LULA HA VINTO
Luis Inacio da Silva, per tutti Lula, è il nuovo presidente del Brasile. Ha vinto per un pugno di voti, in uno scrutinio al cardiopalma, come direbbe un commentatore sportivo, in cui per più di metà del tempo Bolsonaro è stato avanti, al termine di ultimi giorni infuocati, tesi, violenti, in cui è successo di tutto.
Lula vinto con il 50,9% delle preferenze, contro i 49,1 di Bolsonaro, e diventa così Presidente del Brasile per la terza volta. Ha commentato a caldo con un discorso in cui ha detto, fra le altre cose, che: «In una delle elezioni più importanti del Brasile, oggi c’è un unico vincitore: il popolo brasiliano», che «Non è una vittoria mia o del mio partito, ma di un immenso movimento democratico» e che «La maggioranza del popolo ha lasciato detto chiaro che desidera più democrazia e non meno. Vuole più libertà, più uguaglianza e più fraternità».
Un aspetto interessante del suo primo discorso è stato che ha iniziato «ringraziando Dio per avermi permesso di uscire da dove sono uscito e arrivare dove sono arrivato». Il che mi pare voglia mandare un messaggio chiaro a tutta la popolazione (non soltanto al suo elettorato), dopo una campagna elettorale in cui Bolsonaro ha cercato di convincere i brasiliani che Lula era Satana e avrebbe fatto chiudere tutte le chiese.
Comunque, prima di commentare il fatto in sé, merita dare uno sguardo ad alcune cose che sono successe durante e subito prima dell’elezione. Per darvi un’idea del clima sereno e disteso con cui si è andati a votare basti pensare che già a settembre la Corte elettorale superiore (TSE) aveva vietato il porto di armi da parte di collezionisti, tiratori e cacciatori il giorno delle elezioni, e anche nelle 24 ore precedenti e nelle 24 ore successive al giorno delle elezioni, pena l’arresto in flagranza di reato per detenzione abusiva di arma.
Ma ciò non sembra aver fermato diversi bolsonaristi. E per bolsonaristi non intendo seguaci o elettori, ma proprio deputati o alleati. Ad esempio ci sono vari video che documentano, nella giornata di ieri, una deputata federale, Carla Zambelli, estrarre una pistola e mettersi all’inseguimento di un uomo in uno dei quartieri più ricchi di San Paolo. Più tardi la deputata ha sostenuto di essere stata aggredita, mentre alcune voci riprese inizialmente dai giornali volevano l’uomo un elettore di Lula, che forse le aveva detto qualcosa. Non si sa ancora bene cosa sia successo, ma è evidente, perlomeno, che la disposizione della Corte non l’ha rispettata.
Invece la domenica precedente l’ex deputato di estrema destra e alleato di Bolsonaro, Roberto Jefferson, aveva resistito ad un arresto per violazione della libertà vigilata sparando cinquanta fucilate e lanciando due granate contro quattro agenti della polizia federale.
Tornando alla giornata di ieri, secondo quanto riportato dalla redazione del Fatto Quotidiano e da altri media internazionali, a un certo punto la presidente del Partito dei lavoratori (il partito di Lula), Gleisi Hoffmann, ha chiesto l’arresto del direttore generale della polizia stradale federale brasiliana, per via di una serie di disservizi che sarebbero stati creati appositamente per impedire agli elettori soprattutto delle regioni più povere, dove Lula era dato come favorito, di andare a votare.
Che poi, disservizi: parliamo di veri e propri blitz della polizia stradale federale, che con la scusa di controllare la situazione avrebbe ostacolato il voto, al punto da spingere la Corte elettorale superiore a ordinare di sospendere subito questi “controlli”. Anche perché i controli in questo caso avevano poco senso, dato che la legge brasiliana prevede che per le elezioni si possa viaggiare anche senza biglietto, in modo da consentire anche alle persone più povere di recarsi a votare.
In particolare la situazioni più grave si sarebbe registrata nello Stato di Minas Gerais, secondo collegio elettorale per numero di votanti e considerato decisivo per il risultato finale di questo secondo turno, dove la metropolitana del capoluogo, Belo Horizonte, ha liberato l’accesso ai cancelli solamente in tarda mattinata, dopo una intimazione del Sesto tribunale regionale. Una situazione simile è avvenuta nella città di Uberlândia, dopo una serie di denunce al pubblico ministero in base alle quali alcuni passeggeri sarebbero stati obbligati a pagare lo stesso il biglietto dell’autobus per potersi dirigere al loro seggio elettorale.
