30 Lug 2024

Maduro ha vinto di nuovo le elezioni in Venezuela. O forse no? – #670

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri sono stati diffusi i risultati delle elezioni presidenziali da parte del comitato elettorale venezuelano, che ha decretato la vittoria di Maduro, sebbene di pochi punti percentuali. Ma non tutti sono convinti che le elezioni si siano svolte regolarmente. Parliamo anche della situazione in Medio oriente, con la tensione che sale al confine fra Israele e Libano, delle olimpiadi di Parigi, che si stanno distinguendo per l’attenzione alla sostenibilità, di una importante vittoria per gli aborigeni australiani e degli incendio  che stanno devastando la California. 

Allora, come al solito quando non ci sentiamo per qualche giorno, succede il finimondo. E quindi ci tocca fare lo slalom fra le notizie e raccontarle un po’ al volo, senza andare torppo nel dettaglio. Vediamo cosa riusciamo a fare. Partiamo con le elezioni in Venezuela. Erano elezioni molto attese e che hanno fatto impazzire i sondaggisti che inizialmente prevedevano la vittoria di maduro, poi pochi giorni prima del voto hanno iniziato a circolare sondaggi che vedevano l’opposizione ampiamente davanti, infine si è votato e ha vinto… boh!

Vabbè, ora ci arriviamo ma prima vi do un po’ di contesto. Il Venezuela è un paese dell’America Latina (e fin qui, direte voi) guidato ormai da diversi anni (11) da Nicolas Maduro, leader socialista piuttosto controverso, successore del suo padrino politico Hugo Chavez, di cui condivide pregi e difetti. Da un lato è apprezzato da alcuni per essersi riuscito a imporre rispetto alle politiche colonialiste statunitensi, dall’altro criticato e contestato per le sue politiche autoritarie, per la corruzione endemica del paese, per il ricorso alla violenza e – non ultimo – per il fatto di aver mantenuto l’economia del paese fortemente agganciata – se non unicamente agganciata – al petrolio.

Maduro poi ha una storia particolare perché è un ex autista della metropolitana di Caracas, dove fa carriera sindacale e a un certo punto negli anni 90 diventa il delfino di Hugo Chávez, in procinto di candidarsi alla guida del Venezuela.

Comunque senza a fare tutta la storia, si è votato domenica in Venezuela per eleggere il Presidente e ieri Maduro ha dichiarato di aver vinto con il 51,4% dei voti, ma ci sono molti dubbi sui dati con cui il Consiglio elettorale del Venezuela, un organo controllato dal governo venezuelano, ha assegnato la vittoria a Maduro.

Il candidato di opposizione, Edmundo González Urrutia, avrebbe preso il 44%, ma non ha accettato il risultato e sostiene di essere lui il “presidente eletto” sulla base dei dati raccolti nei seggi a cui ha avuto accesso, nonostante i funzionari e i sostenitori di Maduro abbiano cercato di impedire in ogni modo la presenza di osservatori indipendenti.

Come racconta il Post, secondo la leader dell’opposizione María Corina Machado, a cui a marzo il regime aveva impedito di partecipare alle elezioni, González avrebbe ottenuto il 70 per cento dei consensi, con un distacco su Maduro in linea con quello rilevato dai sondaggi precedenti al voto. Le stime riferite da Machado si basano sulle ricevute del voto elettronico: l’opposizione ha detto di aver potuto esaminare il 40 per cento di questi documenti, ma chiede che siano riesaminati manualmente tutti.

Nel frattempo Maduro ha detto che il conteggio dei voti è stato rallentato a causa di un attacco informatico, e che la principale sospettata del sabotaggio è proprio Machado. 

Fatto sta che restano parecchi dubbi, anche perché il suo regime ha negato l’ingresso nel paese a tutti gli osservatori internazionali che hanno tentato di assistere al voto, con l’eccezione della ong americana Carter Center. Molti leader internazionali hanno invitato il governo a riconteggiare i voti. Fra questi nove leader di paesi del Sudamerica – tra cui Colombia, Brasile, Perù e Argentina –, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea Josep Borrell e il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani.

La vittoria di Maduro è stata invece subito riconosciuta dai suoi alleati regionali, come i presidenti di Cuba, Nicaragua, Bolivia e Honduras, e internazionali, come il presidente russo Vladimir Putin e altri rappresentanti di Cina, Iran e Siria.

Comunque, sembra realistico che i voti non verranno riconteggiati e che Maduro proverà a forzare la mano e governare altri 7 anni. A meno che le opposizioni non provino ad imporsi.

