È la terza giornata consecutiva che apriamo con notizie che riguardano l’alluvione in Emilia Romagna, ma la gravità del fatto lo richiede, credo. Se il primo giorno i siam limitati alla cronaca e ieri abbiamo affrontato soprattutto il tema delle responsabilità dell’accaduto, oggi vorrei spostare leggermente il focus su una delle domande che ci vengono fatte più spesso in queste situazioni: “Come possiamo dare una mano”?
Perché in disastri del genere molte persone hanno la spinta a voler aiutare, fare qualcosa, ma data la complessità della situazione e la delicatezza è molto importante muoverci seguendo indicazioni chiare ed esigenze precise, altrimenti c’è il rischio di aumentare solo il caos.
Uno dei modi più semplici e immediati per aiutare è donare dei soldi. Ma a chi? Anna Spena su Vita mette in fila quelle che sono le principali raccolte fondi attive al momento. C’è quella della Croce Rossa Italiana, impegnata sin dalle prime ore dell’emergenza nelle operazioni di soccorso ed evacuazione della popolazione, operando in aiuto della popolazione e dei territori colpiti, quella della Caritas Ambrosiana che sta fornendo macchinari, furgoni e strumentazioni, e ancora Le Misericordie, Anpas Emilia Romagna, Legacoop e diverse altre realtà. Se volete fare una donazione vi consiglio di leggere l’articolo, dove vengono descritte accuratamente le attività svolte da ogni organizzazione sui territori colpiti dal nubifragio.
Anche il Post fa un’operazione simile a quella di Vita, ma selezionando non tanto le raccolte fondi fatte dal terzo settore quanto quelle più istituzionali o dei gruppi editoriali. Ad esempio segnala che “Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha aperto un conto intestato alla Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile dell’Emilia- Romagna per raccogliere aiuti.
Altre raccolte fondi più+ specifiche sono state attivate dal comune di Faenza, dal comune di Imola e quello di Bologna.
Inoltre in questi giorni alcune campagne di raccolta fondi sono state avviate da gruppi editoriali o da enti benefici legati ai giornali. È il caso per esempio della Fondazione Specchio d’Italia, che è nata nel 2020 ed è partner del Gruppo Editoriale GEDI, di cui fanno parte molti giornali tra cui Repubblica e La Stampa. O del gruppo Monrif, ovvero l’editore dei quotidiani Resto del Carlino, Il Giorno e La Nazione, che ha avviato una campagna di raccolta fondi.
Insomma, se potete e volete fare una donazione, trovate questi due articoli sotto FONTI E ARTICOLI. Altrimenti, se volete attivarvi in prima persona, il consiglio è di rivolgervi comunque a delle organizzazioni attive sul territorio e chiede a loro di cosa c’è bisogno.
Comunque, l’Emilia Romagna non è l’unica regione martoriata dalle inondazioni. Le inondazioni hanno causato la fuga di quasi 250mila persone dalle loro case dopo che il fiume Shabelle, nella Somalia centrale, ha rotto gli argini e sommerso la città di Beledweyne.
Fra l’altro, come accaduto in E-R anche in Somalia sta avvenendo questa combinazione apparentemente paradossale, ma che è uno dei tanti paradossi della crisi climatica in corso, che è l’abbinamento fra siccità estrema, il governo somalo l’ha definita la più grave degli ultimi quarant’anni, ed alluvioni, con tutta l’acqua che arriva concentrata in poche ore e i suoli del tutto impreparati a riceverla.
Vi leggo come l’accaduto viene descritto da un articolo dell’agenzia Reuters per il Guardian: “Le piogge stagionali in Somalia e a monte negli altopiani etiopici hanno scatenato alluvioni improvvise che hanno spazzato via case, raccolti e bestiame e chiuso temporaneamente scuole e ospedali a Beledweyne, la capitale della regione di Hiiraan”.
