La storia delle mummie “aliene” mostrate al Congresso messicano – #793
Stanno facendo il giro del web, inclusi i principali quotidiani italiani, le immagini dei corpi mummificati di alcuni presunti esseri extraterrestri mostrati in un’audizione al congresso messicano. Per prima ci ha pensato la Repubblica, che già giovedì scorso metteva in homepage questa immagine molto suggestiva di piccoli alieni mummificati, dopodiché hanno seguito più o meno tutti gli altri, a ruota.
Quindi abbiamo davvero osservato i primi resti di esseri viventi provenienti da altri pianeti? In realtà probabilmente no. Vediamo come stanno le cose, seguendo due dei pochi articoli che hanno provato a fare un po ‘ di chiarezza sull’argomento, uno su Wired e l’altro sul Corriere della Sera.
In pratica il congresso messicano, sulla scia delle audizioni avvenute di recente negli Usa, ha indetto a sua volta un’audizione pubblica alla Camera dei deputati sul tema degli Uap (quelli che fino a poco fa si chiamavano Ufo). Negli ultimi 2-3 anni il tema degli Uap è stato abbondantemente sdoganato, e in una recente audizione parlamentare negli Usa sono state raccolte decine di testimonianze, mostrati video girati dalla marina militare o dall’aviazione, c’è stato anche un ex funzionario che ha accusato il pentagono di avere un programma segreto in cui sta studiando resti di navicelle spaziali e probabilmente anche resti organici non terrestri.
Insomma, roba grossa. L’audizione messicana però è andata oltre. L’incontro è stato introdotto Sergio Gutierrez Luna, che ha chiesto ai partecipanti di giurare di dire la verità, dopodiché sono state ascoltate testimonianze interessanti come quella di Ryan Graves, ex pilota della marina statunitense in pensione, e di Abraham Loeb, astrofisico a capo del dipartimento di astronomia di Harvard.
Poi, verso la fine, Jaime Maussan, noto ufologo e responsabile del programma televisivo Tercer Milenio, a cui era stato affidato il compito di condurre l’incontro, ha annunciato una sorpresa. ha fatto entrare in aula in maniera molto scenografica dei piccoli sarcofagi, che ha aperto e in cui giacevano dei piccoli corpi mummificati.
Nel video riportato da tutti i giornali si sente Maussan che spiega: “Sono esseri non umani che non fanno parte dell’evoluzione terrestre. Secondo l’università autonoma del Messico che ha effettuato l’analisi Carbonio 14 questi esseri hanno circa mille anni. In altre parole non si tratta di esseri recuperati in navi che si sono schiantate ma di esseri sepolti in miniere di diathonite, un’alga fossile che ha 17 milioni di anni, fitoplancton che era abbondante all’epoca e che, quando è scomparsa, si è fossilizzata.
Ovviamente la rivelazione ha generato reazioni immediate dei presenti, a metà fra lo stupore e l’ilarità. Molti degli invitati hanno criticato questa trovata definendola una trovata spettacolare che ridicolizza la serietà dell’evento.
Ma quindi che cosa sono queste mummie? In realtà non si tratta di una cosa nuova e inedita. Il ritrovamento di queste presunte mummie aliene era stato già annunciato nel 2021, e oltre a quelle mostrate al congresso ce ne sono diverse altre, di dimensioni maggiori. Sono note come mummie tridattili umanoidi di Nazca. Fin dalla loro comparsa la comunità scientifica si è interrogata sulla loro originalità, diciamo. E dopo una serie di studi è arrivata a concludere, in maniera abbastanza compatta che si tratta di falsi.
Sarebbero, in effetti, mummie modificate in modo da assumere un aspetto extraterrestre e hollywoodiano (in effetti confermo che l’immagine degli alieni p esattamente come uno su può immaginare un alieno, una via di mezzo fra Et e Incontri ravvicinati del terzo tipo).
