6 Mar 2024

Mar Rosso e Houthi: siamo già in guerra? – #891

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri alla Camera si è votato per l’intervento militare italiano nel Mar Rosso per contrastare gli attacchi armati degli Houthi yemeniti, contro navi portacontainer e cavi sottomarini. Peccato che l’operazione sia già iniziata. Ma quindi stiamo partecipando a una guerra? È davvero solo difensiva? E che ripercussioni ha? Parliamo anche degli strani rapporti fra economia Usa e Ue durante la guerra in Ucraina e di quello, ancora più strano, fra economia industriale, armamenti e green deal in Europa.

Ieri, martedì 5 marzo, il Parlamento italiano ha approvato (quasi all’unanimità) la proposta di partecipare alla missione militare europea nel Mar Rosso contro gli Houthi yemeniti. La cosa strana è che il nostro esercito… stava già partecipando a quella missione. 

Va bene, riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di capirci qualcosa. Gli Houthi sono questo gruppo politico e militare yemenita di ispirazione religiosa che rappresenta la minoranza sciita zaidita dello Yemen, e che insieme ad Hamas (a Gaza) ed Hezbollah (in Libano) formano una sorta di asse di resistenza contro Israele, gli Stati Uniti e l’Occidente. 

Dal principio degli anni 2000, gli Houthi hanno condotto ribellioni contro il presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh, cercando maggiore autonomia per il nord del Paese. La situazione si è intensificata dopo la rivoluzione yemenita del 2011, con gli Houthi che hanno guadagnato il controllo su aree significative, incluso la capitale Sana’a. Nel 2015, la loro avanzata ha portato all’intervento di una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che temeva un’espansione dell’influenza iraniana nello Yemen.

Nonostante anni di conflitto, oggi gli Houthi mantengono il controllo su vasti territori dello Yemen. Le tensioni regionali si sono acuite e sono diventate in qualche modo globali dopo l’invasione della Striscia da parte di Israele. Perché a quel punto questi miliziani hanno iniziato in vari modi a boicottare i paesi occidentali. 

Il fatto è che gli Houthi controllano un pezzo di mondo abbastanza cruciale per il commercio globale (e non solo). Non so se avete presente dove è posizionato lo Yemen, sennò ve lo faccio vedere al volo (su YouTube) o altrimenti cercatevi la mappa su Internet, ma di fatto si trova esattamente all’imbocco meridionale del Mar Rosso, e passano da lì tutte le imbarcazione che dalla Cina, o dall’Asia in generale arrivano in Europa (o viceversa, anche se meno di frequente), che risalgono il mar Rosso, attraversano il canale di Suez e arrivano nel Mediterraneo.

Gli Houthi hanno iniziato ad attaccare con una certa regolarità le imbarcazioni commerciali. Pur affermando di prendere di mira navi di proprietà, bandiera o gestione israeliana o dirette a porti israeliani, in realtà ne hanno colpite molte che sembrano non avere alcun legame diretto ed evidente con Israele, di fatto paralizzando il traffico lungo il mar Rosso.

Un po’ come era successo quando la nave EverGiven si era arenata di traverso nel Canale di Suez, mandando in tilt il commercio mondiale. 

A quel punto Stati Uniti e Regno Unito hanno iniziato una serie di operazioni militari per bloccare questi sabotaggi. E hanno richiesto il coinvolgimento degli altri alleati Nato nell’operazione. Tant’è che successivamente è partita un’operazione parallela e coordinata, lanciata dall’Unione europea e chiamata Aspides. Nel frattempo i sabotaggi sono continuati, anzi sono aumentati sia in numero che in tipologia. Se da un lato continuano gli attacchi alle navi cargo, è di ieri la notizia di un attacco con due missili a una nave portacontainer svizzera diretta verso Gibuti, dall’altro sono – forse – iniziati altri tipi di attacchi.

Dovete sapere infatti dal Mar Rosso non passa solo buona parte del commercio marittimo mondiale. Ci passa anche una mole non indifferente di traffico Internet, attraverso enormi cavi sottomarini. Non so se vi siete mai chiesti come viaggiano i dati web da una parte all’altra del mondo. Ecco, la risposta è attraverso lunghissimi cavi sottomarini.

Come racconta Arcangelo Rociola su Repubblica, si tratta di “Cavi grandi quanto tubi da giardino. Capaci di muovere il 90% del traffico internet”. “All’inizio del 2024 si sono calcolati 1,4 milioni di chilometri di cavi sottomarini. Spesso sono di proprietà di consorzi di operatori delle telecomunicazioni o di grosse aziende tecnologiche come Meta, Google, Microsoft e Amazon, principali investitori in nuovi cavi.

Molti di questi cavi dal Mar Cinese Meridionale passano per l’Oceano Indiano fino a imboccare le 1.500 miglia del Mar Rosso. Salgono sulla sulla terraferma in Egitto e poi raggiungono il Mediterraneo, collegando l’Europa all’Asia. Una rotta che negli ultimi due decenni è diventata uno dei maggiori colli di bottiglia di Internet al mondo. 