“In una sola volta l’intera città è stata sommersa. Beledweyne stessa è diventata come un oceano”, ha raccontato il negoziante Ahmed Nur, la cui attività è stata spazzata via. “Si potevano vedere solo i tetti delle case. Abbiamo usato piccole barche e trattori per salvare le persone”.
“All’inizio, continua il negoziante, quando è arrivata la pioggia eravamo felici”. La siccità, unita alla violenza e all’impennata dei prezzi dei generi alimentari causata dalla guerra in Ucraina, ha ucciso fino a 43.000 persone lo scorso anno, secondo i dati delle Nazioni Unite.
Ma da metà marzo le inondazioni hanno colpito più di 460.000 persone in tutto il Paese e ne hanno uccise 22, secondo l’Ufficio umanitario delle Nazioni Unite (OCHA). L’Agenzia somala per la gestione dei disastri ha dichiarato che le inondazioni nella sola Beledweyne – le ultime, avvenute due giorni fa – hanno causato lo sfollamento di oltre 245.000 persone.
Spostiamoci negli Usa dove la notizia è che gli Usa potrebbero fare default, a breve. Detta così forse suona più drammatica di come è, ma comunque non è una roba da poco. Provo a raccontarvi cosa sta succedendo seguendo un articolo del Post. In pratica al Congresso americano sono in corso da settimane i negoziati per aumentare il cosiddetto “tetto del debito”, cioè la quantità di soldi che lo stato può prendere in prestito sui mercati e che deve essere autorizzata periodicamente dal Congresso.
Se non sarà raggiunto un accordo nel giro di pochi giorni gli Stati Uniti rischiano di fare default sul proprio debito: rischiano, cioè, di non essere più in grado di ripagare i propri debiti, e questo potrebbe avere conseguenze serie sia per l’economia americana che per quella mondiale. Ad esempio, banalmente, terminerà i soldi per pagare i suoi dipendenti, l’esercito, i programmi di assistenza sanitaria, finanziare i lavori pubblici e rispettare i propri obblighi finanziari con gli investitori, e quindi saranno costretti a dichiarare default.
Ovvio che non si tratta di un default inteso come un fallimento economico dello stato, però tecnicamente è un default. Ma cosa blocca l’accordo sull’innalzamento del tetto del debito? In realtà “l’innalzamento del tetto del debito è una roba che i governi fanno ciclicamente negli USa, che in condizioni normali non crea grosse criticità”. In pratica negli Stati Uniti esiste un tetto massimo di indebitamento all’interno del quale il governo può muoversi come meglio crede. Se però per qualsiasi ragione è necessario sforare quel limite, a causa dell’inflazione o di un aumento della spesa pubblica, è necessario che il Congresso approvi un suo innalzamento.
In genere come dicevamo questo avviene come una specie di formalità, ma il fatto che la Camera sia controllata dal partito Repubblicnao fa sì che questa faccenda si sia trasformata in una specie di ricatto politico: in cambio dell’innalzamento del tetto del debito i repubblicani hanno chiesto al presidente Joe Biden molte condizioni, come enormi tagli alla spesa sociale, cercando di ottenere dei vantaggi politici e anche di danneggiare i Dem.
Fra l’altro, se ricordate, tutto ciò è già successo: “era già avvenuto nel 2011, quando era presidente Barack Obama e, ancora una volta, il Partito Repubblicano controllava il Congresso. Anche allora ci furono negoziati a causa delle richieste dei Repubblicani, ma fu fatto un accordo all’ultimo e il default fu evitato”.
Ad ogni modo, come accennavamo all’inizio un eventuale default causerebbe grossi problemi sia all’economia interna che in parte all’economia globale. Sul fronte interno uno studio dell’agenzia di rating Moody’s stima che in caso di un default di breve durata l’economia americana perderebbe circa due milioni di posti di lavoro ed entrerebbe per un breve periodo in recessione. In caso di un default prolungato di qualche mese i posti di lavoro persi sarebbero sette milioni, il PIL statunitense crollerebbe del 4 per cento entro il 2024 e i mercati finanziari perderebbero circa un quinto del loro valore.