Comunque, in Messico questi resti sono stati realizzati falsi con parti umane. Alcuni test del Dna hanno concluso che le presunte mummie sono effettivamente umane, mentre altre analisi non hanno potuto determinarlo. L’opinione, praticamente unanime, di accademici e archeologi è che una parte di queste mummie sono resti di uomini preispanici modificati per scopi commerciali e sensazionalistici, mentre altre, soprattutto quelle più piccole, sono una sorta di assemblaggio di ossa umane e animali tenute assieme da collanti chimici e ricoperte da uno strato di fibra vegetale e adesivi sintetici che ne simulano la pelle.
Se le cose stanno effettivamente così, non ci sarebbe nulla di sensazionale nei reperti mostrati al Congresso messicano. Ciò nulla toglie alla ricerca sui fenomeni aerei non identificati, che invece sono una roba che sta assumendo contorni scientifici sempre più seri, nonostante eventi come questo che di certo non aiutano.
Aggiungo che sono rimasto stupito, nonostante le mie aspettative non fossero altissime, della superficialità con buona parte della stampa italiana ha riportato la notizia. La Repubblica ad esempio ha messo in homepage in alto a destra, nel punto praticamente pi+ visibile, il video dell’audizione con il titolo: “Presunti corpi alieni mostrati al congresso messicano”. Così, come se fosse una notizia di costume. E un articoletto in cui non sollevava l’ombra di un dubbio e si limitava a riportare le parole di Maussen. Io dico: una notizia del genere prima di essere data ha bisogno di un milione di verifiche. Stiamo annunciando che qualcuno ha mostrato per la prima volta dei corpi alieni. Non è una roba da niente, di costume.
E ho citato Repubblica, ma è in ottima compagnia.
Torniamo a parlare di intelligenza artificiale e sviluppo tecnologico, ma in termini diversi da quello che abbiamo fatto ultimamente. Se da un lato ci sono delle comprensibili preoccupazioni da parte di molti sugli sviluppi incontrollati dell’IA nel mondo e sulle conseguenze a cui questo sviluppi potrebbero portare, c’è anche chi si preoccupa non tanto dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale, ma dell’involuzione di quella umana dettata da quest’ultima.
Barbara Uglietti sull’Avvenire pubblica un’intervista alla psichiatra e psicoterapeuta Federica Mormando, probabilmente la massima esperta italiana di iperdotazione cognitiva sugli impatti dell’IA. Quando le chiede, all’inizio, se è giustificata la preoccupazione per l’arrivo dell’IA. E la psicotarapeuta risponde:
Giustificata, sì, ma nel senso perfettamente contrario a quello dato: non dovrebbe farci paura il fatto che le macchine stiano imitando il cervello umano quanto, piuttosto, che il cervello umano si stia plasmando sulle macchine. L’intelligenza artificiale è capace di generare testi, fotografie e video fittizi difficilmente distinguibili dalla realtà, ma l’inganno, se praticabile, è pericoloso solo in mancanza di pensiero critico. Il punto è proprio questo: il pensiero critico, come quello complesso, non vengono più esercitati. E di questo sì, dovremmo preoccuparci.
Un attimo: intende dire che il cervello umano si sta plasmando sulle macchine?
Sì. Siamo colpiti da una grandissima quantità di input che ci portano a sviluppare solo il pensiero binario, quello primitivo, tipico dei computer: sì-no, sì-no. La complessità è quasi insopportabile. La scuola propone spesso quiz a risposta multipla, il che esclude in partenza il pensiero elaborato, la dimensione creativa. Se tu vuoi offrire una soluzione che abbia delle varianti, che contempli il tuo punto di vista personale, la tua interpretazione, la tua originalità, sbagli. Insomma: se vuoi divertire la tua cultura e la tua intelligenza, non puoi farlo. È la logica dei giochi al computer: o vinci o perdi, A o B, codice binario. L’allenamento è solo alla velocità nella ripetizione. Oltretutto, come ha ottimamente spiegato Lamberto Maffei nel suo libro “Elogio della lentezza”, va considerato che le sollecitazioni imposte dai videogiochi hanno una velocità superiore a quella della trasmissione sinaptica, e quindi, di fatto, impediscono il pensiero naturale, che è un pensiero lento. Per inciso: le persone particolarmente dotate non hanno, nei test, un quoziente di velocità molto alto proprio perché, semplicemente, pensano. Prima di dare una risposta, pensano.
