13 Nov 2024

Migranti in Albania, caos, sperperi e polemiche sulla pelle dei profughi – #1019

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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La questione dei migranti in Albania continua a tenere banco e adesso anche Musk appoggia il governo italiano e attacca i giudici del tribunale civile di Roma. Ma che strano mondo stiamo vivendo? Inauguriamo anche la rubrica linea a Baku svelandovi retroscena e prime impressioni della 29 conferenza Onu sul clima. E poi parliamo dell’inquinamento in Pakistan, dell’educazione ambientale in Sardegna e delle novità sul caso Regeni. 

La questione dei migranti in Albania è ormai al centro di una battaglia politico-giuridica, dove tutti intervengono a dire la loro. Ieri è intervenuto persino Elon Musk nel dibattito, che ormai si esprime anche su mettere la pancetta nella carbonara, sul rovescio di Jannik Sinner e se la Roma ha fatto bene a esonerare Juric.  

Comunque, partiamo come sempre dai fatti. C’è questa controversia in corso fra il governo italiano e il tribunale civile di Roma sulla questione dei migranti che vengono portati – o deportati, secondo alcuni – in Albania. Un anno fa il governo Meloni ha avviato un accordo con l’Albania per trasferire alcuni migranti in centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) finanziati e costruiti ad hoc dal governo italiano nel territorio albanese, con l’obiettivo di gestire le domande di asilo al di fuori dell’Italia.

In pratica le persone migranti che vengono soccorse nel Mediterraneo da navi italiane, come quelle della Marina Militare o della Guardia di Finanza, possono essere trasferiti in centri di accoglienza situati in Albania. Ma l’accordo vale solo per i maschi maggiorenni, in condizioni di buona salute fisica e psicologica e che non provengono da paesi considerati a rischio.

Ed è proprio quest’ultimo punto quello su cui si è scatenata la querelle. Il tribunale civile di Roma infatti ha sospeso la convalida del trattenimento di sette migranti in uno di questi centri in Albania perché i giudici hanno rilevato un possibile conflitto tra la normativa italiana e quella europea riguardo alla designazione dei “Paesi sicuri” da cui provengono i migranti. 

In soldoni, l’elenco dei Paesi sicuri stilato dal ministero contiene alcuni Paesi, come Egitto e Bangladesh, che non soddisfano la definizione di Paese sicuro data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

Di conseguenza, il tribunale di Roma ha deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per ottenere un chiarimento sulla questione, sospendendo nel frattempo il trattenimento dei migranti. Ciò significa che i sette migranti coinvolti sono rientrati in Italia e attualmente, riporta Ansa, si trovano in una struttura per richiedenti asilo in Puglia, dove seguiranno l’iter ordinario per l’esame delle loro domande .  

In risposta, il governo italiano ha approvato il 22 ottobre un decreto legge che rende norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio. Significa che se prima l’elenco dei paesi sicuri era un documento ministeriale, ora è una legge dello Stato, e questo, spera il governo, darà maggiore forza alla cosa. Inoltre sono stati rimossi anche alcuni paesi dalla lista di quelli sicuri, che ora sono 19 e non più 22, visto che vengono depennati Camerun, Colombia e Nigeria. Che però sono paesi da cui arrivano relativamente pochi migranti.

Nonostante ciò, la questione rimane aperta e sarà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea a fornire un’interpretazione definitiva sulla compatibilità tra le normative italiane ed europee in materia di migrazione. 

Nel mentre però le polemiche non si placano. Vari esponenti del governo meloni hanno attaccato i giudici definendoli politicizzati e ieri ci si è messo anche Elon Musk, che dal suo social X ha twittato: «Questi giudici devono andarsene».

In tutto ciò, in mezzo a titoloni di giornali sparati a tutta pagina, a me sale il dubbio, che più che un dubbio è una certezza, che sia in atto il solito teatrino delle parti, sulla pelle di qualche poveraccio. Si litiga, si discute, si spendono un sacco di fondi pubblici e alla fine non si ottiene nulla, ma in una maniera che va bene a tutti.