Ecco, in questo contesto gli Houti sono accusati di avere colpito cavi appartenenti ad almeno quattro dei maggiori operatori delle comunicazioni, che sono stati “tagliati”, causando “significative interruzioni” ai network telefonici e al traffico web di buona parte del Medio Oriente.

Insomma, capite da voi che una situazione di instabilità nel Mar Rosso dove passa buona parte dello scambio di merci fisiche e di dati digitali al mondo, è un bel casino.

Da qui la decisione di inviare militari. Prima di Usa e Uk, adesso dell’Ue. Veniamo quindi alla situazione italiana. L’esercito italiano sta già partecipando alla missione Aspides da diversi giorni, anche se il parlamento l’ha approvata solo oggi. Questo ovviamente è un problema, e per inciso è illegale. 

Come spiega il Post, un’autorizzazione ex post è tecnicamente in contrasto con le normative vigenti. Normative che però, sostiene l’articolo, sono obsolete, burocratiche e considerate troppo rigide. Tant’è che il governo sta cercando di semplificare il processo legislativo. Che poi, dico: una volta che la burocrazia italiana aveva un senso, quello di impedirci di andare a fare la guerra, proprio quella vogliamo semplificare?

Vabbé, comunque, vediamo meglio in cosa consiste l’inghippo: la legge italiana che regola la partecipazione del nostro paese a missioni internazionali è la n. 145 del 2016, legge che  richiede un processo dettagliato per l’autorizzazione di nuove missioni militari, inclusa l’approvazione parlamentare. 

Recentemente, il governo però di è trovato a dover decidere in fretta se e come partecipare a una missione europea che aveva tempistiche considerate urgenti, appunto quella per bloccare gli assalti degli houthi, e quindi ha deciso arbitrariamente di saltare il passaggio del parlamento e approvare una delibera per estendere le missioni esistenti e avviarne di nuove, tra cui Aspides. Nello specifico ha inviato nel Mar Rosso il cacciatorpediniere Caio Duilio, ovvero una nave da guerra. 

Questo ovviamente ha creato il paradosso legislativo per cui la Camera ha votato ieri in favore di una missione a cui il nostro Stato stava già partecipando. 

In parallelo il governo ha avviato l’iter per modificare la legge esistente, per “snellirla” e saltare ogni volta l’iter parlamentare.

Tutta questa operazione ha suscitato e sta suscitando diverse critiche. Non tanto dalle forze di opposizione, che anzi hanno votato tutte a favore della missione ad eccezione di Alleanza verdi Sinistra, quanto da un pezzettino dall’opinione pubblica, soprattutto dal terzo settore. 

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha risposto alle critiche assicurando che Aspides “non è diretta contro nessuno, ma a difesa di un principio: la libertà e la sicurezza della navigazione”. Quindi insomma, è una missione puramente difensiva.

Ma quindi siamo in guerra o non siamo in guerra? Tecnicamente, no. Certo è che complessivamente, e ognuno con le sue ragioni e le sue responsabilità, si sta creando una situazione mondiale molto militarizzata. E sappiamo, per esperienza storica che se ci sono tante armi, tanti soldati, tanti carri armati, tante navi militari sparse, una piccola scintilla può causare un grosso incendio. 

Oltre a ciò, c’è un altro aspetto che pochi giornali considerano ed è quello di come già oggi ci siano delle gravi ripercussioni di queste operazioni sulle fasce più fragili della popolazione in Yemen. Come ha racconta to Mark Townsend sul Guardian, “Dopo i recenti attacchi contro gli Houthi sul territorio dello Yemen, le agenzie umanitarie hanno iniziato a sospendere le loro operazioni in Yemen. Un ulteriore intervento militare rischia così di aggravare una delle peggiori crisi umanitarie del mondo”.

A metà gennaio una coalizione di 23 organizzazioni umanitarie ha rilasciato una dichiarazione congiunta, avvertendo che l’escalation militare comprometterà ulteriormente la loro capacità di fornire servizi essenziali, peggiorando le condizioni di vita di milioni di persone nello Yemen.

Jared Rowell, membro dell’International Rescue Committee, ha avvertito queste operazioni stanno causando ritardi nelle forniture mediche urgenti e entro breve molti yemeniti rimarranno senza “aiuti salvavita”.

Si legge ancora nella dichiarazione che “un’ulteriore escalation potrebbe costringere altre organizzazioni a interrompere le loro operazioni nelle aree in cui sono in corso le ostilità”. “L’impatto sulle infrastrutture vitali, compresi i porti strategici, avrebbe importanti implicazioni per l’ingresso di beni essenziali in un paese fortemente dipendente dalle importazioni”. Inoltre, “la scarsità e l’aumento dei costi dei prodotti di base, come cibo e carburante, non faranno altro che aggravare la già terribile crisi economica, aumentare la dipendenza dagli aiuti e aumentare i rischi di protezione”.