Inoltre a livello internazionale va considerato che gli Usa sono considerati l’economia più stabile del mondo, da cui dipende gran parte della stabilità complessiva dell’economia globale: i titoli di stato americani sono considerati uno dei prodotti finanziari più sicuri del mondo, e sono probabilmente il prodotto finanziario più diffuso in assoluto. Se gli Stati Uniti facessero default, e se il prodotto finanziario più diffuso del mondo si dovesse rivelare non più così sicuro, molti analisti temono che si potrebbero creare grosse e rischiose situazioni di incertezza sui mercati finanziari, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.
Biden ha tempo fino ai primi di giugno. Infatti gli analisti americani stimano che la capacità di spesa pubblica senza ulteriori indebitamenti arrivi fino ai primi di giugno. Poi finiscono i soldi. Addirittura il presidente americano ha detto che rientrerà prima dal G7 in Asia per condurre i negoziati. Staremo a vedere.
Andiamo in Brasile, dove si stanno iniziando a fare esperimenti verso una settimana lavorativa corta, di 4 giorni. Dopo gli esperimenti di molti paesi soprattutto europei, dalla Scozia al Belgio, al Regno Unito, anche in Brasile partirà presto il progetto pilota.
Lo racconta Germana Carillo su GreenMe: “A lanciarlo è anche qui l’organizzazione no profit 4 Day Week Global. Il test pilota della settimana lavorativa di 4 giorni sarà adottato, effettivamente, da novembre di quest’anno. Per il momento l’organizzazione ha aperto un modulo per la manifestazione di interesse, che può essere compilato da aziende di qualsiasi dimensione, indipendentemente dal settore di attività o dal numero di dipendenti.
Sempre a proposito di lavoro segnalo anche un articolo su Linkiesta che parla del climate quitting, fenomeno di cui ci siamo già occupati qui su INMR. Si tratta della tendenza di molte persone a licenziarsi o dimettersi se le loro aziende non sono attente alle questioni ambientali e climatiche.
L’articolo non aggiunge moltissimo a quanto abbiamo commentato già qualche settimana fa, ma è interessante che sempre più giornali affrontino questo argomento, perché la diffusione di queste notizie può essere una leva importante per spingere le aziende a intraprendere percorsi di transizione ecologica seria, e non di facciata, pena la costante perdita di forza lavoro. La speranza è che anche l’AI sirifiuti di lavorare per le aziende inquinanti, sennò siamo punto e a capo.
Spostiamoci in Ecuador, dove sta succedendo qualcosa di piuttosto anomalo. Anzi, letteralmente senza precedenti. Il presidente conservatoore dell’Ecuador Guillermo Lasso ha sciolto il parlamento che aveva aperto una procedura di impeachment contro di lui, e governerà da solo per decreti presidenziali per i prossimi sei mesi, dopodiché si andrà a nuove elezioni per eleggere sia un nuovo parlamento che un nuovo presidente.
Cerchiamo di capirci qualcosa in più. Come vi dicevo, e come spiega Luigi mastrodonato su Lifegate, “su Lasso era stata aperta una procedura di impeachment da parte dell’Assemblea Nazionale a causa di alcuni scandali corruzione che lo riguardano. Lasso ha respinto le accuse e per evitare di subire l’impeachment ha fatto ricorso a una clausola costituzionale che gli permette di sciogliere il parlamento monocamerale”.
La clausola di cui si è servito lasso è conosciuta come “muerte cruzada” (morte incrociata) e fu inserita nella Costituzione nel 2008 dall’allora governo di centrosinistra di Rafael Correa. Si chiama morte incrociata perché stabilisce che il presidente possa sciogliere il parlamento, ma oltre a mettere fine al mandato dei parlamentari mette fine anche al proprio, per permettere di scegliere un nuovo presidente e un nuovo parlamento attraverso nuove elezioni.