Non è sempre stato così?
No, perché solo da qualche anno, proprio per la crescente “robotizzazione dell’umano” – siamo costantemente chiamati a rispondere con immediatezza a email, Sms, messaggi WhatsApp, a capire e ad adattarci alle nuove App, agli aggiornamenti informatici – la velocità di reazione è considerata estremamente importante e ha assunto un suo specifico valore nelle valutazioni del Q.I.
Ci sono conseguenze evidenti sulle nuove generazioni?
Come no. C’è un peggioramento generale che registro quotidianamente nei bambini che vengono qui (nello studio di psicoterapia ndr). E non solo attraverso i test del Q.I., i cui risultati stanno calando. Hanno difficoltà nella comprensione del testo, ma anche del parlato. Ascoltano le parole, ma se tu chiedi: lo sai cosa significa questo? Ti rispondono di no. E se domandi perché non ti hanno chiesto il significato di quella parola, ti guardano ammutoliti. Hanno sempre meno curiosità. E curiosità non è il banale perché-perché-perché? Curiosità è l’entusiasmo della scoperta, una spinta profonda che si educa, come la libera iniziativa, la ricerca. È un esercizio che non si fa più, in nessun contesto, educativo o professionale che sia. Devi rispondere ai quiz, reagire a un post dopo aver letto due righe di un argomento. Punto. Inoltre, molto materiale di apprendimento è in formato video, se possibile breve. Tutto è bidimensionale. Non c’è interazione. Non c’è più il concetto della fatica, dello sforzo necessari per raggiungere un risultato. E non c’è allenamento alla concentrazione. Piuttosto il contrario: si esercita la non-concentrazione, l’abilità di rispondere a stimoli multipli contemporaneamente. L’unico ambito in cui vedo un costante esercizio alla concentrazione e alla fatica è lo sport agonistico, ma tutto è finalizzato a una specifica performance.
L’intervista è più lunga ma penso che possiamo fermarci qui. Si tratta di una lettura interessante. Forse a mio avviso un po’ riduttiva nell’affermare che basta il pensiero critico per far fronte all’avanzare dell’IA. Non sono sicuro che sia così, perché qui non parliamo più di uno strumento nelle nostre mani (come sono state fin qui tutte le invenzioni tecnologiche e tecniche della storia) ma di una forma di intelligenza in grado di prendere decisioni autonome. Quindi nelle sue mani, non nelle nostre.
Ma al netto di questo credo che lo sviluppo di un pensiero critico sia comunque -anzi a maggior ragione – una chiave fondamentale. Qualche settimana fa ascoltavo un’intervista ad Harari da Lex Friedman che in fin dei conti diceva una cosa simile, anche se in termini diversi, ovvero che la nostra arma migliore è affinare la nostra capacità di conoscenza di noi stessi delle nostre sensazioni e dei nostri veri bisogni, che sia attraverso meditazione, terapia, ecc.
Tornando sul tema bambini e sviluppo cognitivo, è ovvio che un ruolo di prim’ordine da questo punto di vista lo gioca la scuola. Su ICC raccontami spesso esempi di scuole che mettono al centro bambini e bambine nelle loro differenze, senza omologarli e valorizzando – anziché uccidere – quella voglia di scoperta, curiosità e immaginazione.
A proposito di scuola, modelli educativi e tecnologia, c’è una notizia che sta girando molto in questi giorni. Riguarda il presunto divieto dei tablet introdotto dalla ministra dell’istruzione svedese.
Venerdì abbiamo pubblicato un articolo a riguardo a firma del nostro direttore Daniel Tarozzi che racconta come le cose in realtà non stiano esattamente – anche in questo caso – come sono state raccontate dai titoli di molti giornali.
