbone è il più inquinante dei combustibili fossili. Allo stesso tempo, le rinnovabili e i veicoli elettrici stanno crescendo a ritmi impressionanti – questo ce lo raccontava anche Gianluca Ruggieri nella nuova puntata di INMR+ – per tre mesi consecutivi nel 2024, oltre il 50% delle vendite di nuovi veicoli in Cina è stato rappresentato da auto elettriche.
L’articolo cita poi anche alcune criticità e alcuni indicatori che invece stanno andando peggio del previsto, nel piano di decarbonizzazione cinese, fra cui quello sulla riduzione dell’intensità di carbonio (ovvero la quantità di CO2 emessa per unità di PIL – che però, suppongo, potrebbe risentire del fatto che il Pil cinese è cresciuto meno del previsto) così come anche il consumo totale di energia e le emissioni di gas serra non-CO2, che rimangono aspetti problematici.
Molto meglio del previsto invece sono andati gli investimenti in energia pulita, la crescente elettrificazione e il calo dell’uso di carbone nel settore edile.
Ora c’è molta attesa per la revisione degli obiettivi climatici attraverso i Contributi Nazionali Volontari (NDC) nel 2025. Tra le proposte, potrebbe comparire per la prima volta un obiettivo di riduzione delle emissioni assolute, abbandonando il tradizionale approccio basato sull’intensità di carbonio. Questo sarebbe una svolta importante.
Da chi si impegna per il clima a chi del clima se n’è sempre infischiato bellamente. Non sto parlando di Donald Trump, lo facciamo fra un attimo, ma di un suo sodale, diciamo, l’ex presidente brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro. Che condivide con Trump un probabile ruolo nell’organizzazione dell’assalto al congresso dopo le elezioni.
Davvero due vicende molto simili quella brasiliana e quella americana. Il 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti alcuni sostenitori di Trump prendevano d’assalto il congresso Usa dopo la vittoria di Biden. Due anni più tardi quasi esatti, l’8 gennaio del 2023, i sostenitori di Bolsonaro facevano lo stesso col Congresso brasiliano dopo la vittoria di Lula.
Ora però c’è un nuovo rapporto presentato dalla polizia federale brasiliana e riportato da Internazionale che sembra mostrare che il ruolo di Bolsonaro potrebbe essere stato più centrale di quanto fin qui ipotizzato nell’aver orchestrato i fatti di quei giorni e in particolare nell’aver “partecipato attivamente” a un tentativo di colpo di stato per rimanere al potere dopo la sua sconfitta elettorale.
Ma non è tutto: secondo gli inquirenti, Bolsonaro sarebbe stato anche “pienamente consapevole” di un piano per assassinare il suo successore Luiz Inácio Lula da Silva, l’attuale vicepresidente Geraldo Alckmin e un giudice della corte suprema brasiliana. Sono accuse molto molto pesanti, che aggiungono nuovi dettagli inquietanti sul clima politico del Brasile degli ultimi anni.
Il rapporto è un faldone pesantissimo che conta ben 884 pagine, ed è stato inviato al procuratore generale Paulo Gonet, che ora dovrà decidere se incriminare Bolsonaro e altre 36 persone, molti dei quali membri delle forze armate.
Secondo le indagini, il colpo di stato non si è concretizzato solo perché i principali comandanti dell’esercito non hanno appoggiato il piano. Bolsonaro, però, nega tutto: si è definito vittima di una “persecuzione politica” e ha dichiarato che “il termine colpo di stato non ha mai fatto parte del mio lessico”.
Eppure, sempre secondo quanto racconta Internazionale, le prove raccolte dagli inquirenti mostrerebbero un piano molto dettagliato e articolato, dal nome “Pugnale verde e giallo”, che prevedeva l’assassinio di Lula e Alckmin prima del loro insediamento, il 1 gennaio 2023 e il concomitante arresto ed esecuzione del giudice Alexandre de Moraes, figura centrale nella lotta alla corruzione e spesso nel mirino dei sostenitori di Bolsonaro.
Già a novembre, quattro militari legati a Bolsonaro erano stati arrestati con l’accusa di aver partecipato alla pianificazione di questi attentati, tra cui un ex collaboratore diretto dell’ex presidente.
Inoltre Bolsonaro già sotto indagine per l’istigazione alla rivolta dell’8 gennaio 2023 a Brasilia, quando appunto migliaia di suoi sostenitori presero d’assalto il congresso brasiliano. Fin qui l’accusa è stata di istigazione alla rivolta, ma queste nuove prove stanno facendo emergere accuse ben peggiori. Sovvertire l’ordine democratico, persino uccidere il nuovo presidente e altre cariche istituzionali.
La situazione è molto tesa in Brasile, e queste accuse rischiano di aprire un nuovo capitolo nella già tormentata storia politica del paese. Lula, interrogato sui fatti, ha solo detto di essere felice di essere vivo e di non essere stato avvelenato (questo prevedeva il piano). Secondo gli inquirenti, il colpo di stato non si è concretizzato a causa del mancato sostegno dei principali comandanti dell’esercito brasiliano. E questo è comunque un segnale importante.