Intanto – lo avrete letto o visto da qualche parte – c’è stato un feroce attacco da parte di Hezbollah, il gruppo paramilitare e politico libanese molto vicino al regime iraniano, con un razzo che è precipitato su un campo da calcio e ha ucciso 12 bambini e ragazzi a Majdal Shams, nelle alture del Golan. Secondo quanto riportano i media internazionali il governo di Israele sta considerando una risposta militare a Hezbollah, e molti parlano già di un probabile allargamento del conflitto regionale. E, al solito, ci sono un bel po’ di cose da dire e considerazioni da fare. 

Partiamo comunque dai fatti. Sabato un missile ha colpito la cittadina di Majdal Shams, 11 mila abitanti, abitata prevalentemente da membri della comunità drusa, che sorge in un territorio appartenente in precedenza alla Siria e tutt’ora conteso. Il missile è esploso ai margini di un campo da calcio, mentre decine di bambini e ragazzini giocavano e guardavano le partite. Sono morti in dodici, tra i 10 e i 16 anni. 

Subito si è pensato a Hezbollah, che lancia contro il sud di Israele decine di razzi al giorno, a cui Israele risponde con altri attacchi. Anche se in realtà questa volta la milizia sciita ha negato (ed è la prima volta che nega un attacco) ma l’ipotesi più probabile – riporta ancora il Post – sembra che sia che il razzo sia stato lanciato proprio da Hezbollah e che sia finito per errore su Majdal Shams.

Comunque dopo l’attacco il governo Netanyahu ha annunciato ritorsioni dicendo che era stato superato un punto di non ritorno. Al tempo stesso i diplomatici internazionali si sono messi all’opera per cercare di moderare le risposte per evitare un’escalation del conflitto. 

Anche perché dal 2006, Hezbollah ha accumulato un vasto arsenale militare e dispone di un numero significativo di soldati esperti. E una guerra aperta con Israele coinvolgerebbe probabilmente anche l’Iran e altri alleati di Hezbollah. Quindi, anche se i giornali in queste ore hanno parlato di conflitto inevitabile, in realtà l’ipotesi di un allargamento del conflitto al momento non appare scontata, forse nemmeno probabile. 

Questi sono i fatti, più o meno. Poi c’è come i media riportano i fatti. E quello è un altro discorso. Da un lato c’è la tendenza, abbastanza comune e trasversale, a gridare al pericolo escalation. Che per carità, è un pericolo reale, ma viene spesso gonfiato, enfatizzato, perché, banalmente, si vendono più copie e si genera più traffico. Ma così facendo si ottengono due effetti negativi. Il primo è l’aumento dello stress nelle persone. L’altro è quello – paradossalmente opposto – di immunizzare rispetto al senso del pericolo. Se io continuo a gridare al pericolo e poi questa cosa non succede, dopo un po’ di volte non vengo più creduto. Con il rischio che se poi quella cosa succede davvero a un certo punto, chissà quanti si fideranno e prenderanno le misure necessarie.

Poi c’è un’altra questione, che è quella del doppio standard con cui vengono trattate le tragedie e i morti da alcuni giornali. Veniamo da mesi in cui l’esercito israeliano ha compiuto nefandezze atroci, si stimano circa 20mila minori morti e altri 21mila dispersi o di cui non si conoscono le sorti. Nelle ultime settimane sono stati diffusi video e testimonianze che non vi voglio nemmeno riportare di crimini di guerra. Per cui non vi nego che osservare l’enfasi con cui molti giornali hanno commentato l’uccisione di 12 bambini israeliani, dopo aver ignorato o trattato solo tangenzialmente le stragi dei bambini palestinesi mi ha abbastanza innervosito.

Detto ciò, non voglio commettere l’errore di ragionare per opposizione e banalizzare l’accaduto, perché comunque parliamo della morte di 12 bambini, che è una roba atroce ovunque accada e di qualsiasi nazionalità siano questi bambini. Questo è certo. Certo, sarebbe bello osservare una maggiore equità nel descrivere questi fatti da parte dei giornali.

Non so se ve ne siete accorti ma sono iniziate le olimpiadi, a Parigi, in Francia. Se ne sta parlando moltissimo soprattutto per questioni sportive, come è giusto che sia. Quindi medaglie, polemiche sugli arbitraggi, e così via. Ma c’è un aspetto davvero interessante di questi giochi ed è la questione della sostenibilità. Che una volta tanto, pur parlando di un grande evento, mi sembra una roba abbastanza reale, non solo greenwashing. 