Ecco cosa scrive Daniel Tarozzi: “Mia figlia ha 4 anni e non ha mai guardato un cartone in tv, su uno smartphone o su un tablet. Vivo e lavoro con la tecnologia, ma sono ben consapevole dell’impatto che questa potrebbe avere sui bambini molto piccoli e dei meccanismi di dipendenza che gli schermi luminosi esercitano su tutti, grandi e – ancor di più – piccini. Adoro leggere, libri, giornali, fumetti. Leggo su carta e su e-reader. E leggo ogni giorno a mia figlia libri cartacei. Più volte al giorno.
Non credo che la scuola non debba insegnare la tecnologia, anzi penso che sia fondamentale educare a un corretto uso dei diversi strumenti. Ma ogni cosa a suo tempo. Sono, infatti, un grande fan dell’outdoor education, della scuola all’aperto, dei lavori manuali, del contatto con la Natura, le piante, gli animali, il mare.
Nonostante ciò, quando sui social leggo affermazioni assertive tendo ad innervosirmi e il mio lato da giornalista subito alza le antenne. Nei giorni scorsi sono stato inondato – sulla mia bacheca – dalla condivisione di una grafica contenente a grandi caratteri la seguente affermazione: “La Svezia dice addio ai tablet: sono dannosi. Si torna a carta e penna”.
Ma approfondendo l’argomento, continua poi l’articolo, le cose stanno diversamente. “Prima di tutto, in Svezia i tablet in questione erano stati introdotti fin dalla materna, quella che ai miei tempi si chiamava “asilo”. Quindi il dibattito non è sui tablet nella scuola primaria o secondaria, ma nella materna. Dibattito direi sacrosanto e – seppur nessuno me lo abbia giustamente chiesto – personalmente sarei favorevole all’eliminazione di dispositivi elettronici nelle materne e quindi fino ai sei anni. Poi – sempre per essere puntiglioso – per ora si parla di dichiarazioni e non di leggi entrate in vigore, nonostante molti giornali raccontino che gli studenti tornando in classe hanno trovato carta e penna al posto dei vecchi tablet.
In particolare, la Ministra dell’Istruzione Lotta Edholm ha detto di voler porre fine a ogni forma di insegnamento digitale per i bambini sotto ai sei anni, in modo da non compromettere la loro capacità di apprendimento: i tablet nelle scuole materne, a suo giudizio, hanno portato a un forte declino delle competenze di base, anche da parte degli insegnanti che spesso affidano principalmente ai computer il ruolo didattico che toccherebbe a loro svolgere.
Come al solito trovate l’articolo completo sotto FONTI E ARTICOLI. Vi invito caldamente a leggerlo perché oltre ad essere interessante è anche divertente.
Chiudiamo con una notizia che arriva dalla California, dove questa volta non dei cittadini ma lo stesso Stato ha intentato una causa contro cinque delle maggiori compagnie petrolifere sostenendo che hanno causato danni per miliardi di dollari all’ambiente e mentito sui rischi legati ai combustibili fossili.
Leggo su Open che La causa civile è stata intentata a San Francisco contro Exxon Mobil, Shell, BP, ConocoPhillips e Chevron. Ma anche l’American Petroleum Institute è stato citato nella causa. Le aziende e i loro alleati avrebbero «intenzionalmente minimizzato i rischi posti dai combustibili fossili per il pubblico, pur comprendendo che i loro prodotti avrebbero potuto portare a un significativo riscaldamento globale». La bugia si sarebbe perpetrata già a partire dagli anni Cinquanta. Negli ultimi anni altri sette Stati e decine di comuni hanno intentato cause simili. Ma la causa della California diventa immediatamente una delle sfide legali più significative che l’industria dei combustibili fossili deve affrontare. La California chiede la creazione di un fondo per pagare i futuri danni causati dai disastri climatici nello Stato.
Interessante. Molto interessante.
#alieni
Wired – No, quelle presentate al Parlamento messicano non sono mummie di alieni
#intelligenze
Avvenire – L’intervista. «Le macchine imitano il cervello umano? È preoccupante il contrario»
#Svezia
Italia che Cambia – La Svezia vieta i tablet a scuola. Davvero? Quando? Dove? Perché? Parliamone
#petrolio
Open – La causa della California ai giganti del petrolio: «Hanno mentito sui rischi per l’ambiente»