Bisogna ricordare che in Yemen, da anni, anche per via della guerra civile, è in corso una grave crisi umanitaria, con circa 13 milioni di persone in condizione di elevata insicurezza alimentare, di cui circa il 60% (quindi oltre 7 milioni) sono bambini. Quindi ecco, la situazione è questa qua.

In tutto ciò, ho trovato interessante – anche se forse un po’ ideologico – un articolo sul Fatto Quotidiano che descrive come gli Usa stiano di fatto (possiamo discutere se e quanto volontariamente) approfittando delle guerre ai confini dell’Europa per saccheggiare l’economia europea.

L’articolo è a firma di Mauro Del Corno e discute le dinamiche geopolitiche ed economiche in atto tra gli Stati Uniti e l’Europa, nel contesto dell’attuale rallentamento dell’economia globale e delle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina. Secondo il giornalista, gli Stati Uniti, sia sotto la presidenza di Trump che con Biden, hanno adottato strategie aggressive per rafforzare la propria economia e industria a scapito degli alleati, tra cui l’Europa. 

La guerra in Ucraina ha acuito queste differenze, offrendo vantaggi economici agli USA, tra cui la sostituzione del gas russo con il GNL americano e benefici per l’industria della difesa, e danneggiando la competitività della manifattura europea a causa dell’aumento dei costi energetici.

L’ultimo atto di questa competizione economica è stato l’Inflation Reduction Act (IRA), la grande misura economica voluta da Biden nel 2022, che ha previsto enormi investimenti per incentivare la produzione interna, attrarre produzioni straniere e quindi, implicitamente, sottrarre capacità industriale all’Europa. 

Ad essere penalizzata è stata soprattutto l’economia tedesca, la cosiddetta Locomotiva d’Europa per il suo ruolo di traino, che si è improvvisamente fermata. Meyer Burger, uno degli ultimi e più grandi produttori tedeschi ed europei di pannelli e tecnologie per il fotovoltaico ha deciso di chiudere i suoi impianti in Germania. Da un lato c’è la concorrenza spietata dei prodotti cinesi, ma dall’altro ci sono gli incentivi americani. Grazie a crediti d’imposta stimati in 1,5 miliardi di dollari, Meyer Burger aprirà due nuovi stabilimenti in Colorado ed Arizona. Volkswagen sembra orientata ad aprire la sua fabbrica di batterie elettriche negli Stati Uniti, invece che in Germania. 

Questa situazione sta spingendo le figure di spicco dell’industria europea a richiedere azioni forti a sostegno dell’industria continentale. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha chiesto a gran voce un Industrial Act europeo. Una misura per far riprendere l’industria europea che sembra sul punto di essere smantellata. E non solo: al tema dell’industria viene spesso accostato il tema della difesa, con altre voci che si levano per chiedere la creazione di un esercito europeo, che ridurrebbe la dipendenza dalla protezione militare americana e quindi anche la sudditanza industriale-strategica. E perché l’apparato militare è da sempre stato una grossa leva per l’industria pesante. 

Ecco, devo dire che mi affascina e mi spaventa questo intreccio fra politica industriale, difesa, e ci aggiungo anche transizione ecologica. Perché ovviamente l’industria europea è nel guado della transizione ecologica e deve in qualche misura scegliere la direzione da prendere. E ne approfitto anche per farvi un piccolo spoiler sulla prossima puntata di INMR+ dove andremo a indagare proprio i legami nascosti fra Green Deal e corsa agli armamenti. Un legame pericoloso, nascosto ma ahinoi sempre più presente. Lo faremo in compagnia di un ex parlamentare europeo, ma non vi dico altro.

Torna la rubrica in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi ci introduce gli articoli più interessanti usciti oggi sul nostro giornale. Oggi, inoltre, è il primo mercoledì del mese e quindi esce la puntata di INMR Liguria, per cui parola anche a Emanuela Sabidussi, che ce la presenta.

Audio disponibile nel video / podcast

#guerre
Valori – Von der Leyen e Macron, davvero non escludete la Terza guerra mondiale?
il Post – Il caso dell’intercettazione militare che sta mettendo in difficoltà il governo tedesco
il Post – Com’è che il parlamento deve autorizzare una missione militare di fatto già iniziata
la Repubblica – Perché il Mar Rosso è diventato così centrale per la rete Internet globale
la Repubblica – Danni ai cavi nel Mar Rosso: “Stop al 25% del traffico web”
Ispi – Houthi: chi sono e cosa vogliono i miliziani dello Yemen
Il Messaggero – Gaza, Blinken: «Hamas accetti cessate il fuoco». Falliti colloqui per tregua con Israele. Nave Msc attaccata dagli Houthi nel Mar Rosso
la Repubblica – Dal governo al M5S e ai dem, tutti d’accordo sulla missione nel Mar Rosso. “Solo difensiva”. E Conte accetta. Il no della sinistra

#industria
il Fatto Quotidiano – Dalle armi alla gas, dalla green economy all’automotive: così gli Stati Uniti hanno approfittato della guerra per saccheggiare l’industria Ue

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