Infatti sono state prese tutta una serie di misure per rendere queste olimpiadi realmente sostenibili. Queste misure includono la costruzione di impianti sportivi temporanei e il riutilizzo di strutture esistenti, riducendo così la necessità di nuove costruzioni e limitando l’uso di risorse naturali. Ovviamente il ricorso a energie rinnovabili per alimentare i siti olimpici.

E poi il trasporto dei partecipanti e degli spettatori per i quali è promosso l’uso di mezzi di trasporto pubblico, biciclette e veicoli elettrici, per ridurre al minimo l’inquinamento atmosferico e il traffico urbano. Pensate che persino i materiali edili sono stati trasportati tramite la Senna, per ridurre le emissioni.

E ancora, il Villaggio Olimpico è stato costruito con legno e cemento a basse emissioni, gli arredi saranno riciclati e i pavimenti dei campi sportivi, installati senza colla, saranno destinati a club e federazioni dopo l’evento. Sono stati realizzati 60 km di piste ciclabili, sono stati installati erogatori mobili per l’acqua lungo le strade, si prevede una riduzione del 50% della plastica monouso. 

Anche l’aspetto economico rimarca quello ambientale. Saranno infatti, secondo le stime e le previsioni, Olimpiadi molto poco costose, che non prevedono la costruzione di nuovi stadi, né grandi opere o elementi particolarmente costose. La Francia ha investito fin qui poco meno di 9 miliardi di euro. Che sono poco o niente rispetto ai 50 di Russia 2014 o ai 41 di Pechino 2008. Interessante notare anche questo cambiamento di tendenza: se fino a qualche anno fa spendere più di tutti era considerato un vanto, oggi il vanto diventa risparmiare.

Anche la cerimonia di apertura è stata piuttosto sobria, con un utilizzo molto molto limitato dei fuochi d’artificio, altro aspetto interessante. 

Vi do un ultimo elemento: dopo le Olimpiadi, il Villaggio Olimpico di Parigi si trasformerà in un quartiere avanguardistico, con tetti verdi, recinti per animali e spazi dedicati alla natura che faranno di questo luogo un habitat ideale per piante e animali. 

Domenica è uscIta la nuova puntata di INMR+ dedicata agli aborigeni australiani e il giorno stesso il governo australiano, per celebrare il fatto. ha preso una decisione storica. Ha decretato il divieto a tempo indeterminato di estrazione dell’uranio nel sito indigeno di Jabiluka, vicino al Kakadu National Park. Questa decisione, che segue altre simili, come il divieto di arrampicata su Uluru, è stata presa per rispettare i desideri della popolazione indigena di Mirarr, che considera l’area sacra. Il premier Anthony Albanese ha evidenziato il legame duraturo tra la terra e gli indigeni australiani. 

Il giacimento di Jabiluka è uno dei più grandi depositi di uranio di alta qualità al mondo, ma non è mai stato sfruttato. Nel 2017, nei pressi del sito, sono stati trovati antichi utensili di pietra, confermando l’importante legame storico degli aborigeni con la terra. 

La conservazione dei siti indigeni è stata intensificata dopo che la società mineraria Rio Tinto ha distrutto i rifugi rocciosi di Juukan Gorge nel 2020. L’opposizione australiana ha promesso di costruire centrali nucleari se vincerà le prossime elezioni, sfidando un divieto nucleare di 26 anni.

È la stagione dei grandi incendi nel continente Nordamericano. Anche quest’anno al centro c’è la California. Scrive il Post che “Nel nord della California, un vasto incendio boschivo chiamato “Park fire” ha bruciato oltre 1.416 chilometri quadrati, un’area più grande della città di Los Angeles. È il più esteso dei circa 110 incendi attualmente attivi negli Stati Uniti. I vigili del fuoco sono riusciti a contenere parzialmente la diffusione del fuoco, e si spera che le temperature più basse previste possano facilitare le operazioni dei 2.500 pompieri mobilitati, anche se l’incendio potrebbe continuare a espandersi”.

Il governatore della California, Gavin Newsom, ha dichiarato lo stato d’emergenza in due contee coinvolte, e in altre contee sono stati emessi ordini di evacuazione per circa 9.000 persone. Finora, il “Park fire” ha distrutto oltre 134 edifici.

Le indagini della procura della contea di Butte hanno stabilito che l’incendio è doloso. Un uomo di 42 anni è stato arrestato per aver abbandonato una macchina in fiamme in un canalone. 

Un altro grande incendio è in corso in Oregon, e un incendio grave si sta sviluppando a Jasper, nelle Montagne Rocciose canadesi.

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