Una situazione paradossale, che però, se avete visto la puntata sul Brasile di Io Non Mi Rassegno + (il che significa, fra parentesi, che siete anche abbonati a ICC, e quindi che siete delle belle persone) non vi stupirà, perché Paulo Lima, uno degli ospiti, ci raccontava che gli stessi disservizi succedevano anche in molte sedi in Italia.
Va bene. Facciamo qualche considerazione, anche se ovviamente un po’ acerba, visto il poco tempo trascorso. La prima è che fin qui Bolsonaro, non ha rilasciato dichiarazioni e anzi sembra essersi isolato. Scrive Lauro Jardim sul quotidiano brasiliano o Globo: “Sconfitto, Jair Bolsonaro non vuole ricevere nessuno. Ai ministri e ai deputati che hanno cercato di fargli visita questa domenica dopo i risultati delle urne è stato detto che il presidente non vuole vedere nessuno in questo momento, nemmeno i suoi più stretti alleati”.
Il che potrebbe anche non essere un’ottima notizia, viste le voci che avevano preceduto le elezioni sul fatto che l’ex presidente potesse non accettare la sconfitta, un po’ come aveva fatto Trump. Ma staremo a vedere.
La seconda è che invece l’elezione di Lula è un’ottima notizia per le popolazioni indigene, per l’Amazzonia, e di conseguenza per il mondo intero. Mi rendo conto che in questo caso vengo meno alla neutralità e oggettività che richiederebbe il mio ruolo ma quando stanotte alla fine si è capito che Lula aveva vinto, ero felice.
La terza è che Lula avrà comunque vita dura in un parlamento brasiliano con una forte blocco di centro-destra, dominato dalle cosiddette 3 B (ovvero tre gruppi di interesse): Buoi (quindi agribusiness), Bibbia (quindi chiesa), bala (proiettile) ovvero armi. E che quindi non è che adesso sarà tutto rose e fiori per gli indigeni, l’amazzonia, il mondo. Ci sarà comunque da tenere gli occhi aperti.
La quarta, è che al netto della felicità che alla fine abbia vinto Lula, è impossibile non notare per me che c’è una discreta componente di fortuna in tutto ciò. Se il voto fosse stato fra una settimana o fra un mese, magari avrebbe vinto Bolsonaro. Parliamo di nemmeno un punto percentuale di differenza, di un paese diviso. Due milioni di voti in un paese da 214 milioni di abitanti, che fa la differenza fra un governo Bolsonaro e un governo Lula. Davvero ha senso affidare delle cose così importanti, la gestione della cosa pubblica, a un sistema così volatile? Possiamo permetterci di affidare il nostro destino, in un momento così cruciale per il mondo, a un sistema obsoleto come l’elezione a maggioranza?
Poi, intendiamoci, c’è anche di molto peggio in giro, in un sacco di posti non c’è nemmeno quello, ma il meglio che abbiamo in giro è comunque gravemente insufficiente. Comunque di questo ne parleremo a breve con un approfondimento dedicato (vi darò più notizie nei prossimi giorni).
LE TRAGEDIE IN INDIA E COREA DEL SUD
La festa per la vittoria di Lula su Bolsonaro è offuscata da due notizie tragiche che ci arrivano dall’Asia. Due tragedie di grosse dimensioni: il crollo di un ponte in India e una festa di Halloween finita in massacro in Corea del Sud. In entrambi i casi hanno perso la vita circa 150 persone.
Nel primo caso, ci troviamo nello Stato del Gujarat, in India. Il ponte sospeso crollato era di epoca coloniale e – cosa paradossale – era stato riaperto al pubblico solo quattro giorni fa, dopo alcune riparazioni e lavori di manutenzione. I funzionari locali hanno detto che il ponte ha ceduto perché era sovraccarico di turisti accorsi per la stagione dei festival indù, e che quindi un cavo di acciaio si è spezzato. Non si sa ancora quante siano esattamente le vittime, Ansa parla di almeno 120, Repubblica di almeno 132, The Indian Express di almeno 133, Today di almeno 141. L’unica parola ricorrente è “almeno”, il che significa, nella consuetudine giornalistica, che la macabra conta è tristemente destinata a salire.
Nel secondo caso invece ci troviamo a Seul in un piccolo tratto di una minuscola stradina di 45 metri della capitale sudcoreana. Lì sono morti la notte fra sabato e domenica 154 ragazzi e ragazze, la maggior parte ventenni, 97 donne e 57 uomini, quasi tutti coreani, soffocati e schiacciati in una calca assurda mentre stavano festeggiando Halloween.