Se Bolsonaro se la passa maluccio, Trump invece sembra vivere un ottimo momento. Ha vinto le presidenziali Usa, anzi le ha stravinte, e ha da poco incassato un’altra vittoria personale. Il procuratore speciale Jack Smith ha infatti annunciato la richiesta di archiviazione di due casi federali a suo carico. La decisione si basa sul fatto che un Presidente in carica non può essere perseguito penalmente mentre è in carica.
Così, forte della sua immunità ha già iniziato a progettare azioni e politiche per quando si insedierà ufficialmente. E le sta già annunciando, lanciato ad esempio quella che potrebbe essere una delle sue prime mosse di politica estera: l’introduzione di dazi generalizzati fino al 25% su tutti i beni importati da Messico, Canada e Cina.
Che è una misura strana. Innanzitutto, capiamo perché questi 3 paesi. Secondo Trump perché sono complici di far arrivare negli Usa o il Fentanyl / dei suoi ingredienti oppure orde di immigrati irregolari.
Che però, ecco, sappiamo bene che Trump è un fan dei dazi in generale, quindi questa cosa potrebbe essere anche banalmente una scusa. Il Fentanyl – se non lo sapete – è questa droga, questo oppioide potentissimo, che da una dipendenza quasi istantanea, costa poco e ha invaso da anni, come un virus, la società Usa.
Fatto sta che Trump ha detto che introdurrà istantaneamente queste misure e che resteranno in vigore fino a quando «le droghe, in particolare il fentanyl, e tutti gli stranieri illegali cesseranno di invadere il nostro paese».
Dicevamo che p un’uscita strana, più che altro per l’accozzaglia di paesi che ha messo insieme. Nel suo primo mandato Trump aveva introdotto dazi molto forti con la Cina con l’obiettivo di disaccoppiare l’economia cinese da quella Usa, ma aveva controbilancito almeno in parte questo processo stringendo allenanze commerciali strette con i paesi vicini, proprio come Canada e Messico. Ora, con questa nuova uscita, Trump sembra pronto a ribaltare tutto. Le tariffe generalizzate che propone minacciano di danneggiare proprio quei partner strategici che aveva cercato di rafforzare.
Un esempio emblematico è l’industria automobilistica, che si basa su una catena di approvvigionamento integrata tra i tre paesi. Se le tariffe aumentassero i costi di componenti chiave, le conseguenze sarebbero inflazione sui prezzi al consumo e perdita di competitività per le imprese statunitensi.
Ora, c’è la possibilità che quella di Trump sia stata solo una sparata. Se così non fosse però, la situazione economica e commerciale potrebbe farsi davvero imprevedibile. Come conclude il giornalista, “Almeno a parole Trump promette guerre commerciali a 360 gradi che minacciano di destabilizzare un ordine internazionale di suo fragile e sempre più frammentato”.
“La cultura omofoba e razzista che si portava in aula nel Novecento è la stessa combattuta oggi da ecoattivismo e femminismo. Le violenze e gli abusi citati in giudizio – ambientali o di genere che siano – non sono anomalie ma conseguenze sistemiche di quella cultura. E questa a sua volta è fondamento del modo di produzione capitalistico. Forse siamo immersi in un percorso lungo e tortuoso che lega Il buio oltre la siepe a Gisèle Pelicot e al contadino peruviano che chiede a RWE di risarcire le ferite inferte all’ambiente in cui vive. Forse coincideranno il momento in cui nessun uomo penserà più a una donna in termini di purezza e possesso e quello in cui gli umani smetteranno di recintare foreste “vergini” e spremere terreni fino a esaurirne la linfa vitale. Guardare questi processi in una stessa ottica ci aiuta a inserirli in una critica sociale più vasta e profonda che mette in discussione l’intero sistema di pensiero in cui queste violenze affondano le proprie radici”.
Questa è la fine di un articolo molto bello su Il Tascabile scritto dalla giornalista Caterina Orsenigo. È un pezzo davvero illuminante, di cui vi consiglio la lettura integrale. Anche se vi o spoilerato il finale, ma ecco, il pezzo merita tuto e ringrazio la collega Emanuela Sabidussi per avermelo segnalato.
In conclusione vi segnalo anche che è uscito finalmente l’attesissimo video del TedX del nostro direttore Daniel Tarozzi a Lerici. che è tanta roba, come si suol dire, per cui correte ad ascoltarvelo vi lascio il link di un articolo che abbiamo pubblicato oggi che contiene all’interno il video, mi raccomando andatevelo a vedere e fatemi sapere cosa ne pensate magari lasciando un commento sotto al video su YT.
#Libano
il Post – Il Parlamento Europeo ha approvato la nuova Commissione Europea
Domani – L’Europarlamento approva la commissione von der Leyen 2 ma la fiducia è ai minimi
#Cina
Rinnovabili – La Cina toccherà il picco di emissioni di gas serra al più tardi nel 2025
#Bolsonaro
Internazionale – Brasile, l’ex presidente Bolsonaro accusato di aver pianificato un colpo di stato
#Trump
Domani – Trump minaccia Messico e Cina: «Dazi a chi non ferma migranti e fentanyl»
Inside Over – Niente più tribunali per Trump, il Presidente non si processa
#estrattivismo #patriarcato
il Tascabile – Estrattivismo e patriarcato
#TedX
Italia che Cambia – Daniel Tarozzi al TEDx Lerici: “Siamo programmati per amare tutte le forme di esseri viventi”