Il governo italiano ha speso fin qui oltre due milioni di euro per l’operazione migranti in Albania, scrive Irene Famà su la Stampa. Il costo dei viaggi a bordo della nave Libra della Marina e della motovedetta Visalli della Guardia Costiera è stato di circa 42.470 mila a persona. E il costo di permanenza nei centri albanesi è di 156 euro al giorno. Il costo per vitto, alloggio, servizi e indennità di trasferimento per gli oltre trecento esponenti delle forze dell’ordine in servizio in Albania sarà invece di oltre un milione e mezzo al mese. Tutto questo per ottenere al momento: niente.

Non so se ricordate le polemiche di Matteo Salvini sui “30 euro ai migranti” negli anni in cui Salvini era ministro dell’Interno e giudicava folle che l’Italia spendesse circa 30-35 euro al giorno per ogni migrante ospitato nei centri di accoglienza, una cifra che comprendeva vitto, alloggio, assistenza sanitaria e altri servizi essenziali. 

Oggi si spendono milioni di euro per non ottenere niente, però come vi dicevo, la mia sensazione è che è un niente che in fin dei conti va bene, perché il fine di quasi ogni governo è continuare a governare, e quindi il consenso. E quindi, visto che risolvere il problema dell’immigrazione clandestina è qualcosa di difficilissimo, specie in tempi di crisi climatica con milioni di persone che volenti o nolenti dovranno scappare dai propri paesi per via di siccità e carestie, o inondazioni e nubifragi, o perché i loro paesi finiranno sott’acqua, allora forse al governo sta bene non ottenere niente, purché possa dare la colpa ai giudici. 

Secondo la Stampa comunque per il momento l’esecutivo non cambierà nulla dell’impianto messo in piedi con Tirana. L’idea di Palazzo Chigi è quella di proseguire con i trasferimenti anche mettendo in conto nuovi stop da parte dei giudici.

È iniziata lunedì la ventinovesima conferenza sul clima delle nazioni unite e oggi inauguriamo la rubrica Linea a Baku, a cura di Agenzia di stampa giovanile. Perciò io do la parola a Viola Ducati, che assieme ad Emanuele, attivista di FFF, ci racconta alcuni retroscena di questa COP e ci spiega perché è importante esserci e raccontare quello che succede.

Audio disponibile nel video / podcast

Intanto in Pakistan l’inquinamento non va tanto bene. ll governo della regione del Punjab – la più popolosa del Pakistan, con 127 milioni di abitanti, al confine con l’India – ha vietato la maggior parte delle attività all’aperto per via dei livelli di inquinamento raggiunti nell’ultimo mese. Pensate che, come riporta il Post, lo strato di smog che va dal capoluogo Lahore (la seconda città del paese, con 13 milioni di abitanti) e dal Punjab pakistano verso l’India in questi giorni è visibile anche dallo Spazio, nelle immagini satellitari della NASA. 

Nei distretti più densamente popolati sono stati vietati gli eventi sportivi, le mostre e i festival all’aperto. Le stesse restrizioni valgono per i ristoranti con una parte all’esterno, mentre alcuni riti religiosi con partecipazione all’aperto sono ancora consentiti.

Venerdì scorso erano già stati chiusi al pubblico parchi e musei, e in diverse zone mercati e negozi hanno dovuto ridurre il loro orario d’apertura. Le scuole di Lahore e delle altre principali città del Punjab avevano già sospeso le lezioni fino al 17 novembre: lunedì il rappresentante dell’UNICEF (il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia) in Pakistan ha detto che la situazione sta mettendo a rischio la salute di 11 milioni di bambini nella regione. 

L’obbligo di indossare le mascherine protettive, prescritto dal governo, è stato per ora largamente ignorato: le autorità hanno detto che, a causa dello smog, sono aumentati i casi di congiuntiviti e altre infiammazioni agli occhi. Più di 40mila persone sono state curate per disturbi respiratori.

Ecco, questa è la situazione. L’articolo non cita le cause di questa situazione, ma come al solito sono un mix di condizioni meteo particolari e fattori antropici come agricoltura industriale, allevamenti, combustione di combustibili fossili, traffico, riscaldamenti, cantieri e tanto altro. 