Le autorità hanno detto che si trattava di una calca spontanea, non di un evento programmato, anche se ci sono polemiche per il ritardo dei soccorsi. Non sono chiarissime ancora le dinamiche dell’accaduto, ma come spesso accade in questi casi la causa principale sembra essere stata proprio il panico dovuto alla calca stessa.
È sempre difficile commentare eventi come questi e dire qualcosa di sensato che vada al di là del cordoglio e del dispiacere. Un elemento che lega le due tragedie, dalla nostra prospettiva, è quello di essere avvenute in luoghi lontani, fisicamente e – soprattutto nel caso dell’India – culturalmente, luoghi in cui ci sembra più normale che cose come questa possano succedere.
Qui mi riferisco, appunto, soprattutto alla prima notizia, quella del crollo del ponte, che oggi è sulle homepage, seppur in posizioni defilate dei giornali e probabilmente è destinata a sparire velocemente.
Nel secondo caso invece, parliamo di una città intrisa di cultura occidentale-statunitense (non a caso stavano festeggiando Halloween), quindi la distanza culturale è sicuramente minore, ma una riflessione interessante, che mi suggerisce Daniel Tarozzi, è legata al tema delle megalopoli. Seul è una città di quasi dieci milioni di abitanti in cui inevitabilmente la vita umana perde di significato, anche solo per mere questioni di proporzioni. E anche questo fatto, peraltro sinistramente legato proprio ai festeggiamenti di Halloween, sarà forse velocemente riassorbito dal frastuono, dal rumore di fondo della tentacolare e rutilante metropoli, pur lasciando i suoi segni nell’inconscio collettivo, più ancora che nella memoria.
Infine una considerazione che riguarda le folle, il concetto di calca. La nostra specie, homo sapiens, non è iun grado di gestirla istintivamente. Non siamo come gli storni o le sardine (e tante altre specie) che sono in maniera innata capaci di muoversi in gruppo come un unico corpo. No, la nostra specie si è evoluta in gruppi di massimo 100-150 individui, peraltro in spazi spesso molto ampi. Per cui la folla da un lato ci attrae, ci inebria, proprio perché ci stordisce per i troppi input che il nostro cervello non riesce a gestire, dall’altro può trasformarsi in un’arma di distruzione, se scatta il panico. Quindi ecco, è una roba che va maneggiata in sicurezza.
MUSK ALLA FINE HA COMPRATO TWITTER.
Va bene, ci sarebbero un sacco di altre notizie importanti da dare. Qui mi limito ad una sola, quella dell’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, ma vi segnalo diversi articoli su altri fatti interessanti sotto Fonti e articoli, in fondo a questa pagina.
L’ufficialità è arrivata in Italia prima dell’alba del 29 ottobre. Musk ha infine, dopo un valzer infinito, ratificato l’accordo siglato ad aprile scorso: 44 miliardi di dollari complessivi, 54,20 dollari per azione, per l’acquisto di Twitter. E ha dato la notizia con un Tweet, ovviamente, in cui ha scritto semplicemente “The bird is free”, ovvero l’uccellino, simbolo del social network, è libero.
Ora tutti si chiedono cosa vorrà fare esattamente l’uomo più ricco del Pianeta con lo storico social network. Riuscirà a risollevarlo dal punto di vista economico e degli utenti? Ne manterrà il taglio più “giornalistico” che lo caratterizza?
Sul Sole 24 ore Biagio Simonetta scrive. “Una piattaforma fra le più “antiche” della galassia social, che ora lo stesso Musk sarà chiamato a svecchiare e a migliorare. Perché Twitter, nella storia più o meno quindicennale dei social network, è sempre sembrato il fratello sfortunato. Quello che non ce l’ha fatta, al cospetto della dissennata crescita dell’impero di Mark Zuckerberg. Conti in disordine, utenti in calo, investitori in fuga, Ceo che vanno (e poi tornano): la storia dell’uccellino blu è zeppa di controversie. E per quanto possa sembrare paradossale, a tenerlo vivo – negli ultimi anni – è stato il contestatissimo Donald Trump, oggi fuori (ancora per molto?) dal social di Market Street, ma fino a un paio d’anni fa account che creava maggiore interesse (che non vuol dire consenso) e discussione.”