Se tutto questo vi suona un po’ come un deja vu, un po’ lo è in effetti e ricorda molto da vicino quanto successo qualche mese fa in Perù, seppure con le dovute differenze. In Perù c’era un presidente indigeno, di fatto esautorato da un parlamento molto conservatore, mentre qui a spanne è il contrario.
Ad ogni modo, adesso entro sei mesi dovranno tenersi elezioni ed è probabile che la tensione salirà nel paese durante il periodo, vista la scarsa popolarità di Lasso e le accuse di autoritarismo. Guillermo Lasso è stato eletto presidente dell’Ecuador nel maggio 2021, è un ex banchiere e appartenente al mondo conservatore, tanto da essere membro dell’organizzazione cattolica Opus Dei. è leader del partito di centrodestra Creando opportunità ed è il primo presidente conservatore degli ultimi due decenni nel paese.
I suoi due anni di presidenza però non sono andati come sperava. Il paese è sprofondato in una crisi economica e sociale molto complessa, per effetto del coronavirus ma anche di scelte politiche non lungimiranti. L’impennata del costo della vita ha ridotto in povertà sempre più famiglie e nel corso del 2022 molte persone sono scese in piazza contro il governo. Soprattutto le comunità indigene, le più colpite dalla crisi in corso ma anche quelle meno prese in considerazione dalle istituzioni. Proprio per effetto delle proteste, già lo scorso anno Lasso era stato messo sotto impeachment, ma è rimasto al potere, visto che la maggioranza dei parlamentari ha votato contro la sua destituzione.
Nei giorni scorsi Lasso è tornato però a vivere la stessa situazione. Il presidente è finito al centro di uno scandalo corruzione legato a due società pubbliche del settore petrolifero. L’accusa è che sarebbe stato a conoscenza di una truffa legata ai loro contratti, ma avrebbe fatto finta di niente. Il presidente è poi anche accusato di appropriazione indebita di fondi pubblici. Per questo motivo nella giornata del 16 maggio l’Assemblea Nazionale ha nuovamente messo sotto impeachment Lasso.
Adesso però, il parlamento è a maggioranza di sinistra e probabilmente avrebbe votato a favore dell’impeachment. Motivo per cui Lasso ha fatto ricorso alla muerte cruzada. Rafael Correa, ex presidente del paese, ha criticato la mossa del suo successore ma ha sottolineato che si tratta di un’ottima occasione di mandarlo a casa. Come conclude l’articolo su Lifegate “Le comunità indigene nel paese, in primo piano nelle proteste del 2022, hanno annunciato nuove proteste contro Lasso nelle prossime settimane. E davanti al palazzo presidenziale sono stati schierati mezzi militari e sono aumentati i dispositivi di sicurezza. L’Ecuador ferito e arrabbiato rischia di trasformarsi in una polveriera”.
#nubifragio Emilia Romagna
Vita – Alluvione in Emilia Romagna: chi e come aiutare chi sta aiutando
il Post – Come aiutare le zone colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna
Internazionale – Il clima dell’Italia si sta tropicalizzando
#Somalia
The Guardian – ‘The city was underwater’: quarter of a million Somalis flee flooded homes
#Usa
il Post – L’economia degli Stati Uniti dipende da questi negoziati
#Brasile #lavoro
Greenme – Anche in Brasile si sperimenterà la settimana lavorativa di 4 giorni
#climate quitting
Linkiesta – Se inquini mi licenzioIl fenomeno del climate quitting è concreto e preoccupa i datori di lavoro
#Ecuador
Lifegate – Ecuador. Il presidente Lasso ha sciolto il parlamento per evitare l’impeachment
il Post – Cosa diavolo sta succedendo in Ecuador
#clima
The Guardian – Global heating has likely made El Niños and La Niñas more ‘frequent and extreme’, new study shows