Devo dire che fa impressione, fa effetto l’idea che il mondo al di fuori delle nostre case possa diventare del tutto inospitale e pericoloso per via non tanto di predatori o fattori esterni ma per via delle conseguenze delle nostre azioni, del nostro modello di sviluppo. E oltre a fare effetto ci ricorda perché è importante cambiare rotta. Ci ricorda che la sostenibilità, la riconnessione con gli ecosistemi naturali non è una questione naif, da benestanti, da fricchettoni. È una questione di sopravvivenza e di priorità.

Pensando alle scuole chiuse in Pakistan mi è venuto in mente un articolo che pubblichiamo oggi su Sardegna che Cambia su un progetto che si chiama Rigeneration Green, che nasce per promuovere l’educazione all’aria aperta in Sardegna ma anche a sensibilizzare le nuove generazioni sarde su ecologia, sostenibilità e alimentazione sana.

Il progetto è molto bello e vi invito a leggere l’articolo, ma a me in questo caso faceva riflettere come ci siano ormai centinaia di studi sull’effetto rigenerante della natura, sull’importanza dell’educazione outdoor per il sistema immunitario, il benessere psicologico, l’apprendimento e lo sviluppo di varie funzioni cognitive. Tutto questo ce l’abbiamo gratis, là fuori. 

Non fa crescere il Pil, non arricchisce l’economia capitalista, ma ci rende più sani, felici, intelligenti. Mentre le attività che hanno reso irrespirabile l’aria del Pakistan fanno crescere l’economia, ma ci rendono la vita praticamente impossibile. Credo che razionalmente nessuno sceglierebbe di vivere su un pianeta inabitabile. Ma l’inerzia del sistema può facilmente conduce là, e osservarlo è molto importante. Per fare scelte consapevoli.

Ci sono novità importanti sul caso Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano scomparso e trovato morto al Cairo nel 2016, con segni di torture, nella cui morte si sospetta il coinvolgimento dei servizi di sicurezza egiziani.

Novità che sembrano suffragare l’ipotesi di un coinvolgimento dei servizi segreti egiziani nella morte di Regeni, che stava conducendo una ricerca sui sindacati indipendenti e sulle condizioni di lavoro in Egitto per la sua tesi di dottorato. Il suo studio si concentrava sui movimenti sindacali e sulle rivendicazioni dei lavoratori, un tema molto sensibile nel contesto politico egiziano, dove il governo reprime fortemente qualsiasi forma di dissenso o organizzazione indipendente.

Ecco, adesso è spuntata fuori una testimone, una cittadina tedesca, sentita in modalità protetta, che all’epoca dei fatti condivideva l’appartamento con Regeni e un altro coinquilino che è sospettato di aver svolto un ruolo nella vicenda: Mohamed El Sayed. 

In pratica secondo la testimone nel 2015 un presunto uomo dei servizi segreti egiziani andò a casa di Giulio Regeni, quando lui non c’era e chiese al suo coinquilino una copia del passaporto del ricercatore. 

“El Sayed – ha detto il teste – mi ha riferito che un giorno di metà dicembre venne a casa nostra la polizia e chiese copia del documento di Giulio. El Sayed era convinto che questo controllo era stato fatto dalla National Security, il servizio segreto egiziano. Io non ero presente ma lui aveva questa idea e si impaurì per questo”.

Nel corso dell’audizione la testimone, che in Egitto lavorava come insegnante di tedesco in una scuola privata, ha raccontato che El Sayed “si scambiò il telefono con l’agente dei servizi e non raccontò della visita a Giulio. Gli disse solo che gli stranieri devono dare documenti e presentarsi alla stazione di polizia. Forse aveva un sospetto che lui aveva fatto qualcosa che non doveva fare”.

Insomma, niente di definitivo, ma è importante che si vada avanti a far luce sulla vicenda. Perché è evidente che il governo egiziano stia cercando di insabbiare il tutto, e che fral’altro abbia cercato di usare Patrick Zaki come pedina di scambio per chiedere al governo italiano di smettere di fare presisoni sul caso Regeni, come lo stesso Patrik Zaki ha raccontato alla nostra Tiziana Barillà. Ma proprio per questo è importante continuare, non solo per Regeni e per Zaki, ma per tutte le persone che stanno marcendo nei carceri egiziane solo perché attiviste politiche.

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