Di certo, o quasi, c’è che Musk è intenzionato a fare piazza pulita di diversi dirigenti e dipendenti. Ha immediatamente licenziato numerosi top executive del social network, a cominciare dalle cariche più alte: amministratore delegato e direttore finanziario. Sempre l’articolo del Sole sottolinea che nella giornata di venerdì, alcuni dei top manager licenziati siano stati subito scortati fuori dalla sede dell’azienda, a Market Street, nel cuore di San Francisco. Per i dipendenti la questione è più incerta ma diverse fonti parlando di un taglio di circa il 30%.
Un altra cosa già stabilita è che Twitter uscirà dalla borsa, il che scrive Alessio Nisi su Agi, fa sì che non sarà “tenuta a rendere pubblici i dati finanziari, soggetta a un controllo normativo inferiore e potrà essere tenuta sotto controllo in modo più efficace dal proprietario”.
Sempre l’articolo di Agi mette in luce alcune probabili direzioni del Twitter di Musk, assemblando le dichiarazioni del miliardario:
- Blockchain integrata
- servizi premium
- più libertà di parola
- una società più snella (quindi appunto, meno dipendenti rispetto ai 7500 odierni)
- infine il sogno di una super app in stile WeChat
Soffermiamoci giusto un minuto su quest’ultimo punto, che appare il più strategico e anche il più inquietante. Non so quanto sia una volontà reale o una sparata di Musk, ma se questa fosse la direzione l’idea sarebbe di trasformare il social in una – nelle sue parole – everything app, una sorta di sportello unico per tutte le esigenze: chat, pagamenti, social network, giochi, delivery, prenotazione taxi.
WeChat infatti è un’app cinese gestita da Tencent, ed è la più grande super app del mondo: un miliardo e passa di utenti. Si stima che un cinese trascorra su WeChat un terzo della sua vita da sveglio. A giugno Musk aveva detto che non esiste un equivalente WeChat al di fuori della Cina e ai dipendenti di Twitter (ora i suoi): “Penso che ci sia una reale opportunità per crearlo. In pratica vivi su WeChat in Cina perché è così utile e così utile per la tua vita quotidiana. E penso che se potessimo raggiungere questo obiettivo, o anche avvicinarlo con Twitter, sarebbe un immenso successo”.
Wechat in Cina però è anche l’app, privata, ma usata abbondantemente dallo Stato, ad esempio per il tracciamento Covid e per il loro equivalente del green pass. E visto che la usi per qualsiasi cosa può bloccare immediatamente ogni attività. Gabriele Battaglia raccontava che non era riuscito a prendere la metro in Cina perché il tampone che aveva effettuato non era stato ancora associato al suo account Wechat e quindi non poteva passare il tornello per prendere i mezzi. Insomma, Wechat è anche questa cosa qua.
FONTI E ARTICOLI
#Brasile
il Messaggero – Lula eletto presidente del Brasile: «Hanno cercato di seppellirmi, sono risorto». Bolsonaro battuto con il 50,83%
Rai News – Immagini shock dal Brasile: deputata bolsonarista insegue un uomo con in pugno una pistola
Il Fatto Quotidiano – Brasile, il partito di Lula chiede l’arresto del capo della stradale: “Ostacola i trasporti”. Giudice: “A nessuno è stato impedito il voto”
O Globo – Bolsonaro se isola e não quer visitas
#strage Seul
Corriere della Sera – Corea, la strage di Halloween: Seul piange 154 ragazzi tra silenzio e fiori. «Ma la polizia dov’era?»
#crollo ponte #India
Ansa – India: salito a 120 il numero dei morti nel crollo del ponte https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/10/30/india-salito-a-75-il-numero-dei-morti-nel-crollo-del-ponte_1b9739ff-0681-4ba1-9b1e-39ff4a8efab7.html
Today – Crolla un ponte con centinaia di persone sopra: oltre 140 morti
#Twitter #Musk
Il Sole 24 Ore – Twitter è di Musk: vertici azzerati ma la liquidazione è milionaria
AGI – Cosa diventerà Twitter con Elon Musk
#diserbanti
L’Indipendente – Il diserbante Sygenta provoca il Parkinson, l’azienda produttrice lo sa dagli anni ’50
#COP27
la Repubblica – Sunak boicotta il summit sul clima: così Carlo ne organizza uno a Londra
#clima
Il Secolo XIX – Genova e Napoli sono fra le 10 città europee più colpite dal cambiamento climatico
#Greenwashing
il Fatto Quotidiano – “Perché non ritiro il premio green sponsorizzato da Eni”
#Sudan
Internazionale – Un anno di resistenza pacifica in Sudan
#podcast
Avvenire – Podcast. “Rotta climatica”: viaggio con un profugo ambientale dal Pakistan all’Italia